Italia Sociale
La «Passaquindici»: un luogo culturalmente non conforme nel panorama dell’estrema destra italiana
Il socialismo fascista di Pierre Drieu La Rochelle (Prima parte)
A Bari, sin dagli anni ’70 la situazione era tesa, a causa di azioni e di strategie della tensione attribuite alla destra fascista, che erano invece una risposta, a livello nazionale, a progetti di attività pseudo rivoluzionaria che anche a sinistra cateridi aristocratiche e della borghesia di Stato si illudevano di poter attuare, strumentalizzando l’estrema sinistra nelle violenze, ma che miravano a raggiungere il potere fine a sé stesso, mettendo le mani rosse sulle istituzioni di vario genere. Dopo le otto di sera portare con se una bandana, un fazzoletto, un giornale che non corrispondeva al colore politico della Ronda che si trovava davanti, poteva essere pericoloso per ambedue le fazioni politiche. Bari era politicamente divisa in quartieri e zone distinte: il rione Poggiofranco, i quartieri Carrassi (la zona di via Gabrieli e del carcere) e la centralissima via Sparano, via Marchese di Montrone, via Principe Amedeo angolo via Sagarriga Visconti, al quartiere Murat, erano controllati dai ‘’fascisti’’, mentre la zona di Piazza Umberto vicino alla Stazione FF.SS. centrale, sempre al quartiere Murat, la zona del Campus universitario al quartiere S. Pasquale e la Città Vecchia, ‘’roccaforte’’ comunista, perché il 90 % del quartiere votava P.C.I., erano zone rosse. Queste divisioni creavano disordini, per il controllo ferreo che i fascisti applicavano sul territorio.
I giovani si spostavano in gruppo per salvaguardarsi dalle aggressioni, o almeno vi speravano, era pericoloso camminare da soli. Davanti alle scuole, al liceo ginnasio ‘’Orazio Flacco’’ al Murat ed al liceo ginnasio ‘’Socrate’’ a Carrassi, erano frequenti gli attacchi e le minacce, senza escludere le aggressioni sotto casa dei giovani anti-fascisti e neofascisti. Attraversare il quadrilatero murattiano controllato dai fascisti della sede storica di via Piccinni del M.S.I. (poi di Alleanza Nazionale), significava potersi imbattere in una delle Ronde Nere, componenti della ‘’Angelo Passaquindici’’ nel quartiere Carrassi o del Fronte della Gioventù, armati di bastone, mazze, catene di ferro e coltelli.
La polizia aveva confiscato numerosi arsenali. Per questo si rispondeva spesso agli attacchi volontari dei fascisti, si camminava armati per evitare pericoli. Il Comune aveva più volte chiesto la chiusura a causa delle continue provocazioni messe in atto dai suoi aderenti e degli atti di teppismo di cui erano rimaste vittime inerti cittadini e militanti democratici, secondo la visuale a senso unico e politicamente corretta di quegli anni; le autorità di polizia avevano fatto opportune valutazioni in merito e non avevano ravvisato elementi tali da accogliere la richiesta della giunta comunale di Bari di centro-sinistra, non ritennero che tali valutazioni fossero congrue né avevano facilitato quel clima di violenze, di provocazioni e di intimidazioni in cui sarebbe stato ucciso Benedetto Petrone.
Alla fine del 1975 un gruppo di ragazzini si era appropriato di una sede (4 metri su 4 sulla strada) del Fronte della Gioventù. Erano tra i 15 ed i 17 anni, di famiglie medio ed alto-borghesi, alcune volte separate, ‘’borghesia rossa’’ o padri ex partigiani o padre comunista dirigente industriale della multinazionale Sit-Siemens tedesca, madre stilista svedese: ’’Dai 13 anni – racconta un suo protagonista di rilievo- sono stato uno scappato di casa: prima pingponghista tra le case dei miei, litigavo con uno e andavo dall’altra, con intervalli dalla nonna se le liti coincidevano, poi ho bivaccato in sezione, nelle macchine e le trombe delle scale e i box dei genitori degli amici. Di giorno vivevo con i sotto-proletari che riempivano la sezione finchè mi hanno accolto i suoceri e ci stavo bene’’.
