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    Predefinito Re: Il Solstizio d'Estate e la notte di San Giovanni

    La notte di San Giovanni e i riti di Mezzestate

    di Stefania Iadarola


    Il termine “solstizio” deriva dal latino solstitium, a sua volta derivato da sistere nel senso di “fermarsi”, in quanto, proprio in questo periodo, si ha la sensazione che il sole si fermi e torni indietro.

    Durante il solstizio il sole sembra fermarsi, sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto, sino al 24 giugno (per quello invernale il 25 dicembre), quando ricomincia a muoversi sorgendo gradualmente più a sud sull’orizzonte (più a nord per quello invernale).
    La notte di san Giovanni, il 24 giugno appunto, rientra nelle celebrazioni solstiziali; il nome associatogli deriva dalla religione cristiana, perché secondo il suo calendario liturgico, vi si celebra san Giovanni Battista (come il 27 dicembre san Giovanni Evangelista).

    L’inizio astronomico dell’estate è il 21 giugno, il 24 si festeggia la nascita di san Giovanni Battista (fissata per tradizione a 6 mesi esatti prima della nascita di Gesù).

    Il dies natalis dei santi, quello nel quale vengono ricordati nel calendario, corrisponde al giorno della morte: morendo nascono in Cristo. San Giovanni è l’unico santo di cui si festeggia la nascita non intesa come morte il 24 giugno, e la morte il 29 agosto. E’ un privilegio che condivide con la Madonna.

    La data in questione cade vicino al solstizio d’estate, quando già in epoche precristiane venivano celebrati molti culti.

    Giano, dio bifronte del principio e della fine, delle porte e dei confini, nell’era cristiana, ha ceduto il controllo delle “porte solstiziali”. A guardia di tali porte è stato infatti sostituito dai due Giovanni: san Giovanni Battista che governa sul solstizio d’estate, san Giovanni Evangelista che presiede al solstizio invernale. E infatti la festa di san Giovanni Battista, detto anche san Giovanni d’estate, ricorre il 24 giugno e quella di san Giovanni Evangelista, detto anche san Giovanni d’inverno, il 27 dicembre, esattamente le stesse date in cui i Collegia Fabrorum festeggiavano Giano.

    Nel Cristianesimo sono le feste di san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista ad essere in rapporto con i due solstizi. Veramente si situano alcuni giorni dopo la data esatta dei due solstizi, una il 24 giugno e l’altra il 27 dicembre: «Il che – secondo il Guénon – ne fa apparire ancora più chiaramente il carattere, poiché la discesa e la salita sono allora già cominciate effettivamente».

    Così, i due san Giovanni hanno sostituito Giano, anche se la ricorrenza solstiziale di dicembre si è andata complicando, perché alla festa giovannea si è sovrapposto lo stesso Natale e il Sole nascente è diventato, come doveva diventare, il simbolo del Cristo Bambino.

    La somiglianza fonetica fra Janus (Giano) e Joannes (Giovanni) è evidente e porterebbe a ritenere che la collocazione delle feste dei santi Giovanni in prossimità dei due solstizi non sia stata casuale, ma servisse non tanto a cancellare il culto arcaico, quanto a “riscriverlo” in termini cristiani.

    In effetti, era alquanto arduo sradicare un costume tanto profondo: gli uomini vivevano i solstizi in maniera coinvolgente, ritenendoli momenti di transizione, nei quali era possibile trasformare e sviluppare la rispettiva condizione interiore: una sorta di transitio verso presupposti migliori.

    Secondo le tradizioni nordiche, proprio il 24 giugno corrisponde al giorno di Mezzestate. Il mondo naturale e il soprannaturale si compenetrano e cose ritenute impossibili diventano possibili. Tale giorno è ricordato anche nella celebre commedia di William Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate, dove sono raccontati appunto gli amori e gli incanti nei boschi abitati da fauni e fate che si divertono a burlarsi dei poveri umani.

    Si suppone che in tale notte avvengano strani prodigi e meraviglie, per cui si organizzano veglie e riti. Per difendersi dagli spiriti maligni, che si credeva apparissero in questa notte, gli antichi usavano erbe e fiori.

    La più potente delle erbe scaccia-diavoli era l’erba di san Giovanni che si pensava avesse anche dei poteri divinatori. Tale erba, usata ancora oggi in erboristeria, altro non è che l’Hypericum perforatum, una pianta perenne alta dai 30 agli 80 cm, con fusto ramificato nella parte superiore dove si raccolgono, a mazzetti, i fiori gialli che fioriscono in primavera-estate.

    Con la cristianizzazione, si diffuse la leggenda che l’iperico fosse nato dal sangue di san Giovanni e che il diavolo volesse distruggerla trafiggendola, ma l’unico risultato ottenuto era stato quello di perforarle le foglie.

