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  1. #1
    Avamposto
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    Predefinito La Repubblica Islamica dell'Iran -












  2. #2
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    Repubblica Islamica dell'Iran

    ( Jomhuri-ye Eslami-ye Iran )





    L'Iran si colloca fra Medio e Vicino Oriente, a sud del Mar Caspio ed ha un lungo tratto di costa sul Golfo Persico e su quello di Oman.

    Il territorio iraniano è in buona parte costituito da un altopiano, orlato in vari punti da catene montuose spesso di un certo rilievo, numerose anche le zone desertiche, solo nei pressi del confine meridionale con l'Iraq e sulle coste del Caspio vi sono condizioni ambientali ideali per l'agricoltura.





    Superficie: 1.638.489 Km²
    Abitanti: 66.129.000
    Densità: 40 ab/Km²

    Forma di governo: Repubblica islamica
    Capitale: Teheran (6.835.000 ab.)
    Altre città: Mashad 2.015.000 ab.
    Esfahan 1.925.000 ab.
    Tabriz 1.000.000 ab.
    Shiraz 850.000 ab.
    Gruppi etnici: Iraniani 50%
    Azeri 17%
    Tagichi 15%
    Curdi 9%
    Arabi 2%
    Beluci 2%
    Armeni 0,5%
    Paesi confinanti: Turchia e Iraq ad OVEST
    Armenia, Azerbaigian e Turkmenistan a NORD
    Afghanistan e Pakistan ad EST

    Monti principali: Damavand 5670 m
    Fiumi principali: Karun 830 Km
    Laghi principali: Mar Caspio 371.000 Km² (comprese parti russa, azera, turkmena e kazaka)
    Lago di Urmia 5800 Km² (in media)
    Namak 1800 Km²
    Isole principali: Qeshm 1330 Km²
    Clima: Continentale - arido

    Lingua: Farsi (ufficiale), Turco, Curdo, Arabo
    Religione: Musulmana sciita 99%
    Moneta: Rial iraniano


    GlobalGeografia - Asia, Iran

  3. #3
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    La Repubblica Islamica dell'Iran e l'ipocrisia statunitense

    di Manuel Negri





    La disinformazione, la cattiva e la falsa propaganda occidentale nei confronti dell'Islam e, in particolar modo, nei riguardi della Repubblica Islamica dell'Iran, risulta far parte di un più ampio disegno strategico intessuto dal Sistema giudaico-mondialista, volto alla destabilizzazione e ad un ipotetico indebolimento della compattezza della Repubblica Islamica.

    Recentemente, le consultazioni elettorali per il rinnovo del Majlis, hanno favorito i più 'frivoli favoleggiamenti' e le 'melliflue analisi' da parte degli 'scribacchini' benpensanti dei 'grandi' organi di (dis)informazione. All'opinione pubblica occidentale, completamente ignorante e volutamente male informata della realtà iraniana, la campagna elettorale è stata presentata come una sfida tra conservatori e riformisti, come se si trattasse di una contrapposizione tra due schieramenti antagonisti, sulla falsa riga di un bipolarismo di stampo anglosassone. Niente di più falso.

    Innanzitutto, non è possibile giudicare la politica di uno Stato come la Repubblica Islamica dell'Iran utilizzando i 'parametri' delle democrazie parlamentari dell'occidente. "Il governo islamico non è affine agli attuali sistemi di governo. (…) Il governo islamico non è dispotico, bensì costituzionale. Tuttavia, non è costituzionale nel significato corrente della parola, che si riferisce al sistema parlamentare o ai consigli del popolo. E' costituzionale nel senso che coloro i quali hanno la responsabilità degli affari pubblici osservano un certo numero di condizioni e di norme sottolineate nel Corano e nella Sunna, in cui si esprime la necessità di prestare osservanza al sistema islamico e di applicare i dettami e le leggi dell'Islam. Ecco perché il governo islamico è il governo della Legge divina."1

    In merito alle ultime consultazioni elettorali, occorre rilevare che in Iran non esistono schieramenti contrapposti che perseguono obiettivi diversi; ogni candidato, precedentemente sottoposto al Consiglio di Vigilanza, concorre al bene del Paese e "in considerazione del fatto che la Rivoluzione Iraniana ha avuto una natura integralmente islamica, le leggi del Paese debbono senza eccezione essere conformi ai precetti rivelati dall'Islam."2 Ha perfettamente colto l'essenza della Repubblica islamica il mondialista E.Luttwak che, in risposta agli 'improvvisati editorialisti', convinti dell'imminente cambiamento in Iran, ha così espresso il proprio pensiero: "una cosa possiamo dire con certezza a proposito dell'Iran. Subito dopo le elezioni e nonostante la massiccia vittoria dei riformisti, la sua politica non cambierà molto. Il motivo è immediatamente comprensibile, se si considera la costituzione Islamica che restringe seriamente i poteri del Majlis, il Parlamento."3

    Questo perché il Consiglio di Vigilanza è incaricato di verificare la concordanza fra le leggi approvate dal Parlamento ed i Principi dell'Islam; tale consiglio, composto da sei giuristi e sei giurisperiti viene nominato dal waly faqi, la Guida del Paese, attualmente l'Ayatollah Sayyed Alì Khamenei, massima autorità dello Stato, detentore delle decisioni in politica estera e capo supremo delle Forze Armate.

    "Secondo la Costituzione della Repubblica Islamica dell'Iran, in assenza dell'atteso Imam al-Mahdi (che Dio affretti la sua apparizione) la Guida (Imamato) del paese è affidata ad un probo giurisperito, conscio dei problemi del mondo contemporaneo, in grado di amministrare il paese ed accettato come tale dalla maggioranza della popolazione."4 Popolazione che, in occasione delle consultazioni elettorali, ha dato adito al fatto di credere fortemente nelle istituzioni, con un'affluenza alle urne elevatissima, percentuali che in tutto l'Occidente non si raggiungono da anni, poiché il popolo, ormai stanco di una corrotta classe politica, non crede più nelle istituzioni. Gli elettori iraniani hanno largamente appoggiato uomini come Reza Khatami, fratello del Presidente della Repubblica, etichettato dai media occidentali come un 'democratico riformatore' e nemico dell''ultraconservatore' Khamenei.

    Anche in questo caso viene palesata la totale ignoranza e la completa disinformazione della realtà iraniana, così come era apparso al tempo dell'elezione alla Presidenza della Repubblica Islamica di Mohammad Khatami.

    Reza Khatami appartiene alla generazione che appoggiò con entusiasmo la Rivoluzione contro il regime dello scià, guidata dall'Imam Khomeyni; partecipò in prima persona alla guerra contro l'Iraq, e, come il fratello, è un continuatore della politica dell'Imam Khomeyni.

    Zarah Khomeyni, figlia dell'Imam, in un'intervista rilasciata al "Corriere della Sera" del 20 febbraio scorso dichiara: "siccome la gente ama il Presidente, pensano che anche il fratello Mohammad Reza seguirà quella via. Sarà il futuro a dimostrarlo(…) Non ci sono state trasformazioni contrarie al pensiero dell'Imam. Ciò che il presidente Khatami dice o fa non è contrario a quelle idee."