Sociologicamente vi erano il figlio di un appuntato dei Carabinieri, il figlio di un ambulante fioraio all’angolo del carcere, un elemento di punta della SS (la Squadra di Sorveglianza: una trentina di lumpen che garantivano l’ ‘’ordine nero’’ nel quartiere), disoccupato, faceva il trimestrale all’ufficio pacchi del carcere, poi lavorava come meccanico. Altro lumpen della SS, finiva al carcere minorile per furto: qui mostrava la sua coscienza politica, capeggiando una protesta con un ‘’compagno’’. Fu pestato e trasferito. La massiccia adesione popolana accentuò nei ragazzi il rifiuto di accettare il giudizio di condanna dei ‘’compagni’’.
Nasceva il mito risarcitorio di una borghesia, di una cultura dominante che disinforma per mettere contro ‘’camerati’’ e ‘’compagni‘’. A livello istintivo si sviluppava una contraddizione lacerante tra la frustrazione per l’antifascismo della larga maggioranza dei giovani, alimentata dalla simpatia per la frenetica attività militante dei ‘’rossi’’ (che stimolava il culto vitalistico dell’ ‘’agisco, quindi sono’’ della filosofia di Blondel) ed il continuo scontro fisico, per avere la possibilità di ‘’fare politica’’. Ragazzi generosi che si mettevano in gioco non per far mostra di sé stessi, ma esercitare il loro diritto di fare politica sociale attiva, che si impediva loro di fare, indegnamente. Questi sentimenti contrastanti non contaminarono l’impianto dell’AP15. Il libro politico più gettonato (ed era una rarità che in una sezione del Fronte della Gioventù si leggesse tanto) era ‘’La conquista di Berlino’’ del professore Joseph Goebbels, edito nel 1978 in Italia dalle Edizioni di Ar di Franco Giorgio Freda, diario in cui si narrava la sua storia di agitprop nella Berlino rossa della Repubblica di Weimar, che nello stesso periodo era un testo base delle scuole quadri del movimento giovanile Lotta Studentesca. Il curatore era Marco Tarchi, allora ricercatore universitario in Scienze Politiche all’università di Pescia e direttore del periodico satirico ‘’La Voce della Fogna’’ e di quello letterario e politico ‘’Diorama Letterario’’ a Firenze.
Tarchi scrisse il saggio introduttivo ‘’Il ‘caso’ Goebbels e il dibattito sul nazionalsocialismo’’, con un appunto dell’editore Franco Giorgio Freda. Descrizione delle lotte combattute dai militanti berlinesi contro il sistema democratico di Weimar per conquistare al nazionalsocialismo la capitale del Reich, ma le fasi di quel processo di rettificazione per cui ‘proletari’ e ‘sottoproletari’ di Berlino si trasformarono, guidati da Goebbels, nei più tenaci ‘soldati politici’ del nazionalsocialismo. In appendice ‘’Testamento politico’’ di Adolf Hitler e ‘’Proclama al popolo di Berlino’’ di Joseph Goebbels. Nell’immaginario dei ragazzi della ‘’Passaquindici’’, che si stavano formando politicamente e negli scontri quotidiani con i compagni, la battaglia per lo spazio vitale era una riedizione dell’opera romanzata della ‘’I ragazzi della Via Paal’’. In un anno la missione della SS si era compiuta, con l’epurazione di tutti i compagni della zona al di là della ferrovia che divide Bari, lasciando ai ‘’rossi’’ la parte verso il mare, dove ha sede la Federazione provinciale del M.S.I.-D.N..
I giovani nazionalbolscevichi, memori delle angherie subite dai camerati più scafati, non si recavano in centro godendosi il ‘’territorio liberato’’, l’area più degradata della città, che era interdetta ai compagni. Si era formato, ovviamente sul versante opposto ma parallelo, quello che il teorico anarchico americano Hakim Bey definirà più tardi negli anni una T.A.Z. o Zona Territoriale Autonoma. Si sa che in geometria due parallele si incontrano all’infinito, così i due estremi se non sono strumentalizzati dai giochi di potere dei governanti o delle ali parlamentari di destra e sinistra, che supportano un sistema politico. I ragazzini avevano consumato un’esperienza insoddisfacente nella sezione centrale (anche come ubicazione geografica) del F.d.G., dominata da una banda di ex avanguardisti, di estradizione borghese ma invischiati in pratiche malavitose: passavano il tempo in federazione a taglieggiare i figli di papà che frequentavano il Fronte. La nuova sezione, dedicata ad Andrea Passaquindici, un parà caduto della Folgore, era in periferia.