    Schiacciando le foglie se ne ricava un pigmento rosso-bluastro che è il principio attivo dell’iperico e ha un odore pungente simile a quello dell’incenso. Come incenso l’iperico veniva anche bruciato, dando così origine alla convinzione popolare che servisse a scacciare i diavoli; da qui il suo antico nome “Fugademonum”.

    Si bevevano anche pozioni di tale erba per cacciare i diavoli dal corpo. Oggi sappiamo che in tutto questo c’è una fondamento scientifico in quanto l’ipericina (il principio attivo dell’iperico) in effetti allontana i cattivi pensieri grazie alle sue virtù terapeutiche contro la depressione per la quale oggi è usata in tutto il mondo.

    La notte di san Giovanni è anche collegata al noce e ai suoi frutti che in molte zone d’Italia si usa tuttora raccogliere in questa notte, ancora acerbi, per preparare il nocino, liquore ritenuto possedere virtù magiche.

    Nel Medioevo si pensava che in questa notte le streghe volassero nel cielo per radunarsi sotto il grande noce di Benevento: antiche credenze riconoscevano nel noce una pianta sacra, anche magica. Si diceva che il noce rappresentasse l’ultimo rifugio delle streghe condannate al rogo, esse potevano salvarsi dal supplizio trasformandosi in spirito ed entrando nel più vicino tronco di noce, per poi riacquistare la libertà al momento dell’abbattimento dell’albero.

    Durante questa festa, secondo un’antica credenza, il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua); da questo derivano tutti i riti e gli usi dei falò e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare; non a caso gli attributi di san Giovanni sono il fuoco e l’acqua, con cui battezzava.

    Nelle culture antiche, l’opposto rappresentava continuità e in occasione della solennità di san Giovanni, si celebrava il fuoco e l’acqua nello stesso tempo.

    Più o meno in tutte le campagne d’Europa, infatti, si accendevano falò per glorificare il sole che, dal solstizio, sembra perdere progressivamente il suo fulgore. Il rogo, nella mentalità popolare, doveva servire per sostenere l’astro affinché conservasse la sua forza, allontanando le avversità che lo inducevano a soccombere. Un rogo benevolo, quindi, in quanto capace di espellere ciò che può essere dannoso e per questo i contadini bruciavano all’aperto, nella notte della vigilia, grande cataste di legna.

    I falò accesi nei campi la notte di san Giovanni erano considerati, oltre che propiziatori, anche purificatori e l’usanza di accenderli si riscontra in moltissime regioni europee e persino nell’Africa del Nord.

    I contadini si posizionavano su dossi o in cima alle colline, e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa; spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate delle ruote di fascine, che venivano in seguito fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti.

    Come già detto, i falò avevano però anche una funzione purificatrice: per questo vi si gettavano dentro cose vecchie o marce, affinché il fumo che ne scaturiva tenesse lontani spiriti maligni e streghe; si riteneva, infatti, che proprio durante questa particolare notte, le streghe si riunissero e scorrazzassero per le campagne, alla ricerca di erbe.

    In alcuni casi si bruciava, come per l’Epifania, un pupazzo, così da bruciare in effigie la malasorte e le avversità; inoltre, si faceva passare il bestiame tra il fumo dei falò, in modo da togliergli le malattie e proteggerlo sia da queste sia da chiunque vi potesse gettare fatture e malie.

    Chi salta il fuoco è sicuro di non dover soffrire il mal di reni per tutto l’anno. Gettando erbe particolari (come la verbena) nel fuoco del falò, si allontana la malasorte.

    La mattina del 24 giugno le persone girano tre volte intorno alla cenere lasciata dal falò e se la passano sui capelli o sul corpo per scacciare tutti i mali.

    Il solstizio era anche glorificazione dell’acqua che, simbolo della fecondità e della purificazione, quale elemento principale da cui si ha la rigenerazione, la ritroviamo nella rugiada che consacra le erbe e le rende idonee ai molteplici impieghi terapeutici o prodigiosi.

    La rugiada della mattina di san Giovanni, ovviamente legata all’elemento acqua, ha il potere di curare, di purificare e di fecondare.

    Nel Nord Europa, se una donna desiderava avere molti figli, doveva stendersi nuda, o rotolarsi, nell’erba bagnata. Lo stesso tipo di rituale veniva effettuato nel caso in cui la donna desiderasse bei capelli e una buona salute.

    La prima acqua attinta la mattina del 24 giugno manteneva la vista buona. Recarsi all’alba sulla riva del mare a bagnarsi, aveva il potere di preservare dai dolori reumatici.

    Una leggenda tramanda che, vicino al famoso Noce di Benevento, ci fosse un laghetto o un torrente in cui le donne si bagnavano, proprio in questa notte, per aumentare la fertilità.