    L'Iran è un Paese libero, indipendente e sovrano, non soggetto ai dettami di alcuna organizzazione transnazionale non governativa; un Paese che conduce liberamente una politica estera funzionale ai propri interessi e non a quelli di una multinazionale qualsiasi. Una nazione che adotta una politica economica improntata ai bisogni del proprio popolo.

    Ma la libertà di questo Paese viene attaccata dall'esterno, da gruppi ostili alla Rivoluzione, finanziati e sostenuti dall'Occidente giudaico-mondialista. Questo perché, come afferma il Presidente Khatami: "Il sistema che ci è ostile, non tollera le società diverse da se stesso, e tenta di stroncare sul nascere tutti i movimenti indipendenti. Per l'Occidente nulla vale, se non il proprio tornaconto; e se una popolazione volge le spalle ai suoi valori o si rifiuta di servire i suoi interessi, essa concentra tutte le proprie notevolissime capacità nell'impegno di costringerla ad arrendersi pena, in alternativa, rischiare l'annientamento locale. Questa è la precisa spiegazione del perché la nostra Rivoluzione sia stata costretta a fronteggiare ondate di cospirazioni e pressioni sin dal momento in cui è sorta."5 I gruppi di opposizione presenti in Iran, hanno tentato, fin dall'estate, di destabilizzare la situazione interna iraniana, giungendo perfino a compiere attentati dinamitardi nei giorni precedenti le consultazioni elettorali.

    Il 5 febbraio è stato attaccato a colpi di mortaio il palazzo presidenziale a Teheran. Il 13 marzo scorso, i "Mujaheddin del popolo" hanno rivendicato un attentato contro il quartier generale dei Pasdaran. Nonostante gli attacchi terroristici interni, malgrado le pressioni diplomatiche internazionali e l'isolamento economico-commerciale voluto da Israele e dagli Stati Uniti, l'Iran, grazie alla propria compattezza ed alla propria pragmaticità ha saputo tessere importanti relazioni con diversi Stati europei i quali, in primis l'Italia, seguendo i propri naturali interessi geopolitici ed economici hanno provocato un grave smacco agli Stati Uniti. Occorre dare merito al ministro degli Esteri Lamberto Dini che, ottimo continuatore ideale della politica estera mediorientale condotta da Andreotti, ha potuto ampliare l'apertura di credito verso il governo di Khatami sottolineando il fatto che "l'Iran abbia la capacità e la volontà di essere un paese libero, divenendo un punto di riferimento per l'area mediorientale."6

    Gli Stati Uniti, scavalcati dall'Europa, hanno cercato recentemente di rimediare annunciando ipocritamente a possibili allentamenti all'embargo economico-commerciale nei confronti della Repubblica islamica.

    Il governo statunitense da una parte tende una mano verso l'Iran, dall'altra sostiene i gruppi di opposizione con lo scopo di destabilizzare la nazione iraniana. L'ebrea Magdeleine Albright, segretario di Stato statunitense, ha annunciato "lo smantellamento delle sanzioni economiche globali che il Presidente Reagan impose all'Iran nel 1985. (…)Madeleine si è scusata con il regime degli ayatollah per due importanti colpe dell'America nei confronti dell'Iran. Due colpe storiche: il sostegno di Washington nel 1953 al contro colpo di Stato a Teheran, che restituì allo Scià Reza Pahlevi i poteri che gli erano stati tolti dal primo ministro Mossadeq, fautore della nazionalizzazione delle aziende petrolifere angloamericane; restaurazione che portò poi alle brutali repressioni da parte della monarchia. E l'appoggio fornito dal governo di Washington a quello di Bagdad negli anni ottanta, durante la 'guerra degli otto anni' fra Iran e Iraq"7. Non a caso, queste ipocrite e melliflue 'aperture' sono state avanzate alla vigilia della conferenza dell'Opec, ove gli Stati Uniti avevano tutto l'interesse a convincere l'Iran ad adeguarsi alle scelte 'imposte' agli altri paesi arabi, poiché il caro-petrolio rischierebbe di rallentare l'espansione economica dei paesi dipendenti dagli approvvigionamenti petroliferi del Golfo, tra cui gli europei, ma soprattutto gli Stati Uniti. Lo stesso Bijam Namdar Zanganeh, ministro iraniano del petrolio, ha avuto questo sentore: "Gli Stati Uniti cercano di intimidirci. Non ci riusciranno…"8. Una risposta decisa giunge come sempre dell'Ayatollah Khamenei, il quale respinge le aperture nei confronti dell'Iran.

    "La proposta americana è un inganno e mira a mantenere lo stato di inimicizia nei nostri confronti", ha detto Khamenei riferendosi alla così detta "diplomazia del caviale".

    "Le confessioni degli Usa in merito al loro sostegno alla famiglia dello Scià e all'Iraq durante la guerra del 1980-88 sono tardive e non compensavano in alcun modo i danni subiti dalla nazione iraniana", ha continuato Khamenei secondo cui "gli Stati Uniti si comportano come dei vandali: erano, sono e rimarranno il proprio nemico"9.







    --------------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    1) Ayatollah Khomeyni, "Il Governo Islamico", LedE, Roma 1980, p.69
    2) Uno sguardo alla Repubblica Islamica dell'Iran, a cura del Ministero degli Affari esteri della Rep. Islamica dell'Iran
    3) E. Luttwak "Iran, piano con la democrazia", il Resto del Carlino 24 febbraio 2000
    4) Come nota 2, p.57
    5) Mohammad Khatami "Religione, libertà e democrazia", Ed.Laterza, Bari 1999, p.149
    6) Il Resto del Carlino, 6 marzo 2000
    7) Il Giornale, 18 febbraio 2000
    8) Il Resto del Carlino, 26 marzo 2000
    9) Il Corriere della Sera, 26 marzo 2000

    Tratto da "Avanguardia" (n. 170, marzo 2000)



    La Repubblica Islamica dell'Iran e l'ipocrisia statunitense di Manuel Negri - Radio Islam