I ragazzini avevano costruito, senza leader, senza maestri, una modesta base ideologica rivoluzionaria: partecipando alla diatriba nominalistica che lacerava tante sezioni periferiche, non si dichiaravano fascisti in rottura con la vecchia guardia ma nazionalsocialisti e per giunta di sinistra (Strasser ed i nazional-bolscevichi). Le letture ‘’cult’’ erano del ‘’socialista nazionale’’ DrieuLa Rochelle, i romanzi di Lartéguy e di Sven Hassel, con mirabo*lanti avventure di eroici soldati criptonazisti: ma non si può dire perché non si può parlare bene dei de*moni. Il punto focale dell’opera di Drieu La Rochelle è la guerra, scelta per ciò che rappresenta di mistico essendo stato combattente della Grande Guerra. Le sue novelle hanno come grande ossessione la denuncia della decadenza della Francia, dell’Europa e dell’uomo. Il suo suicidio, che gli avversari adducono quale prova del suo ‘’fallimento esistenziale’’, rientra nella logica dell’atto esemplare di un uomo innamorato della grandezza d’animo di un tipo umano che si erga sopra le vallette oscure della sopravvivenza piccolo-borghese. Un romanticismo sentimentale sullo sfondo politico irregolare, i discorsi politici tendono a simboleggiare le proposte ed a far trascinare l’insieme.
L’importanza del nomos sull’opinione di Crèonte, con certi clichés, durante la dittatura, il passaggio sul lusso sordido. Sopravvissuto fra un tentativo di suicidio e l’altro, il primo l’aveva attuato a 7 anni, era divenuto un’ossessione in tutta la vita di Drieu La Rochelle da quando era stato bocciato all’esame finale alla Scuola Libera di Scienze politiche, sentendosi preclusa la carriera diplomatica che aveva sognato; vi era riuscito nel marzo 1945, per evitare il processo che gli avrebbe fatto la Resistenza francese come collaborazionista da epurare con la condanna a morte. Drieu impersona un’epoca con le sue contraddizioni, la rappresentazione della borghesia debole, disillusa e corrotta, ricalcata su un’immagine pessimista di sé e del suo ambiente familiare; fu testimone, lucido ma debole, della sua generazione. Il fascino dei suoi romanzi è legato alla loro efficacia letteraria.
Personaggio tormentato e contraddittorio, figura rappresentativa del clima socio-culturale francese dell’epoca. Poeta della decadenza e della disintegrazione di una civiltà, è divenuto il simbolo di una generazione, quella degli ‘’anni ruggenti’’, divisa fra una vita e di un ordine personale e sociale. Nella sua narrativa un lungo monologo autobiografico in cui fantasia e confessione si intecciano. I personaggi ne sono partecipi e rivelano nelle loro vicende l’incapacità di aver rapporti costanti e normali con gli altri, donne, uomini e ambienti, in un’alternanza di desideri e delusioni, di decisioni e di rinnegamenti; spinti continuamente a fuggire, ad evitare ogni legame per timore di dovere ‘’scegliere’’. La sua narrativa è scostante come lo scrittore, nelle sue pagine Drieu esprime questa atmosfera di crisi attraverso un ritmo linguistico che passa da un periodare secco e duro a una prosa densa e contorta.
Per Drieu lo stile, non unico e costante, era un puro strumento che doveva adattarsi alla materia che trattava. La modernità di Drieu sta nella struttura costante della sua opera che, con differenze stilistiche, fonde nel tessuto narrativo materiali di diversa estrazione, descrizione di vicende, meditazioni interiori, annotazioni storiche e di costume, costruendo un tipo di ‘’romanzo-saggio’’. Drieu descrive senza definire: la sua narrativa manca di corposità veristica, i personaggi non hanno volto, sono centri nervosi, temperamenti o anime, e i loro rapporti non sono visti direttamente, ma attraverso lo schermo dei loro riflessi emotivi. La consapevolezza della decadenza non era per lui un alibi, una giustificazione per accomodarsi nella poltrona di un nichilismo senza speranza. In lui era viva l’esigenza di una rivolta per modificare una situazione personale e sociale che giudicava negativa.