    La notte di san Giovanni è notoriamente legata a tantissime forme di divinazione, utilizzando come base acqua oppure piante. Le divinazioni più comuni vertevano sull’indovinare qualcosa del proprio futuro amoroso e matrimoniale.

    Le ragazze da marito, se volevano conoscere qualcosa sulle loro future nozze, dovevano, la sera della vigilia del 24 giugno, rompere un uovo di gallina bianca e versarne l’albume in un bicchiere o in un vaso pieno d’acqua. Poi dovevano metterlo sulla finestra, lasciandolo esposto tutta la notte alla rugiada di san Giovanni. Il mattino successivo, appena levato il sole, si sarebbe preso il bicchiere e, attraverso le forme composte dall’albume nell’acqua, si sarebbero tratti auspici sul futuro matrimonio.

    Oltre all’uovo poteva venire impiegato il piombo fuso: versato nell’acqua si raffreddava velocemente e, dalla forma assunta, si traevano previsioni sul mestiere del futuro marito.

    Come periodo dell’anno in cui la natura trionfa in tutta la sua abbondanza, il solstizio d’estate finisce inevitabilmente per essere ovunque associato alla fertilità e alla sessualità. Giugno è ancora il mese più popolare per i matrimoni.

    In Sardegna, le coppie del solstizio d’estate venivano chiamate “compari e comari di san Giovanni”, e il rito prevedeva l’offerta di vasi di germogli di grano, come per sottolineare la connessione tra la sessualità umana e la fertilità della natura.

    Con le feste del solstizio estivo il Santo è visto come protettore dalle influenze malefiche: nel momento in cui inizia la fase “oscura” del cielo annuale e le minacce delle forze del male e delle tenebre sembrano farsi più forti, si sente la necessità di qualcuno che assicuri la rinascita della luce.

    Gli antichi senza dubbio colsero un significato nella strana ironia per cui quando la luce e la vita sono al culmine, al solstizio d’estate, si gettano i semi della morte, delle tenebre e del decadimento; e lo stesso vale per il contrario, al solstizio d’inverno.

    Ecco forse spiegato il motivo per cui si svilupparono tutta una serie di riti – i fiori, il fuoco, le nozze e i funerali – che accompagnavano la festa di Mezzestate: era una celebrazione della trasformazione.

    A Mezzestate, nello sbocciare di un fiore, nel fuoco, nel sesso e nella morte, si liberano le energie, avviene una trasformazione, e il Cielo e la Terra si riuniscono per un momento. E poi la vita continua.


    Bibliografia

    Vania Gasperoni Panella, Maria Grazia Cittadini Fulvi, Dal mondo antico al cristianesimo sulle tracce di Giano, Morlacchi Editore, 2008

    Richard Heinberg, I riti del solstizio, Edizioni Mediterranee, 2001

    Roberto La Paglia, Le superstizioni dalla A alla Z dal Piemonte alla Sicilia, Hermes Edizioni, 2006

    La notte di San Giovanni e i riti di Mezzestate | AssoCassini
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    Predefinito Re: Il Solstizio d'Estate e la notte di San Giovanni

    Citazione Originariamente Scritto da Tomás de Torquemada Visualizza Messaggio
    La rugiada della mattina di san Giovanni, ovviamente legata all’elemento acqua, ha il potere di curare, di purificare e di fecondare.

    Nel Nord Europa, se una donna desiderava avere molti figli, doveva stendersi nuda, o rotolarsi, nell’erba bagnata. Lo stesso tipo di rituale veniva effettuato nel caso in cui la donna desiderasse bei capelli e una buona salute.
    Accanto al fuoco, che aveva una funzione purificatoria, vi era la rugiada dalle virtù fecondatrici. Le giovani spose, che volevano ottenere molti figli, sollevavano le vesti sedendosi o accoccolandosi sull'erba umida a monte Testaccio, nelle vigne e nei giardini, per un intimo lavacro propiziatorio. Ma anche gli uomini volevano godere delle virtù miracolose della rugiada in luoghi appartati e in compagnia dell'altro sesso, sicché l'atmosfera gioiosa della notte, cui contribuivano anche cibi e vini, favoriva giochi vivaci che attentavano alla pubblica e privata moralità. Il 19 giugno 1753 un editto proibì quelle pratiche, che dovevano essere ben radicate se due anni dopo, il 18 giugno 1755, il cardinale vicario Marco Antonio Colonna ribadiva la disposizione scrivendo: «La Santità di Nostro Signore per impedire gl'inconvenienti, che sotto vano pretesto di prendere la guazza, sogliono commettersi nella notte precedente alla Festa della Natività del glorioso precursore S. Gio. Battista, ci ha comandato coll'Oracolo della sua viva voce di rinnovare il presente Editto altre volte pubblicato, in cui coll'autorità del Nostro Uffizio non solo in questo, ma in ogni altro Anno avvenire espressamente proibiamo a qualsivoglia persona dell'uno e l'altro sesso di portarsi in detta notte fuori delle porte della Città, o in luoghi disabitati, come a monte Testaccio, alle vigne, e giardini sotto qualsivoglia pretesto che possa recar scandalo, o dar motivo di credere ciò farsi in continuazione de' passati abusi, sotto pena in caso di contravvenzione rispetto agli Uomini di tre tratti di corda da darsegli in pubblico, e di scudi cinquanta, ed altre pene a nostro arbitrio secondo la qualità delle persone, da applicarsi la metà ad usi pii, e l'altra metà per un quarto agli Accusatori, che saranno tenuti segreti, e l'altro quarto agli Esecutori. Rispetto poi alle Donne sotto pene gravi anche corporali a nostro arbitrio. E per togliere affatto ogni occasione ai mentovati disordini si ordina e comanda a tutti gli osti e bettolieri, che nella Vigilia di detto santo debbano tenere serrate le loro osterie, e bettole dalle tre ore della notte alle dieci del giorno sotto le medesime pene, nelle quali incorreranno anche le persone che saranno trovate in detti luoghi ancorché stessero a porte chiuse. Avvertendo finalmente, che contro i trasgressori tanto nel primo che nel secondo caso si procederà anche per inquisizione, e in ogni altro modo alla cattura, e all'esecuzione delle pene sopradette».