  4. #4
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    Aurora
    Sito d'Informazione Internazionalista

    sabato, 15 maggio 2010


    La Repubblica Islamica dell'Iran e l'autoreferenzialità dei mass media




    Esiste un certo numero di realtà-bersaglio contro cui i mass media del mainstream, ormai privi di differenziazioni di orientamento politico significative, sparano bordate ad intervalli regolari nella difesa di un "democratismo" e di una "libertà di informazione" sulle quali vi sarebbe, e vi è, non poco da ridire.
    Queste realtà sono sempre le stesse e coincidono a tutt'oggi, grosso modo, con la demenziale lista di "stati canaglia" stilata in AmeriKKKa ai tempi dell'ubriacone Bush e con le altrettanto bambinesche liste di proscrizione varate negli stessi anni. Quando si ha a che fare con una realtà-bersaglio, il dubbio, la competenza, la documentazione, l'obiettività e la curiosità intellettuale sono materie da non considerare neppure. Non è concepibile che esistano contesti in cui la "libertà" e la "democrazia" intesa come condivisione consapevole di un destino scelto a maggioranza non possano essere identificate con i consumi di lusso e con il relativo corredo di femmine poco vestite. Ad esempio, se la Repubblica di Cuba dota la Cubana de Aviaciòn di due Ilyushin nuovi, non si parlerà di "miglioramento dei servizi di una compagnia di bandiera" ma di "aerei di Fidel Castro", come se fossero roba sua; all'indomani di un colpaccio delle FARC si infarciranno i palinsesti di reportages su una Colombia la cui realtà quotidiana si compendia delle sfilate di moda intima a Bogotà, e via di questo passo.
    Gli "occidentalisti" chiamano "informazione libera" quello che in luoghi e tempi più normali verrebbe definita "sordida pornografia servile e mendace".
    Una delle realtà-bersaglio presa di mira con maggiore frequenza è rappresentata dalla Repubblica Islamica dell'Iran.
    Abbiamo avuto modo di riferire che a nostro avviso il gazzettaio "occidentale" è tutt'altro che estraneo al fallimento disastroso dell'"onda verde" ed alla repressione che è seguita; Faccialibri e Cinguettatori hanno amplificato al parossismo voci contraddittorie e nebulose che, sparse in un contesto sociale in cui la taqiyya e la sensibilità diffusa a rumours e a complottismi di ogni genere sono parte integrante della comunicazione sociale, hanno prodotto esiti diametralmente opposti a quelli attesi, amplificando ulteriormente i pericoli per gli oppositori in piazza. Il bias antirivoluzionario dei mass media "occidentali" è reso ancora più evidente dal fatto che la rivolta popolare in Kirghizistan, in cui si sono susseguiti saccheggi, estese distruzioni ed almeno una novantina di morti, è finita fuori dai palinsesti in meno di una settimana. C'è da pensare che le manifestanti di Bishkek non fossero altrettanto giovani e altrettanto fotogeniche; il gazzettame "occidentalista", in fondo, è così che "ragiona".
    A distanza di un anno dalla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, che la "libera informazione" postula dovuta a brogli (un accostamento obbligatorio, come i cartaginesi sempre infidi, il Griso abbominevole, l'Umbria verde e mistica), "Repubblica" ha mandato una certa Vanna Vannuccini a vedere che aria tira a Tehran. Mica a Bandar Anzali o a Qom o a Kermanshah: in uno hotel di tutto rispetto nel centro della capitale, vale a dire laddove è sperabile trovare esattamente quello che si cerca e solo quello.
    La Vannuccini è tornata con un bel carico di testimonianze rabbiose e del tutto plausibili, su questo niente da dire. Che le presentazioni di libri e le mostre di pittura siano sempre e comunque un buon indice delle preoccupazioni e delle priorità che interessano l'Iran reale, invece, appare pochissimo probabile. Per veder confermato l'impianto denigratorio di quanto si picca di costituire "libera informazione" su quanto avviene nella Repubblica Islamica dell'Iran, la giornalista è costretta ad ostentare dubbi su tutto, a partire dalla veridicità di quanto ripetutamente asserito dai vertici della Repubblica in merito alla politica nucleare del paese. Sarebbe il caso di ricordare, ancora una volta, che il confinante Pakistan, della cui "democraticità" nessuno pare interessarsi, è una potenza nucleare da decenni senza che la cosa sia stata percepita come pericolosa da nessuno.
    Ora, costruire un intero articolo basandosi su luoghi comuni fallaci ed esponendosi costantemente al rischio di smentite serissime (cosa succederebbe se i sionisti bombardassero un reattore nucleare in funzione, o se loro o chi per loro riducessero il paese in briciole col pretesto di un'atomica che non esiste? Nessun gazzettiere ha avuto il buongusto non diciamo di attaccarsi ad una trave, ma neppure di cambiare mestiere, dopo l'alluvione di menzogne chiamato a giustificativo per l'aggressione all'Iraq) non sempre basta o riesce, ed anche l'articolo di Vanna Vannuccini presenta qualche riga pericolosamente vicina all'obiettività.
    "L'Occidente mente, tutto il mondo mente, l'Iran non è isolato. E la tv iraniana è pronta a dimostrarlo. Ventiquattr'ore su ventiquattro la tv mostra agli iraniani un mondo virtuale, di cui Ahmadinejad è sempre il protagonista, nel ruolo di pioniere del disarmo atomico e di inauguratore di nuove imprese ad alta tecnologia. Così milioni di persone scontente del governo dovrebbero convincersi che il regime vuole davvero solo il nucleare civile e che le nuove sanzioni sono un altro stratagemma del Grande Satana, cheytané bozorg, l'America. Questo show surreale, che rovescia fatti e verità palesi, è certo un'indicazione della debolezza di un regime che non è mai stato come oggi tanto separato perfino dalla gente più pia. Ma riesce anche a far presa. L'antiamericanismo è così radicato nel mondo, soprattutto in quello mediorientale, che Ahmadinejad non solo è diventato un eroe agli occhi delle popolazioni sciite di paesi come il Libano, ma ispira simpatia, in nome del comune odio per l'America, perfino a qualche vecchio comunista iraniano, qualche Tudehi sopravvissuto ai massacri di Khomeini".
    Cosa sarà mai successo? E' successo semplicemente che dopo esser stati denigrati per anni ed essersi sorbiti in diretta via satellite i piani di guerra che riguardavano il loro paese enunciati con dovizia di dettagli da qualche mezzobusto con la cravatta, i responsabili della "tv iraniana" hanno imparato la lezione ed hanno cominciato a rispondere per le rime ed in modo efficace. Per farlo, basta seguire la fitta agenda politica del Presidente della Repubblica, che può sorprendere come tale solo chi sia fermissimamente convinto che i leader nordameriKKKani ed europei siano gli unici con i quali valga la pena intessere relazioni di un qualche genere. La Repubblica Islamica dell'Iran sta cambiando a velocità che i sudditi che bivaccano nella penisola italiana neppure ritengono pensabili, e la "libera informazione" fa il possibile e l'impossibile per rafforzare in loro l'idea che, invece, da quelle parti siano rimasti alla considerazione di Mossadeq secondo cui senza gli stranieri, ossia senza i colonialisti, l'Iran non sarebbe stato in grado di mandare avanti da solo neppure un cementificio. Da quei tempi sono passati oltre cinquant'anni; cinquant'anni di pace per lo stato che occupa la penisola italiana, che ha passato almeno gli ultimi venticinque a smantellare tutto lo smantellabile della propria industria, e cinquant'anni di conflitti intestini e non, di guerre vere e proprie, di rivoluzioni e di ventilate minacce di invasione per l'Iran, che invece una propria industria l'ha tirata su praticamente dal nulla e che è riuscito anche a darle una certa diversificazione. Un Iran con il quale molti dei paesi in prima linea nel coro denigratorio hanno fatto ottimi affari, primo tra tutti lo stato che occupa la penisola italiana.
    La "scontentezza del governo", ovvero la disaffezione per la politica, è caratteristica delle sedicentemente compiute "democrazie occidentali", in cui è soprattutto la rappresentanza elettorale ad aver perso qualsiasi attrattiva per chiunque abbia un minimo di rispetto di sé. Viene dunque da chiedersi chi sia che "rovescia fatti e verità palesi", se la Repubblica Islamica dell'Iran o piuttosto la giornalista di "Repubblica", costretta due righe più sotto a prendere atto di un aspetto della vita politica iraniana che difficilmente viene fuori negli hotel centrali ed alle mostre di pittura.
    La popolarità dell'antiamericanismo e della figura di Mahmoud Ahmadinejad dovrebbero suggerire alle giornaliste in cerca di conferme che per tentare di capirci davvero qualche cosa, a Tehran invece di Lolita sarebbe più costruttivo leggere Grapes of wrath.