L’aveva sperimentata durante la Prima Guerra Mondiale, simbolo della decadenza, in cui eroismo, rivolta e paura sono impastati linguisticamente e di derivazione surrealista, spezzati, rotti, dove passato e presente, azione e meditazione formano vari piani narrativi intrecciati fra di loro in una struttura armonica. Il bisogno di una rivolta si espresse non in una ricerca ed in un approfondimento interiore, ma lo spinse verso l’azione pubblica, nel disbrigo dell’impegno politico attivo. Drieu anticipò, nei limiti della sua formazione culturale, la letteratura dell’incomunicabilità del dopoguerra, la corrente letteraria francese degli anni cinquanta come la scuola degli ussari e degli enfants tristes. Letto fra le due guerre alla stregua di uno Scott Fitzgerald, ibridato con D’Annunzio, per la sua cattiva fama politica Drieu finì nell’oblio. Una storia bellissima e dolorosa, ambientata nella bufera del conflitto ideologico che ha caratterizzato il novecento, quella era in cui l’idealista Drieu La Rochelle, il maudit, come Robert Brasillach ed i suoi camerati collabos, sognava un Fascismo Immenso e Rosso, vicino alle posizioni di Ernst Niekisch, fondatore del nazionalbolscevismo, sintesi politica utopica ma anche speranza. Da giovanissimo Drieu era stato repubblicano e bonapartista (una sinistra nazionale ante litteram) contro i monarchici.
La sintesi di concetti duri, militareschi, con il sogno puro dell’Europa. Estrinsecava la sua difficoltà nel trovare un senso nel massacro della Prima Guerra Mondiale, richiamando Céline. Attratto nel 1917 dal comunismo, negli anni ‘20 si era avvicinato ai surrealisti, stringendo amicizia con Louis Aragon, ma se non al movimento culturale del surrealismo, aveva aderito al movimento culturale dadaista di Tristan Tzara, non riuscendovi ad integrarvisi. Fu affascinato interiormente dall’azione, carismatico e romantico sentiva la forza ed il fascino dello scontro, che lo portò ad essere fautore della virilità e del culto della bellezza, ma di carattere più intimistico del superficiale Gabriele D’Annunzio, rimanendo nel ruolo di don Giovanni di debole carattere. Il giovane Drieu fu attratto dal pensiero elitario, nazionalista e dal senso del sacro dell’ordine che la destra del suo tempo interpretava, senza scendere a livelli di vil plebaglia.
Si interessò all’Action Francaise di Charles Maurras all’estrema destra realista. Non aderì ad alcuno di quei movimenti, nel 1922 pubblicò ‘’Meseure de la France’’. Un certo disordine interiore non gli aveva impedito di definire il quadro della sua concezione di vita e del mondo. Nel 1925 aveva stretto amicizia con Raymond Lefebvre e Vaillant-Couturier, i futuri capi del comunismo francese. Scoprì i movimenti politici del suo tempo, definendoli sette ed in ciascuna di esse vi trova qualcosa di attraente e ripugnante allo stesso momento. Dopo essersi abbeverato alle fonti del sapere con i maestri della sua vita Rudyard Kipling, Maurice Barrés e Friedrick Nietzsche (‘’Un homme libre’’ e ‘’Zarathustra’’), sviluppato il suo romanticismo con i poeti inglesi Coleridge e Shakespeare, approfondita la sua vena filosofica con Arthur Schopenauer ed Henry Bergson, ‘’il sogno è l’azione e l’azione è sogno’’, aveva pubblicato il suo pensiero politico in ‘’Le Jeune Européen’’ del 1927, ‘’Geneve ou Moscou’’ del 1928, saggi in cui veniva denunciata la decadenza materialista della democrazia liberale e capitalista, pur criticando la dottrina hitleriana in ‘’L’Europe contre les patries’’ del 1931, prendendo posizioni pro-europeiste, che lo portarono ad avvicinarsi ad ambienti padronali, all’organizzazione Redressement Francais diretta da Mercier, poi a correnti del Partito Radicale tra la fine degli anni venti e gli inizi dei trenta. Spirito guerriero Drieu teorizzò in politica l’azione unita delle avanguardie giovanili della destra e della sinistra per costruire un’Europa Imperiale e libera da ogni profittatore, esempio di civiltà di fronte al caos generato dalle demo-plutocrazie occidentali. Nelle settimane seguenti alle manifestazioni anti-parlamentari di destra ed estrema sinistra del 6 febbraio 1934, collaborò alla rivista ‘’La lutte des Jeunes’’, dichiarandosi fascista. Il Fascismo per Drieu era un movimento di sinistra per le sue aspirazioni populiste–socialiste.