    Ma proibizioni e minacce non sradicarono queste usanze se erano ancora documentate nell'Ottocento. Furono i governanti del Regno d'Italia a risolvere drasticamente il problema con una repressione sistematica grazie a funzionari meno indulgenti di quelli papalini: nel 1872, a due anni dalla presa di Roma, vietarono la festa notturna all'aperto perché la sua atmosfera carnascialesca era poco consona, secondo loro, alla dignità della capitale: tuttavia non chiusero, bontà loro, le osterie. Delle antiche usanze rimase soprattutto il gusto di suonare campanacci, di schiamazzare e di giocare alla morra, mangiando le tradizionali lumache le cui corna, si diceva, erano il simbolo della discordia: perciò seppellendole nello stomaco si cancellavano rancori e odi. E un altro proverbio assicurava che per ogni cornetto di lumaca una sventura era scongiurata. Questa funzione benaugurante si può riallacciare al simbolismo dell'animale. Già si è spiegato che il Cancro, all'inizio del quale cade il solstizio estivo, è un segno d'acqua e casa della luna. La lumaca, a sua volta, è un simbolo lunare, che indica la rigenerazione periodica con i suoi cornetti che mostra e ritira alternativamente, così come la luna appare e scompare nel suo ciclo perenne di morte e rinascita. Sicché la lumaca è simbolo di movimento nella permanenza e di fertilità, dunque animale omologo alla porta solstiziale.

    Alfredo Cattabiani, Calendario (Saggi Mondadori, pag. 239-240)

  3. #13
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    Predefinito Re: Il Solstizio d'Estate e la notte di San Giovanni

    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  4. #14
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    Predefinito Re: Il Solstizio d'Estate e la notte di San Giovanni

    La Magica e rugiadosa notte di San Giovanni


    Immagine dal sito http://www.abruzzoservito.it/

    La notte del 23 Giugno è la notte magica per eccellenza. Si fondono insieme, infatti, antichissime tradizioni popolari e profondi significati esoterici e religiosi per il fatto che, la ricorrenza di San Giovanni, è legata al solstizio d'estate corrispondente a quello d'inverno che si ricorda a Natale. In concomitanza con il solstizio estivo, quando il sole raggiunge la sua massima declinazione positiva per poi riprendere il cammino invernale, ha inizio l'estate, quindi, San Giovanni, è la festa solare per eccellenza, la vittoria schiacciante della luce sulle tenebre, del bene sul male. Ma la spiegazione più chiara ed eloquente sull'importante e significativa situazione astrale la fornisce Maria Castelli Zanzucchi, scrittrice, studiosa di tradizioni nonchè autrice di interessanti pubblicazioni.

    "Il sole raggiunge il 23 Giugno il punto più alto: è sapere comune che la notte di San Giovanni è il tempo in cui i pianeti ed i segni zodiacali concorrono a caricare di virtù le pietre e le erbe. E' una notte magica, la notte dell'impossibile, dei prodigi, degli inganni, degli influssi malvagi e delle streghe".