    La Repubblica Islamica dell'Iran e l'autoreferenzialità dei mass media | Aurora

  5. #5
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    IRAN: LA REPUBBLICA ISLAMICA E I POTERI DELLA GUIDA


    Scritto da Campo antimperialista

    Mercoledì 17 Settembre 2008




    Nel Notiziario del 29 luglio nel pezzo dal titolo «L’IRAN, AHMADINEJAD E NOI», affermavamo:

    «Ci divide da Ahmadinejad ... il principio dello Stato islamico il quale, per quanto si autodefinisca Repubblica, consegna la piena supremazia ad un Consiglio di esperti religiosi con poteri di veto assoluti e insindacabili e in cima ai quale c’è una Grande Guida (oggi Khamenei) che per costituzione è infallibile (come il Papa) e ha l’ultima parola su tutto. Ci divide infine da Ahmadinejad, come dalle correnti islamiche salafite conservatrici, l’idea che la democrazia come il socialismo siano entrambi «sataniche fabbricazioni» dell’Occidente, ovvero che l’Islam sia incompatibile con la prima e col secondo».

    Abbiamo ricevuto, e volentieri pubblichiamo, questa nota critica

    «Nessun Wali Faqih, si tratti dell'Imam Khomeyni o di Ayatullah Khamenei, è ritenuto dai suoi seguaci "infallibile", né, tanto meno, vi è alcun accenno in proposito nella Costituzione della Repubblica Islamica dell'Iran. Secondo il credo sciita, soltanto i Profeti, Fatima Zahra ed i 12 Imam successori del Profeta Muhammad sono infallibili (masumin). Tutti gli altri, compresi i più grandi sapienti sciiti di ogni epoca, sono ritenuti fallibili.
    Quanto alla Wilayat al-Faqih, sebbene la sovranità spetti ai sapienti religiosi (fuqaha), che laddove esistono le condizioni scelgono il più sapiente nel campo religioso e socio-politico come Guida, non bisogna comunque dimenticare che il Consiglio degli Esperti (Majlis Khubregan), che ha la facoltà di scegliere ed anche destituire il Wali Faqih, è eletto direttamente dalla popolazione.

    Alcuni musulmani sciiti di Roma»

    Approfittiamo di questa nota critica per chiarire ogni possibile equivoco.

    Per “costituzione” non si voleva intendere la «Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran», si voleva significare piuttosto costitutivamente, ovvero che la Guida (Rahbar) in quanto fiduciario e vicario del Profeta nonché delegato dell’Imam nascosto (Nayeb-e Imam), tende ad essere considerato dalla comunità dei fedeli colui che ha l’ultima parola su tutto, sia sulle questioni di fede che politiche. L’aggettivo “infallibile”, l’abbiamo quindi usato più in senso letterario ed evocativo che scientifico.

    Detto questo, andiamo alla sostanza.

    Quando Khomeyni formulò la sua tesi del Governo Islamico (in sintesi «Velayat-e faqih») in maniera inequivocabile affermò che la sovranità politica non appartiene al popolo ma a Dio, che il popolo non deve fare le leggi ma deve solo obbedire a quelle date da Dio (Sharia). Ma chi dovrebbe esercitare questa sovranità politica visto che Dio non pare voglia occuparsi direttamente degli affari umani? E dato che il Profeta e gli Imam non sono più? Spetta appunto a colui che gli esperti religiosi, ovvero il clero sciita, scelgono tra di essi e solo tra di essi, come il più adatto a governare, come Guida suprema.

    Khomeyni non lasciò dubbio sul fatto che questa Guida dovesse avere «... gli stessi poteri che Dio diede al Profeta ed all’emiro dei credenti», e che il popolo dovesse obbedire a questo governante dal momento che «... egli altro non è che un esecutore degli ordini e della volontà divina».

    E’ infine un dato di fatto che Khomeyni, una volta salito al potere, venne subito qualificato non solo come Ayatollah (segno di Allah) ma come Imam e questa qualificazione, i fratelli sciiti lo sanno bene, viene attribuita solo ai “Quattorici purissimi”: il Profeta, sua figlia Fatima e di Dodici Imam. In altre parole il «Velayat-e faqih» pare essere una torsione decisamente ierocratica e autocratica della tradizione califfale sunnita. Ed è un altro dato di fatto che questa qualificazione, dopo la morte di Khomeyni, è stata trasmessa a Khamenei.

    Ora chiediamo ai fratelli sciiti: in che senso e fino a che punto può considerarsi fallibile un esecutore della volontà divina?

    Per quanto concerne i poteri che la «Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran» (vedi l’Art. 110), affida alla Guida suprema, malgrado le modificazioni del 1989 e la presenza di organi a legittimità politica (parlamento e presidenza della Repubblica), essi restano enormi.
    Vogliamo elencarli? «Determina le linee generali che ispirano la politica del paese; vigila sull’applicazione di tali linee politiche; indice I referendum; conferisce l’incarico, o ritira la nomina, ai giuristi islamici del Consiglio dei Guardiani (ovvero di coloro che decidono se le leggi approvate daòl Parlamento possano diventare effetive o annullate); nomina il capo dell’apparato giudiziario e, nel campo del monopolio della forza, il Capo di Stato maggiore dell’esercito; il comandante dei Corpi delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran), I capi delle forze armate, di cui è comandante supremo, e della polizia; dichiara la guerra e ordina la mobilitazione generale; risolve le eventuali dispute tra I poteri dello Stato; firma il decreto di nomina del presidente della Repubblica dopo la sua elezione e ne decreta eventualmente le dimissioni...». Controlla infine tutte le principali Fondazioni sociali, economiche e culturali, che sono i pilastri della Repubblica Islamica dell’Iran.

    Che poi questa Guida suprema sia eletta da un Consiglio di esperti (anche il Papa è scelto dal Conclave dei Cardinali) non contraddice che nel quadro del «Velayat-e faqih» il Consiglio in questione alieni i suoi poteri e li conceda tutti, alla Guida suprema. Ed è vero che gli ottantasei membri del Consiglio degli Esperti (Majlis-e Khebregan) vengano eletti a suffragio universale, ma i candidati sono tutti clericali e le liste decise dal clero medesimo.