Nel Fascismo vide una soluzione alle sue proprie contraddizioni ed un rimedio contro la disperazione e la mediocrità, a ciò che considerava come la decadenza materialistica delle società moderne. In ottobre pubblicò ‘’Socialisme fasciste’’, collocandosi nel solco dell’originario socialismo francese, quello di Saint-Simon, Proudhon e Charles Fourier. Fu attratto dalla personalità di Jacques Doriot, già capo della gioventù comunista ed eletto negli organi del Comitato Centrale, oltre che in Parlamento, poi fondatore a destra del Parti Populaire Francaise, aderendo intellettualmente ad esso nel 1936 Drieu divenne editorialista della pubblicazione del movimento ‘’L’Emancipation Nationale’’ e scrisse nel 1936 ‘’Doriot ou la vie d’un ouvrier francais’’ e ‘’Avec Doriot, playdoyer pour un fascisme à la francaise’’ nel 1937, distinto da quello di Hitler e Mussolini. Anche Doriot lo deluse per l’avvicinamento all’Italia fascista ed alla Germani nazista, e ruppe con lui agli inizi del 1939. Nel 1941 scrisse: ‘’Sono nato a destra ed ho conservato della mia educazione il senso dell’autorità ed anche il senso indistruttibile della patria. Ma sono dovuto andare a sinistra per trovare la coscienza profonda del disordine sociale causato da una liberalismo in decadenza, da un capitalismo che non aveva più alcuna virtù. Ma quando me ne stavo a sinistra rimpiangevo la destra. Non potevo dimenticarmi l’Ancien Régime, così rozzamente disprezzato dai socialisti, aveva creato con l’Internazionale dei re un abbozzo di unità europea che le democrazie non hanno mai visto, nemmeno ai tempi della Società delle Nazioni. Infine nel 1930 ho visto levarsi tra Roma e Berlino la sola forza capace di conciliare queste contraddizioni apparentemente insanabili’’.
Aderì poi al collaborazionismo ed al Nazionalsocialismo di Otto Abetz, cui propose di creare un partito filonazista, credendo di trovare una risposta ai suoi conflitti interiori, pubblicando libri di militanza politica in difesa dell’abbraccio ideologizzato, sperando che la Germania si mettesse in testa ad una sorta di Internazionale Fascista per costruire una nuova Europa aristocratica e sociale: ‘’Ne plus attendre’’ del 1941; ‘‘Notes pour comprendre le siècle (1941); ‘’Chronique politique’’(1943); ‘’Le Francais d’Europe’’ (1944). Dal 1943 scrisse articoli collaborazionisti su ‘’Le Figaro’’e su ‘’Je suis partout’’, disilluso dai miasmi della politica trovò rifugio nella storia delle religioni orientali e nell’effimero nella letteratura. Negli ultimi anni Drieu maturava una meditazione che lo allontanava psicologicamente dalla politica, dagli aspetti più contingenti della storia, e lo portava a cercare certezze non condizionate dagli avvenimenti. Nel 1943 aderì in un ultimo gesto provocatorio di nuovo al P.P.F., dichiarando nel diario segreto, ‘’Racconto segreto’’, la sua ammirazione per lo stalinismo.
L’aspetto del pensiero strettamente politico dell’ultimo Drieu, modificava il suo rapporto con le diatribe ideologiche per consacrarsi alle filosofie orientali, alla Grecia antica ed al suo sotterraneo irrazionalismo, nonché alla questione ebraica nella sua dimensione culturale. Pur vicino al nazismo, e alla ripulsa sistematica delle convenzioni, nel contesto di una radicalizzazione aristocraticistica che genera un dandysmo mai ortodosso, ma sempre parziale e manierato, come a copertura di profonde evoluzioni: nel solipsismo del diario emerge la parte oscura di Drieu che sta ancora scrivendo sui giornali collaborazionisti per proclamarsi fascista europeo sulle rovine dell guerra mondiale.Viveva orientato in una prospettiva metafisica, nella lettura di San Paolo, dei Vangeli e dei testi sacri orientali. Dal repubblicanesimo conservatore degli esordi al totalitarismo integrale, dall’aristocrazia all’eurofascismo, allo stalinismo, una vita politica complessa e variegata oltre che irregolare nell’arco delle due guerre mondiali. Dalla stagione del dubbio a quella delle ossessioni (europeismo, socialismo, antisemitismo), l’itinerario di Drieu compose un mosaico che ne evidenziava, assieme alla carica profetica di denunciatore della decadenza, la forza critica ed inquietante dell’intellettuale realista. La soluzione di un problema di prospettiva, in cui rintracciare la politicità dello scrittore nella parte narrativa e professionale o nella pubblicistica politica. Un quadro tondo della politicità di Drieu, che dal 1911 al 1945 ebbe un percorso ideologico coerente, privo di fratture e svolte significative. Il problema di fondo di Drieu fu l’ossessione per la decadenza.