    A Parma e nel parmense le tradizioni d'la rozäda äd San Zvan non si contano: dalle più note, come quelle gastronomiche che vogliono in tavola i tradizionali tortelli d'erbetta, a quelle meno note, le cui origini si perdono nella notte del tempo. Ma se i tortelli, a Parma e nel suo contado, sono rigorosamente confezionati con un "magico" ripieno di ricotta, erbette, una sapiente spruzzata di noce moscata, il tutto abbracciato da una sfoglia gialla e sostanziosa tirata a mano, frutto di un impasto di acqua e farina e freschissime uova di gallina di pollaio e non di batteria, in montagna i tortelli prevedono un ripieno diverso composto, sempre di ricotta, alla quale le rezdore montanare aggiungono punte di ortiche novelle e patate per renderlo morbido e vellutato. Un'altra differenza tra i tortelli "cittadini" e quelli "montanari" è la "coda di pasta": i primi la prevedono, i secondi no. Burro e formaggio Parmigiano (preferibilmente di collina e di vacche rosse) esaltano questi capolavori gastronomici dell'estate parmigiana che vanno rigorosamente gustati coi piedi sotto la tavola all'aperto, preferibilmente, tempo permettendolo, sotto un fronzuto bersò alla confidenziale luce di sconnesse lampadine sulle quali vanno a sbattere le farfalle della notte. In caso di maltempo la tradizione vuole che si festeggi San Giovanni sotto il porticato, oppure nell'andito della casa di campagna, come si faceva un tempo, a patto che si lasci la porta aperta per favorire i benefici influssi rugiadosi.

    Per quanto concerne le tradizioni della notte magica del 23 Giugno non c'è che l'imbarazzo della scelta. Esaminiamo dunque tutte quelle che abbiamo potuto catalogare sulla base di approfondite ricerche e testimonianze rese da alcuni vecchi della bassa, della pedemontana e della montagna.
    La notte di San Giovanni, dunque, è definita anche "notte delle streghe" che la tradizione vuole vedere danzare sotto un noce (pare che in lunigiana nella Valle del Taverone, ancor oggi le streghe effettuino il loro sabba attorno alla secolare quercia di Morian ad un tiro di schioppo dalla Pieve di Venelia). E' la notte dei falò che i nostri vecchi accendevano per perpetuare un rito magico interpretato da alcuni studiosi come magia purificatrice atta a scacciare i demoni e le forze occulte della natura. La terra si imbeve di strani influssi, le erbe medicinali, madide di rugiada, acquistano maggiore efficacia e la vite rende agli acini dei grappoli, si dice, la prima goccia di succo. Il Felce maschio, ad esempio, nella notte di San Giovanni fiorisce e sfiorisce per il fatto che a mezzanotte lascia cadere il proprio seme e, chi lo trova, sarà fortunato e rinverrà, chissa dove, un prezioso talismano. Il Prezzemolo bollito e messo in infusione preserverà dall'invidia, dalla stregoneria e dal malocchio. Le ragazze, per trovare l'amore, dovevano, sempre nella notte solstiziale, strofinare sulla Mentuccia dei campi, la parte più intima del corpo. I Contadini, dal canto loro, erano fermamente convinti che inumidendosi il viso con le foglie di Tarassaco, imbevute di rugiada, avrebberero combattuto i malanni. Anche le rezdore custodivano i loro segreti. Infatti, usavano esporre, quella notte, le coperte e gli abiti dei congiunti che avevano più cari onde preservare gli abiti dalle tarme e le persone dalle sciagure. La rugiada ed il clima purificatore della notte äd San Zvan servivano a rendere più bianca la tela che veniva stesa sull'erba. Sempre il 23 Giugno si cavava l'aglio e lo scalogno che venivano stesi nell'orto perchè la rugiada potesse irrorarli e quindi preservarli dal marciume, come pure le noci per fare il balsamico nocino venivano spiccate nel cuore di questa magica notte padana unitamente ai perèn äd San Zvan: perine gustosissime che, se non raccolte nella notte solstiziale, "fanno il bego" come si usa dire nel linguaggio agreste.

    L'usanza e la pratica di raccogliere erbe e frutti nella notte di San Giovanni è ancor oggi in uso in qualche zona della campagna e della pedemontana ricalcando antichissime tradizioni. Ed allora, con l'intento di preparare un herbario solstiziale estivo, si possono raccogliere l'artemisia (cintura del diavolo) che ha il potere di rendere fertili, l'iperico (scacciadiavoli) ritenuto potentissimo contro i malefici ed il malocchio, la camomilla (da raccogliere con la mano sinistra facendo attenzione che i fiori non tocchino terra), la malva e la ruta (che preservano dal malocchio bambini e giovani coppie di sposi), la savina perché ricca di virtù curative, il ranuncolo doppio (pè d'oca) per impacchi contro le vesciche, la chelidonia maggiore (erba sardogna) il cui lattice giallognolo era efficacie per estirpare verruche e fare cadere denti doloranti, il camedrio (erba ed cursola) dalle proprietà diuretiche depurative, il semprevivo dei tetti (guerda cà) per curare herpes, orecchioni e combattere il malocchio. Inoltre con le dita medicinali (pollice e anulare) si raccoglievano l'elleboro nero e lo stramonio che preservavano dal malocchio e curavano l'isteria. Ed ancora: il tasso barabasso utilissimo a mitigare i dolori, la dulcamara come efficace rimedio per le malattie della pelle, l'erba morella, il terribile giusquiano veleno potente che addormenta il dolore, la belladonna utilizzata per calmare gli spasmi dei parti, mandragora e datura capaci di procurare sortilegi e deliri. Si raccoglievano pure, "battezzate" dalla rugiada, le galle (gurgali) per curare dissenterie ed emorroidi, l'assenzio (medegh) utilizzato come cardiotonico e somministrato anche ai conigli imbalonè (con il ventre gonfio), la gomma-lacca dei cigliegi per preparare olii contro i reumatismi, le bacche dell'olmo per curare tagli e ferite, i petali della rosa canina contro la tosse.