    Campo antimperialista, Notiziario del 26 agosto 2008


    IRAN: LA REPUBBLICA ISLAMICA E I POTERI DELLA GUIDA

  6. #6
    Avamposto
    Ospite

    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    La Guardia Rivoluzionaria iraniana e il futuro della Repubblica Islamica
    Di sottoosservazione
    L’accademico Ali Ansari traccia una storia della Guardia Rivoluzionaria iraniana e del suo ruolo crescente ai vertici del potere, identificando le premesse che hanno portato alla crisi che sta attualmente attraversando l’Iran
    Il Corpo della Guardia Rivoluzionaria Iraniana (IRGC) fu costituito nella foga della Rivoluzione Islamica, una forza paramilitare volontaria di devoti rivoluzionari dedicata alla difesa degli ideali di questa insurrezione contro lo scià Mohammad Reza Pahlavi, che sarebbe stato detronizzato a vantaggio di una Repubblica Islamica. L’IRGC era destinata a fornire un contrappeso popolare alle forze armate regolari, che erano ampiamente viste come una creazione del governo dello scià, e fedele alla sua causa.

    L’IRGC era un’istituzione disordinata, che supplì alla sua mancanza di organizzazione con lo zelo rivoluzionario. Quando iniziò la guerra Iran-Iraq, l’IRGC fu in gran parte responsabile della capacità iraniana di smussare gli attacchi di Baghdad e di opporre una dura resistenza nei primi mesi del conflitto. Fu questa immagine di resistenza che ben presto si tradusse nella mitologia della Guardia Rivoluzionaria, sia per i suoi affiliati che per l’opinione pubblica: i membri dell’IRGC erano i difensori di un paese in guerra, l’unica barriera tra la vittoria e la disfatta.

    La fine della guerra rappresentò per l’IRGC, come per gran parte dell’Iran, una sorta di picco negativo. L’Iran non era stato sconfitto, ma nonostante gli sforzi delle autorità, si dimostrò difficile convincere la gente che il paese avesse conseguito una vittoria. Questo naturalmente ebbe le sue ripercussioni sulla mitologia delle forze di combattimento, che risposero a questo sentimento ambivalente sottolineando il fatto che non era la vittoria che contava, ma il prendere parte alla battaglia. Il combattimento era di per sé tonificante e purificante, mettendo in evidenza, come fece, tutte le migliori qualità dell’austero combattente musulmano. Tali mitologie dovevano diventare ancora più importanti alla luce dei cambiamenti che sarebbero stati imposti durante la presidenza di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (1989-1997).

    In particolare una delle riforme di Rafsanjani si rivelò, in ultima analisi, quella che avrebbe avuto le maggiori conseguenze per l’IRGC. Alla fine della guerra Iran-Iraq, l’economia iraniana era in uno stato di caos. Di conseguenza, l’amministrazione Rafsanjani si concentrò sulla ricostruzione economica. L’Iran forse non era sull’orlo del fallimento, ma non era neanche sommerso dai soldi. L’economia si era ovviamente contratta, e lo Stato doveva confrontarsi non solo con una popolazione di giovani in cerca di occupazione, ma anche con un settore militare e statale sproporzionatamente grande. Il governo non poteva più permettersi, e non aveva più bisogno, ad esempio, di un servizio militare e civile così esteso. Ma la sua ideologia rivoluzionaria e l’imperativo di fornire una casa appropriata agli “eroi” precluse ogni possibilità di una semplice smobilitazione. Non vi era alcun settore privato di cui parlare, e sebbene la diversificazione economica fosse stata un mantra dei successivi governi iraniani, anche prima della Rivoluzione, la verità è che l’economia iraniana stava diventando sempre più dipendente dalla sua unica grande risorsa naturale: il petrolio. La soluzione di Rafsanjani a questa crisi fu di incoraggiare l’imprenditorialità fra le varie organizzazioni statali. Ad alcune istituzioni chiave come la Guardia Rivoluzionaria fu assegnata una quota delle entrate petrolifere come capitale iniziale per catapultarle nel commercio e nell’imprenditoria privata. Ciò avrebbe dovuto permettere loro di fare abbastanza soldi per provvedere a se stesse, piuttosto che guardare al governo per ricevere fondi. Ma questi costi di avvio divennero un elemento costante del rapporto sbilanciato tra lo Stato e le sue istituzioni. La Guardia Rivoluzionaria si stava aprendo agli affari.

    Tali attività migliorarono ben poco la reputazione dell’IRGC tra gli iraniani. Dal momento che molti all’interno delle giovani generazioni non avevano alcun particolare ricordo delle cicatrici lasciate dalla guerra e delle storie belliche degli anni ‘80, costoro non potevano che giudicare la Guardia Rivoluzionaria per le sue ruberie e la sua corruzione. Anche i veterani dell’IRGC erano sempre più critici nei confronti di un Corpo che sembrava diventato così schiavo dei profitti materiali da aver dimenticato gli ideali per i quali la Rivoluzione era stata combattuta. È davvero una questione controversa se le Guardie siano diventate un conglomerato d’affari, più desideroso di difendere il proprio portafoglio di investimenti che non gli ideali della Rivoluzione e, per estensione, se possiamo parlare in maniera accurata di una militarizzazione della società iraniana, piuttosto che non della mercificazione della Rivoluzione.

    Con una strana svolta degli eventi, tuttavia, l’IRGC avrebbe lentamente subito una nuova radicalizzazione nelle sue politiche, pur continuando a incrementare il proprio coinvolgimento nel settore commerciale iraniano. Una trasformazione ebbe luogo ai vertici della struttura di comando dell’IRGC. Anche se l’intento era quello di liberalizzare il Corpo, allontanandolo dalle abitudini del passato, il risultato fu esattamente l’opposto. Nel 1997, Yahya Rahim Safavi sostituì Mohsen Rezai come comandante della Guardia Rivoluzionaria. Rezai avevano occupato la carica fin dal 1981, guidando l’IRGC attraverso la guerra e controllando i cambiamenti delle regole di condotta del Corpo, che ebbero inizio con le riforme di Rafsanjani e furono rafforzate dalla volontà di profitto. La sostituzione di Rezai, tuttavia, di fatto significò un cambiamento ancor più deleterio nella sostanza della Guardia Rivoluzionaria.

    Il nuovo comandante non aveva né l’autorità né la volontà politica per resistere allo spostamento a destra che era stato imposto all’IRGC da elementi conservatori all’interno del governo iraniano. Questo sviluppo ebbe luogo contro le inclinazioni del corpo stesso della Guardia Rivoluzionaria – che era composta da coscritti – la quale aveva votato in massa per Khatami nel 1997. In effetti, molti veterani finirono col diventare l’avanguardia del movimento riformista di Khatami. Ma la leadership conservatrice, unitasi attorno alla Guida suprema (l’Ayatollah Ali Khamenei), si sentiva minacciata dagli energici riformatori e decise di consolidare il proprio controllo sulle istituzioni chiave per prevenire ulteriori conquiste riformiste. La magistratura e il Consiglio dei Guardiani erano già bastioni del potere conservatore. La Guardia Rivoluzionaria e i Basij dovevano essere purgati da qualsiasi simpatia riformista e diventare guardiani, non tanto della Rivoluzione, ma di una particolare interpretazione intransigente di quella rivoluzione, impersonata dalla Guida suprema.