Fascismo, Europeismo, Comunismo furono individuati in tempi succedanei ma anche in contemporanea come soluzioni politiche alla decadenza dell’Europa, prima della Francia. La vera passione di Drieu fu Hitler, divenendo fascista solo durante la guerra, anche se aveva aderito al P.P.F.. Malgrado il proliferare delle leghe di estrema destra, nella Francia degli anni trenta essere o dichiararsi fascista non era facile: fascismo e Nazionalsocialismo erano vissuti, come vicini poco affidabili. Charles Maurras non aveva rapporti cordiali con gli ambienti che ruotavano attorno alla rivista ‘’Je suis Partout’’ ed agli infatuati del nazismo ‘’immenso e rosso’’ (Robert Brasillach). Drieu fu l’intellettuale fascista che sviluppò il tema dell’Europeismo e del superamento del nazionalismo. Con Drieu la cultura di destra parlava di continenti e più di religione della nazione. Operazione teorica innovatrice, se si considera che la critica del nazionalismo Drieu la sviluppò nella nazione che, con Maurras aveva fornito un contributo teorico politico decisivo alle culture del nazionalismo. La critica al marxismo la sviluppò in ‘’Socialismo Fascista’’.
Il rigore e l’acume teorico come le obiezioni dei filosofi che a fine ottocento avevano animato il dibattito sulla ‘’crisi del marxismo’’, che doveva mettere in guardia dagli intellettuali fascisti che si diffondono nell’esaltazione ditirambica del comunismo. Quando Drieu scoprì che forse era diventato comunista nell’Italia di Salò si scriveva che se proprio bisognava scegliere, era meglio Stalin che la coppia Roosevelt – Churchill. Come Drieu e gli intellettuali fascisti che civettavano con il comunismo, i fascisti repubblicani erano vicini al ‘’socialismo reazionario’’ di marxiana memoria ossia, ad un comunismo reazionario, deproletarizzato e deprivato dei contenuti di classe, col capitalismo mandato al rogo. Tutto è intercambiabile e trasversale; la destra vale la sinistra, solo se entrambe sono estreme, e il nazista vale il comunista. Per questi intellettuali fascisti, delusi da Hitler e Mussolini, ovvero timorosi che il materialismo anglosassone potesse conseguire la temuta vittoria sulla civile Europa continentale, il comunismo slavo, barbarico e un poco sudato doveva compiere il lavoro sporco che non era riuscito ai ceti estremi rifiutati nei fascismi: opporsi alla decadenza che non era riuscito alle falangi delle S.A. e dello squadrismo delegato ad un proletariato abbrutito e retrocesso al rango di nuove plebi.
La prospettiva era di salvaguardare la civiltà europea intesa in termini razziali, con una massiccia trasfusione di barbarie comunista non ancora civilizzata. Un solo stendardo rosso avrebbe unificato l’Europa prima intorno al vessillo crociuncinato dell’Asse, poi nel marzo 1942 nell’idea eurasiatista di un grande blocco composto fra l’Oceano e Vladivostock. La vittoria nazista si allontanava e le speranze di Drieu furono rappresentate dalla falce e martello. Il 27 dicembre 1942 Drieu, durante la disfatta tedesca di Stalingrado, annotava sul suo Diario: ‘’Morirò con gioia selvaggia all’idea che Stalin sarà il padrone del mondo. Finalmente un padrone. É bene che gli uomini abbiano un padrone il quale faccia loro sentire l’onnipresenza feroce di Dio, l’inesorabile voce della legge’’. L’origine di questa adorazione per un potere paterno, politico e divino, ricorre a tesi psicanalitiche del rapporto col padre. Il 24 gennaio 1943 Drieu scriveva: ‘’Ah, che muoiano pure tutti questi borghesi, se lo meritano. Stalin li sgozzerà tutti e dopo di loro sgozzerà gli ebrei…forse. Eliminati i fascisti, i democratici resteranno soli di fronte ai comunisti: pregusto l’idea di questo tete-à-tete. Esulterò nella tomba’’. Drieu seguiva gli eventi, simpatizzava per l’U.R.S.S. perché ‘’i russi siano più forti dei tedeschi, Stalin più forte che Hitler’’.