    Altre simpatiche usanze imponevano ai mariti, in Val d'Enza, di donare alla rezdora, la notte di San Giovanni, un mazzetto di fiori di zucca imperlati di rugiada in segno di fortuna, abbondanza e, alle giovani coppie, augurio di numerosa prole. Altre tradizioni vogliono che nella notte solstiziale (nella bassa) siano strappate alcune foglie di rafano (cren). Conservate sott'olio, con l'unguento che si andava a formare, si potevano fare massaggi durante l'inverno per lenire dolori artritici. Un'altra tradizione (in uso nella pedemontana) consigliava alle ragazze da marito di mangiare, nella notte di San Giovanni, una strana insalata composta da fiori di acacia (gaggìa) e petali di rosa, il tutto condito con olio, sale e pepe: era convinzione comune che questo profumatissimo mix vegetale favorisse incontri amorosi e facilitasse la fecondità nelle spose. Per i contadini della Val d'Enza la tipica erba di San Giovanni era il ramerino di monte, il cui decotto aveva una funzione depurativa e facilitava il ciclo mestruale delle donne. Un fiore magico e fiabesco, che la gente dei monti riteneva, secondo un'antica leggenda, essere l'ombrello del folletto, è il giglio dei boschi dall'affascinante color mattone che, nella notte di San Giovanni, era convinzione dei nostri vecchi parlasse agli animali del bosco spandendo attorno a sé una luce soave.

    La gente dei campi festeggiava San Giovanni, non solo per un fatto propiziatorio, quanto per un'esigenza purificatrice. La terra, infatti, dopo il raccolto aveva la necessità di essere purificata dalla rugiada per essere pronta a ricevere la nuova semina. Il contadino, nella sua straordinaria saggezza, sempre nel corso della magica notte di Giugno, usava interpretare il volo delle lucciole. A seconda della baluginante danza degli insetti, si tentava di indovinare l'andamento e quindi le fortune o le sfortune dell'anno agricolo affidandosi alla cabala della natura. Se le lucciole volavano rasentando i fossi si sarebbe trattato di un'estate torrida e siccitosa; in caso contrario, se volavano lambendo i rami delle siepi e delle piante e cioè si portavano verso l'alto, l'estate sarebbe stata fresca e piovosa. Un altro singolare espediente per conoscere l'andamento meteorologico si otteneva esponendo dodici fette di cipolla, corrispondenti ai 12 mesi dell'anno. Nella mattinata del 24 Giugno, le fette nelle quali la rugiada risultava più abbondante, indicavano i mesi più piovosi.

    In alta Val Cedra, al confine con la Lunigiana, le comunità pastorali stanziate sull'alpe, nella notte solstiziale accendevano falò e cenavano a base di coniglio selvatico che, in occasione della rozada ad San Zvan, avrebbe avuto le carni particolarmente tenere e gustose. Addirittura a mezzanotte i rabdomanti tagliavano dai noccioli e dai salici i rami biforcuti per la loro bacchetta divinatoria, mentre medgon'ni e strii raccoglievano le erbe necessarie alla preparazione di pozioni e filtri magici. Ed inoltre, secondo un'antichissima tradizione montanara, si dice che chi rompeva un uovo nell'acqua bollente, sempre nella notte del 23 Giugno, otteneva la sagoma di una barca a vela, mentre c'era chi nascondeva uno specchietto sotto il cuscino per vedere le sembianze del diavolo che, alla mezzanotte, mostrava il suo vero volto. Collane d'aglio venivano esposte davanti alla porta di casa, mentre un'altra tradizione della bassa padana, dal reggiano al mantovano, voleva che il rezdor, munito di aglio, si aggirasse nella notte di San Giovanni per la casa e scacciasse i folletti e gli spiriti maligni che si sarebbero annidati negli angoli più reconditi delle stanze, della cantina, del solaio, della stalla e del pollaio dove la benedizione pasquale del prete non era arrrivata. Mentre in Lunigiana e Garfagnana le incursioni di streghe, streghi e folletti venivano neutralizzate, sempre con aglio e facendo bruciare falò nei campi al rintocco delle campane all'ordinotte. Fortunatissimo era considerato colui o colei che nella notte solstiziale del 23 Giugno avesse visto o incontrato un gufo (portatore di saggezza e di fortuna). Ad una sorte diversa e totalmente contraria potevano incappare coloro che avevano la sventura di avere un incontro ravvicinato con uno o più pipistrelli all'interno della casa. Immediatamente si doveva fare uscire la bestiaccia e quindi spargere sale sul pavimento sorvolato dal vampiro, quindi le massaie avevano il compito di legare agli "scuri" mazzetti di aglio allo scopo di tenere lontano l'indesiderato ospite.