    In attesa del momento opportuno, l’IRGC ampliò il proprio portafoglio di imprese economiche, al fine di aumentare la propria autonomia finanziaria dal governo e di evitare ogni inutile controllo delle proprie attività. Stancatasi del vecchio sistema delle commissioni, la Guardia Rivoluzionaria si dedicò a costituire compagnie di facciata attraverso le quali poter effettivamente assumere la proprietà di diversi settori dell’economia. Entro la fine degli anni ‘90 vi fu una chiara accelerazione. L’IRGC era in affari, e proteggeva tali interessi con una maggiore forza politica e con la maggiore influenza della destra.

    La destra fornì all’IRGC la possibilità di fare ulteriori profitti, e diede alla Guardia Rivoluzionaria una copertura politica e ideologica. Il prezzo fu che l’IRGC si sarebbe allineata con la destra in Iran. Mentre il riformismo balbettava, e il nuovo conservatorismo, conosciuto a livello nazionale come “Principialismo”, cominciava a prendere forma, l’IRGC altresì beneficiò di enormi cambiamenti a livello internazionale, ed in particolare, ovviamente, della catastrofe dell’11 settembre e delle sue conseguenze. Il “dialogo delle civiltà” di Khatami ora sembrava pericolosamente in contraddizione con la posizione americana più aggressiva in Medio Oriente. La fatidica decisione del presidente Bush di etichettare l’Iran come parte dell’ “asse del male” effettivamente sancì il destino dei tentativi di Khatami di costruire ponti di dialogo e aprì la strada alla Guardia Rivoluzionaria, la quale conseguentemente tentò addirittura di imporre la legge marziale.

    Ulteriori opportunità giunsero con l’invasione dell’Iraq nel 2003. Finalmente l’IRGC, e più precisamente la sua divisione esterna, la Brigata Quds (che fu a lungo coinvolta nello sviluppo di reti islamiche all’estero, compreso Hezbollah, alla cui creazione diede un contributo fondamentale), aveva qualcosa di concreto da fare. I problemi di smobilitazione dell’apparato militare che avevano riguardato lo Stato iraniano a partire dal 1988 ora sembravano irrilevanti. L’Iran era in lotta con l’America e combatteva per guadagnare influenza in Iraq, e la Guardia Rivoluzionaria ora sembrava avere una funzione che la maggioranza degli iraniani avrebbe potuto apprezzare. Con l’elezione di Ahmadinejad, il suo controllo sul potere divenne realmente saldo.

    Mahmoud Ahmadinejad fu la risposta conservatrice e intransigente (principialista) a Khatami; un uomo che avrebbe sfruttato gli stessi strumenti popolari (soprattutto i mass-media) per mobilitare l’elettorato attorno a un’interpretazione radicalmente nuova della Repubblica Islamica. E centrale per la strategia complessiva fu la Guardia Rivoluzionaria. Mentre Khatami aveva sempre cercato di limitare la sua portata, sia in Iran che al di là dei suoi confini, Ahmadinejad le diede mano libera. Affermando di essere un semplice Basiji che aveva servito nel corpo della Guardia Rivoluzionaria durante il conflitto Iran-Iraq, Ahmadinejad ha sostenuto la mitologia della guerra tipica dell’IRGC rafforzando allo stesso tempo la posizione economica del Corpo. Cosa ancora più importante, almeno per l’Occidente, egli ha dato all’IRGC libero sfogo nelle sue attività all’estero, e l’Iraq, lungi dall’essere una preoccupazione del governo civile, è diventato di fatto un’estensione del fiorente complesso militare-commerciale dell’IRGC.

    L’IRGC ha tratto beneficio, in termini molto semplici, da una generosità di assegnazioni in denaro e da una vicinanza al potere. Sotto la protezione fornita dalla minaccia americana, la Guardia Rivoluzionaria cominciò ad assumere sempre più il controllo non solo della politica estera e delle questioni di sicurezza (l’Iraq), ma anche, più pericolosamente, di questioni di politica interna attraverso un calcolato e in gran parte costruito timore di una “rivoluzione di velluto”. Sovrastimare i pericoli percepiti in patria e all’estero ha assicurato che la critica interna rimanesse in sordina, sebbene un certo numero di commentatori, tra cui l’influente intellettuale riformista Saeed Hajjarian, abbiano messo in guardia sui pericoli di un emergente “stato militarizzato”.

    La tesi secondo cui la politica iraniana si è militarizzata, tuttavia, dipinge la questione troppo in bianco e nero. In realtà, l’IRGC ha finito per entrare in rapporti con un establishment intransigente composto dalla Guida suprema Ali Khamenei, da Ahmadinejad e la sua cricca, e anche da alcuni giornalisti e religiosi, il che significa che la destra ha cooptato l’IRGC tanto quanto l’IRGC ha cooptato la destra. Questo rapporto tra i conservatori intransigenti e l’IRGC ha avuto una lunga gestazione, anche se è stato reso molto peggiore dall’entrata in scena di Ahmadinejad. Dobbiamo ricordare che tutto questo fu avviato da Rafsanjani, e che le interferenze nella politica economica del paese non furono avviate dalla Guardia Rivoluzionaria, sebbene essa ne sia indubbiamente diventata una controparte entusiasta. Ma ciò significa che l’IRGC non è una giunta militare. Lo Stato iraniano non si trova di fronte a un golpe militare nel senso tradizionale del termine. Una classificazione più accurata potrebbe definire questo processo come una trasformazione in senso securitario dello Stato attorno alle esigenze di un conglomerato d’affari sempre più sproporzionato, che confonde i propri interessi con quelli della nazione. Questo non è in effetti lo Stato militarizzato da cui Hajjarian aveva messo in guardia, ma uno Stato mafia di grandi dimensioni.

    Le conseguenze di tutti questi sviluppi dovevano diventare brutalmente evidenti nella fase preparatoria ed in quella successiva alle elezioni presidenziali del 12 giugno 2009.

    L’establishment intransigente, il cui leader più controverso è la Guida suprema Ali Khamenei – visto che egli non avrebbe dovuto interferire con il processo elettorale – aveva detto chiaramente che la sua preferenza sarebbe stata un secondo mandato di Ahmadinejad. Sebbene Khamenei abbia trovato prudente limitare i propri commenti, gli alti vertici militari non vedevano alcun motivo per essere così timidi. Vi era grande suscettibilità fra gli elettori iraniani riguardo al ruolo dei militari, in particolare l’IRGC e i Basij, e vi erano state numerose accuse secondo cui l’IRGC e i Basij avevano manipolato il voto che aveva portato Ahmadinejad al potere nel 2005. Questa volta, avevano fatto notare gli sfidanti di Ahmadinejad, sarebbero stati vigili. Malgrado le crescenti polemiche, mentre si avvicinava il giorno delle elezioni e si profilava la prospettiva di una sconfitta di Ahmadinejad, le dichiarazioni di intenti erano diventate ancora più esplicite. Jafari aveva avvertito che una “rivoluzione di velluto” non sarebbe stata tollerata. Viene il sospetto che la motivazione di tali osservazioni sia venuta altrettanto, se non di più, dalla paura di un’esposizione economica, che non da una qualsiasi presunta minaccia ispirata dall’estero.