Un’oscillazione fra le due ideologie rivali: Fascismo e Comunismo, mostrerebbe quanto siano fragili le basi delle sue convinzioni e delle sue idee in proposito. Ma il passaggio di Drieu al comunismo non fu per opportunismo intellettuale, ma fu geopolitico non ideologico, anzi razzista perché nei russi vedeva un popolo giovane che surclassava i tedeschi. La costante del suo pensiero politico era l’idea di Europa, fatta dai tedeschi o dai russi. Drieu vide nell’Armata Rossa l’unico strumento storico per sostituire gli eserciti dell’Asse nella costruzione dell’unità continentale. L’orrore viscerale per la democrazia: ‘’In ogni caso saluto con gioia l’avvento della Russia e del comunismo. Sarà atroce, atrocemente devastante, insopportabile per la nostra generazione che perirà tutta di morte lenta o improvvisa, ma è meglio questo che il ritorno del vecchiume, del ciarpame anglosassone, della ripresa borghese, della democrazia rabberciata’’.
Dopo la sconfitta del Fascismo, per Drieu, l’autocrazia sovietica rimaneva l’unica alternativa alla democrazia ed all’individualismo, prodotti della decadenza. Nel comunismo a Drieu piaceva la scomparsa di una borghesia detestabile ed ottusa, l’inquadramento del popolo e la rinascita dell’antico dispotismo sacro, dell’aristocrazia assoluta, della teocrazia definitiva, scomparendo così le assurdità del Rinascimento, della Riforma, della Rivoluzione americana e francese. Si tornava all’Asia, il marxismo era una malattia passeggera che non comprometteva la fondamentale sanità dell’organismo russo. Grave era il male americano, perché senza forma, accolita di ibridi, mentre i russi avevano una forma, erano una razza, un popolo, avevano una forma ed una sostanza. Il marxismo era una febbre di crescenza in un corpo sano. Il 10 giugno 1944 Drieu: ‘’Mi auguro il suo trionfo (del Comunismo), che non mi sembra sicuro nell’immediato, ma probabile a una scadenza più o meno lunga.
Auspico il trionfo dell’uomo totalitario sul mondo’’. Il 28 giugno ‘’Niente ora mi separa dal comunismo, niente me ne ha separato mai tranne la mia atavica diffidenza di piccolo borghese’’. Il 20 luglio: ‘’Immagino una solidarietà in extremis fra dittatori: Stalin che offre aiuto a Hitler e a Mussolini, rendendosi conto che, se resta il solo della sua specie, è perduto. Ma sarebbe troppo bello. Preferirà colonizzare direttamente la Germania’’. Il 28 luglio Drieu: ‘’Allo stesso modo oggi potrei votarmi al comunismo, tanto più che ormai ha assimiliato tutto quello che amavo del Fascismo: fierezza fisica, voce del sangue comune all’interno di un gruppo, gerarchia vivente, nobile scambio tra deboli e forti (in Russia i deboli sono oppressi, ma venerano il principio dell’opressione).
É il mondo della monarchia e dell’aristocrazia nel loro principio vitale’’. Il 7 agosto: ‘’Monarchia, aristocrazia e religione oggi sono a Mosca e in nessun altro luogo’’. Il 9 agosto: ‘’Mosca sarà la Roma finale’’. Il 10 settembre 1943: ‘’L’esito logico del comunismo è la teocrazia. …Stalin probabilmente accetterà il compromesso come Clodoveo. La Chiesa diventerà per lui un’altra leva contro gli anglosassoni’’. Drieu il 20 febbraio 1945 era fiducioso che i russi potessero ‘’spiritualizzare il materialismo’’.
Una lucida e radicale linearità di Drieu vedeva con coerenza nei sovietici il nuovo strumento storico per proseguire la lotta contro la decadenza occidentale. Alla liberazione di Parigi nel 1944, rifiutando l’esilio fu costretto a nascondersi. Alcuni amici, come André Malraux e la sua ex moglie Colette Jéramec lo aiutarono. Dopo i due tentativi falliti dell’11 e 12 agosto 1944, il 15 marzo 1945 staccò il tubo del gas ed ingerì una forte dose di gardenal.
16/06/2013