    Tradizioni senza senso e senza età, usanze che si sono tramandate nel tempo ma che, alla fin fine, celano delle loro verità evanescenti ed eteree come la schiuma del Lambrusco con il quale si brindava fino a che si azzurrava il cielo di questa magica notte padana.

    Lorenzo Sartorio - "Sulla strada dei Fantasmi"
    Mappa dei luoghi magici e misteriosi del Parmense e della Lunigiana

    La Magica e rugiadosa notte di San Giovanni
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 23-06-14 alle 23:56
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

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    Predefinito Re: Il Solstizio d'Estate e la notte di San Giovanni

    Morena Deriu

    LA NOTTE DI SAN GIOVANNI BATTISTA E LA MAGIA DI MEZZA ESTATE

    Riti e tradizioni della Sardegna


    Notti di mezza estate, notti d'amore e di magia quando la Luna e il Sole s'incontrano prima che l'astro inizi la sua lenta ritirata e le giornate si facciano più corte. Non c'è popolo che non abbia festeggiato il Solstizio d'estate con tradizioni che, come spesso accade, dal mondo pagano sono arrivate a quello cristiano.

    E così il 24 giugno il calendario liturgico celebra San Giovanni Battista, uno dei Santi più amati in Sardegna. Ancora oggi nell'isola la vigilia è rischiarata dai fuochi alimentati dalle "erbe di San Giovanni" raccolte al chiaro di luna. Secondo la medicina popolare, in questa notte le erbe raggiungono il massimo delle proprietà. Alle donne era affidato il compito di raccoglierle: assenzio, elicriso, iperico, lavanda, menta, rosmarino, timo e non solo. Le cosiddette erbe di San Giovanni sarebbero state utilizzate durante l'anno a scopo terapeutico e apotropaico (per combattere, quindi, malocchio e sfortuna); i loro fiori messi a mollo in numero dispari, da una donna a digiuno, per una notte. La mattina l'acqua avrebbe lavato e impreziosito il viso.

    Un mazzetto era appeso a porte e finestre per scacciare le invidie. Dalla raccolta c'era tempo un anno per utilizzare le piante. Alla vigilia successiva, le donne avrebbero provveduto al nuovo raccolto e i residui del precedente avrebbero alimentato i falò. Ancora oggi, quando le fiamme si abbassano, coppie dello stesso sesso o di sesso opposto saltano sul fuoco sancendo il Comparatico, un legame tra compari e comari destinato a durare per sempre e fissato, in alcune zone, dal dono de su nenniri, preparato dalle donne su pezzi di corteccia di sughero, su cui il grano ha germinato al buio.



    J. W. Waterhouse, Il cerchio magico (1886)


    La tradizione ha inoltre affidato alle donne i due riti forse più affascinanti della notte di San Giovanni: sas funtanas e s'abba muda. A Bono, dopo la messa vespertina, al dodicesimo rintocco della campana, le donne si recano in processione alla Chiesa del Santo e poco prima di mezzanotte bussano alla porta dicendo: "Santu Juanne andende semus". Si dirigono poi a sas funtanas da cui attingono l'acqua da esporre ai raggi di luna e utilizzare a scopi terapeutici. In Gallura e nel Sassarese, poi, le donne desiderose di una grazia attraversavano le vie del paese con un recipiente d'acqua di fonte, di cui offrivano un sorso a chiunque incontrassero. Il rito de s'abba muda doveva avvenire in silenzio; in caso contrario, la donna gettava via l'acqua e ricominciava da capo.