    Come c’era da aspettarsi, quando manifestazioni senza precedenti sono scoppiate dopo le elezioni contestate, l’IRGC e i Basij sono stati scatenati contro un pubblico sempre più sfacciato. Eppure, ciò che tuttora colpisce di questa repressione (ad oggi) è stata la maniera disordinata e composita con cui essa è stata attuata. L’obiettivo sembra essere stato quello di inculcare un senso di paura e di anarchia, piuttosto che di ordine (come dimostra l’estesa distruzione di beni e proprietà da parte delle forze di sicurezza); l’idea sembra essere quella che una diffusa paura dell’anarchia porterà di per se stessa all’ordine, mentre i comuni cittadini iraniani diventeranno sempre più preoccupati per le conseguenze del caos. Ma questa non è una strategia militare figlia di un’organizzazione disciplinata. Al contrario, è una strategia figlia della paranoia. È anche una tattica che mira a massimizzare le reali limitazioni del potere attraverso l’uso del terrore. Essa non è il riflesso di un’organizzazione coesa e unita, ma il riflesso di un’organizzazione in cui esistono sacche di fanatismo ideologico. Inoltre, laddove questo fanatismo ha vacillato, è stato rafforzato da una grande quantità di denaro; denaro che, come nelle precedenti occasioni, è legato all’adempimento dei compiti, e può essere erogato solo in momenti di crisi. Questo paradosso perverso non è passato inosservato. Questa è la realtà tipica di uno Stato mafia.

    L’IRGC sta prendendo progressivamente il controllo dell’Iran, e sta cercando di plasmare gli orientamenti della Rivoluzione che aveva giurato di proteggere. Non essendo più convinta che i suoi patroni civili siano all’altezza del compito, l’IRGC ha emarginato coloro che giudica deboli o infettati dal materialismo occidentale. L’ironia di questa posizione della Guardia Rivoluzionaria, dati i propri estesi interessi commerciali, non è sfuggita alla popolazione iraniana. Né è sfuggita – cosa ancora più importante – a molti degli stessi veterani dell’IRGC e degli stessi membri di un establishment conservatore che sono critici nei confronti delle riforme, ma altrettanto esterrefatti da ciò che l’IRGC è diventata.

    Vi è una profonda contraddizione, all’interno del corpo della Guardia Rivoluzionaria, tra coloro che sostengono una concezione conservatrice dello Stato e coloro che sostengono tale ideologia più che altro come un mezzo per proteggere i propri interessi – anche violentemente quando necessario. Nessuno rappresenta questo dilemma meglio dell’ex comandante dell’IRGC, Mohsen Rezai, che ha corso contro Ahmadinejad come candidato conservatore alle elezioni presidenziali del 2009. La sua aspra critica nei confronti della politica estera ed economica di Ahmadinejad (che è un ex Basiji), sia durante la campagna elettorale che durante la crisi che ha seguito le controverse elezioni, ci ricorda che la Guardia Rivoluzionaria attuale, malgrado il suo apparente successo politico, rimane un’istituzione frammentata, divisa e controversa. Non è infatti ancora chiaro quante guardie abbiano votato per Rezai e per le sue convinzioni conservatrici, quante per Mir Hussein Moussavi e la sua visione riformista, e quante per il principialista Ahmadinejad.

    Così come accadde con l’ultimo scià, che mise in dubbio la fedeltà del proprio esercito, e temeva un colpo di stato, l’affidabilità della Guardia Rivoluzionaria in una crisi prolungata è incerta. Se l’elite dominante non teme un golpe, vi sono senza dubbio timori di un contro-golpe guidato da comandanti della Guardia Rivoluzionaria che non amano Ahmadinejad e non vedono di buon occhio una politica estera di contrapposizione che certamente li metterebbe in prima linea in un eventuale conflitto. A causa delle divisioni all’interno della Guardia stessa, nel caso in cui essa dovesse sollevarsi contro Ahmadinejad (certamente uno scenario plausibile), non è chiaro se egli sarà deposto da coloro che, all’interno dell’IRGC, non lo trovano abbastanza conservatore, o da coloro che non appoggiano il suo approccio aggressivo alle questioni internazionali.

    E anche ulteriori divisioni all’interno dell’IRGC sono evidenti. La Guardia Rivoluzionaria rimarrà una forza che salvaguarda le persone, o invece si occuperà dei propri interessi? La repressione che ha seguito la crisi elettorale, e lo zelo con cui alcuni alti comandanti dell’IRGC hanno parlato della loro volontà di ricorrere al massimo uso della forza, hanno solo aumentato il divario tra questo “esercito del popolo” e il popolo stesso. Il Grande Ayatollah Montazeri – ex erede di Khomeini e leader religioso dissidente di Qom (da poco scomparso (N.d.T.) ) – aveva senza mezzi termini riassunto lo stato delle cose nel seguente modo: i Basij (e per estensione i loro comandanti dell’IRGC) non sono più al servizio di Dio, ma di Satana.

    Tuttavia, malgrado tutte le sue minacce di esercitare il massimo della forza, gran parte della violenza sponsorizzata dal governo nel corso degli ultimi mesi, anche se probabilmente guidata e supportata dall’IRGC – è stato attuata da elementi all’interno dei Basij. L’IRGC non ha ancora esercitato un uso sistematico della forza, e ciò riflette la consapevolezza della Guardia Rivoluzionaria che questo significherebbe il superamento di una linea rossa, il quale potrebbe provocare tensioni insostenibili all’interno dell’organizzazione stessa. Molti all’interno della vecchia generazione della Guardia Rivoluzionaria si oppongono a un uso sommario della forza contro il popolo.

    A causa di queste spaccature all’interno dell’IRGC, che appaiono ovviamente in maniera evidente a tutti coloro che sono coinvolti, il gruppo degli intransigenti ora allontana ed emargina chiunque è considerato di dubbia lealtà al progetto (teologico) complessivo. Safavi, l’ex capo del Corpo e attuale consigliere speciale della Guida suprema, ad esempio, ha recentemente riassicurato la propria posizione sostenendo categoricamente l’idea che l’Ayatollah Khamenei sia il rappresentante dell’Imam Nascosto, ed in sua assenza possa effettivamente esercitare il potere assoluto. Anche se considerate come pericolose sciocchezze dalla maggior parte degli esponenti religiosi (compreso Montazeri), dichiarazioni di questa natura sono destinate a dimostrare la fedeltà e la dedizione, e la complicità con una particolare idea di potere. Coloro che non aderiscono a questo punto di vista vengono eliminati, e i recenti segnali indicano che molti della rimanente vecchia generazione dell’IRGC vengono messi in pensione e sostituiti con nuovi credenti. Questo crea una pericolosa polarizzazione di opinioni nella società in generale, con un establishment governativo composto da esponenti del clero, politici e membri dell’IRGC al vertice di una piramide la cui base è sempre più stretta e instabile. La Guardia Rivoluzionaria non è che un aspetto di una più generale presa del potere da parte degli intransigenti. E costoro sono circondati da una “ex-élite” scontenta e da poco privata dei propri diritti.