    La magia di questa notte non era fatta, però, solo di erbe, acque terapeutiche e legami indissolubili. Le donne erano, infatti, protagoniste anche del suo aspetto divinatorio: l'usanza (diffusa in tutta l'isola) di trarre pronostici dalle forme assunte dal piombo in una pentola d'acqua bollente sembra, infatti, che divenisse particolarmente efficace. Durante la raccolta delle erbe, c'era inoltre chi segnava con un filo il verbasco (s'erba 'e santu Jubanne), l'elicriso o l'iperico per poi verificare all'alba la presenza di un insetto sulla pianta: allora il matrimonio entro l'anno era garantito (a seconda dell'animale si poteva divinare il mestiere dello sposo); in caso contrario, ci sarebbe stato tempo l'anno successivo per sposarsi. Un'altra variante prevedeva che le erbe fossero poste sotto il cuscino e che il viso dello sposo si mostrasse in sogno o che il suo nome cominciasse con l'iniziale del primo uomo che la donna avesse visto passare in strada dalla finestra. Se il sogno di mezza estate non avesse svelato il pronostico, l'appuntamento sarebbe stato dopo un anno, quando il sole e la luna avessero rinnovato la loro danza nel cielo, in una notte magica in cui tutto poteva succedere.



  6. #16
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    Predefinito Re: Il Solstizio d'Estate e la notte di San Giovanni

    Peppe Caridi

    LA NOTTE DEL SOLSTIZIO


    E' la notte del Solstizio d'Estate 2016, che quest'anno scocca alle 22:43 UTC del 20 giugno (le 00:43 del 21 Giugno in Italia): per pochi minuti, quindi, il momento del Solstizio combacerà con la fatidica data convenzionale del 21 giugno. Ma quest'anno c'è una coincidenza speciale e rarissima: la notte del Solstizio, infatti, combacia con la Luna piena. Una circostanza rarissima che accade una volta ogni 70 anni, e che quindi per molti una sola volta nella vita. Ma il solstizio è molto altro: un giorno di particolare importanza sin dall'antichità, nel quale molte culture ancora oggi celebrano vari eventi. Dal punto di vista scientifico, il Sole si trova alla sua declinazione massima e quindi alla sua massima altezza sull'orizzonte.

    Il Sole e il suo simbolo, il fuoco, sono al centro di tutte le religioni delle antiche civiltà e rappresentano le divinità positive, contrapposte a quelle tenebrose e malvagie. Astronomi e sacerdoti, quindi, all'alba della civiltà, si identificano. Altari e osservatori astronomici si confondono. Non c'è da stupirsi, quindi, se in ogni tempo e luogo il giorno del Solstizio viene celebrato con feste, falò, rituali magici e religiosi. Ancora oggi si celebra la natività cristiana di Giovanni Battista, uno dei personaggi più importanti della storia biblica. Non a caso è anche conosciuta come "la notte di San Giovanni", che cade tra il 23 ed il 24 Giugno. Nel corso di questa notte si usa bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, " San Giovanni non vuole inganni". La festa di San Giovanni è una celebrazione legata intimamente alle credenze pagane, pre-cristiane, ed al periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche.

    In Gran Bretagna, a Stonehenge, sopravvivono gli imponenti ruderi di un tempio druidico: due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate. L'asse del monumento è orientato astronomicamente, con un viale di accesso al cui centro si erge un macigno detto "pietra del calcagno" (Heel Stone). Al solstizio d'estate il Sole si leva al di sopra della Heel Stone. Pare che alcune combinazioni tra i macigni permettessero di prevedere le maree e le eclissi di Luna e di Sole secondo un ciclo di 56 anni. Stonhenge, insomma, sarebbe non solo un tempio, ma anche un calendario, un osservatorio e una calcolatrice.




    Stonehenge all'alba del solstizio d'estate (21 giugno 2005)



    Tracce di culti solari si incontrano in tutto il mondo, dalla Polinesia all'Africa alle Americhe, e giungono fino ai nostri giorni: per gli eschimesi il Sole è la Vita mentre la Luna la Morte, in Indonesia il Sole si identifica con un uccello e con il potere del volo, tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il Sole, creatore della Terra. Ma facciamo qualche passo indietro. Per gli Inca, la cui massima fioritura si ha intorno al quindicesimo secolo, la divinità Inti è il Sole, sovrano della Terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l'imperatore. Attorno a Cuzco, capitale dell'impero, sorgono i Mojones, torri usate come "mire" per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi. A Macchu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il Torreon, una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l'Intihuatana, un orologio solare ricavato nella roccia.

    Sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico. Il "sole che rotola via" è associato, in un certo senso, alla testa del San Giovanni decapitato, che nella memoria religiosa si sovrappone al sole che cambia direzione. La trasversalità di queste tradizioni, comuni a popoli così diversi, è facilmente spiegabile. In molte zone d'Italia ancora oggi si svolgono riti e feste di origine pagana, che la Chiesa ha cercato di cancellare, non riuscendoci completamente, perché tali credenze sono radicate nelle usanze popolari. Così oggi, per la festa di San Giovanni, si svolgono celebrazioni con questa strana mescolanza di elementi sacri e profani.


    Stralcio di un articolo di Peppe Caridi - dal sito MeteoWeb

    L'articolo completo

 

 
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