    La conseguenza immediata per lo Stato iraniano è il rafforzamento di una paranoia che si perpetua da sé, rafforzata e ingigantita dallo sviluppo di un apparato di sicurezza dipendente dagli informatori, e alimentato da ampie distribuzioni di denaro e di regalie attraverso una rete clientelare strettamente controllata. Questo è uno stato securitario, non uno stato militarizzato. Tutti i difetti e le debolezze nella struttura politico-economica della Repubblica Islamica vengono rafforzate ed estese. E ciò è accompagnato da un’élite governativa di “veri credenti” che non soltanto si sta restringendo, ma non ha neanche alcun desiderio né propensione alla mediazione e al compromesso.

    Di fronte a un’opposizione sempre più belligerante, il suo istinto è quello di ripiegarsi su se stessa, utilizzando il denaro e la repressione per mantenere in riga la società –metodi collaudati che l’élite si è convinta che funzioneranno di nuovo. Naturalmente, questa non è una soluzione a lungo termine, e neanche a medio termine, alla crisi della Repubblica Islamica. Con le difficoltà economiche che aumentano (l’imminente eliminazione dei sussidi è destinata a dare una forte scossa al sistema), l’élite di governo si volgerà sempre di più alla politica estera e ad una causa nazionalista (ad esempio, la crisi nucleare) per chiamare a raccolta la gente. Sfortunatamente per essa, gli iraniani non sono più così persuasi delle sue credenziali. La crisi all’interno dello Stato iraniano potrà solo crescere.

    Ali Ansari, uno dei maggiori esperti mondiali di questioni iraniane, è direttore dell’Institute for Iranian Studies presso l’Università di St. Andrews, in Scozia; la versione integrale dell’articolo qui proposto era apparsa il 21/12/2009 su “National Interest online”

    Medarabnews



    La Guardia Rivoluzionaria iraniana e il futuro della Repubblica Islamica « Sottoosservazione’s Blog

  7. #7
    Avamposto
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    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    LA VITTORIA DI MAHMOOD AHMEDINEJAD

    Con un successo che ha lasciato sorpresi non pochi analisti di politica internazionale l'ex sindaco di Teheran è diventato il nuovo presidente della Repubblica Islamica dell'Iran.

    di Dagoberto Husayn Bellucci – Beirut

    Assadakh on line


    E' IL PRIMO PRESIDENTE CHE NON PROVIENE DALLA CLASSE RELIGIOSA

    Con una vittoria che ha lasciato sorpresi non pochi analisti di politica internazionale venerdì 24 giugno Mahmood Ahmadinejad è diventato il nuovo presidente della Repubblica Islamica dell'Iran. Un successo completo per l'ex sindaco ultraconservatore di Teheran che, nel secondo turno delle presidenziali iraniane, si è aggiudicato il 61% dei voti contro il 27% del suo rivale, l'Ayatollah Alì Akbar Hashemi Rafsanjani, favorito fino al giorno precedente le elezioni. Il successo di Ahmedinejad è spiegabile partendo dalla congiuntura internazionale, particolarmente delicata, che vede la Repubblica Islamica sotto le pressioni della comunità internazionale per il suo programma di arricchimento di uranio che, da mesi, oppone Teheran alla troika europea (Germania, Francia e Inghilterra) "incaricata" dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica e "delegata" dall'amministrazione americana al dialogo con i dirigenti iraniani e alla verifica che questi progressi in campo nucleare non siano adibiti ad uso militare. Il Governo della Repubblica Islamica ha sempre ribadito che il suo programma di arricchimento dell'uranio è a scopi civili e ha sovente invitato l'AIEA a verificare , con controlli programmati, la veridicità di quanto asserito in distinte occasioni. L'aggressione massmediatica che l'Iran ha subito negli ultimi mesi ha così favorevolmente giocato un ruolo rilevate nell'affermazione di Mahmood Ahmadinejad, appartenente all'ala ultraconservatrice e fedele della "linea dell'Imam Khomeini". La tv iraniana satellitare "Sahar 1" aveva diffuso fin dalle prime ora della notte i dati che riportavano un vantaggio netto per l'ex sindaco della capitale iraniana. Nella mattinata di sabato il risultato finale ne sanciva il trionfo. Politicamente l'Iran "ritorna al passato", o - sarebbe più opportuno dire - si prepara per una virata verso un programma presidenziale che sicuramente imporrà una sterzata nelle aperture verso l'Occidente. Nel suo programma elettorale infatti Ahmadinejad aveva ribadito che "un ritorno ai tempi della Rivoluzione Islamica si impone per il bene del paese" dichiarando che, in politica estera, "nessuna concessione deve arrivare dalla Repubblica Islamica ai nemici dell'Islam e della Nazione iraniana". Secondo Ahmadinejad "l'Iran è destinato ad un brillante futuro se seguirà i principi religiosi della Rivoluzione" in quanto "è ampiamente dimostrato il tasso di libertà e di benessere che l'Islam ha concesso alle masse iraniane". Ahmadinejad è il primo presidente della repubblica che non viene scelto tra le file della classe religiosa (sia Mohammad Khatami che il suo predecessore Ali' Akbar Hashemi Rafsanjani erano HojjatolIslam) ma, nel suo curriculum politico, vi sono la partecipazione all'assalto contro l'Ambasciata americana a Teheran nel novembre 1979 (che aprì la "crisi degli ostaggi" tra Usa e Iran facendo perdere le elezioni all'allora presidente statunitense in carica Jimmy Carter e favorendo la vittoria del repubblicano Ronald Reagan) e la sua militanza nelle file dei Guardiani della Rivoluzione durante i primi anni di vita della Repubblica Islamica. Un burocrate considerato onesto dalla stragrande maggioranza del popolo che vede in lui un difensore dei diseredati e degli oppressi. Un professore che vive del solo salario statale e che ha contribuito a migliorare le condizioni di vita delle banlieu meridionali della capitale durante il suo mandato a sindaco di Teheran. Immediatamente dopo l'annuncio della vittoria Mahmood Ahmadinejad ha ringraziato "il popolo dei mustadhafin" (dei diseredati) che ha accolto il suo appello per "il ripristino dell'autentico spirito della Rivoluzione" e per "il ritorno alla pura morale islamica". In questo contesto viene così a decadere l'invito, lanciato dall'altro candidato Rafsanjani, a "modernizzare l'economia e rilanciare il dialogo con l'Unione Europea", favorendo una liberalizzazione economica che, come hanno indicato diversi esponenti politici ed esperti internazionali di economia e società, rappresentava una sorta di "via cinese" all'iraniana ovvero un programma di liberalismo "controllato" che avrebbe lasciato campo aperto a diverse Multinazionali per operare più agevolmente nelle cosiddette "aree di libero scambio" che il Governo iraniano aveva creato alcuni anni or sono. Politicamente il voto a favore di Ahmadinejad è la conferma del sostegno popolare agli ideali rivoluzionari islamici della linea dell'Imam Khomeini e la volontà del popolo iraniano di affermare con rinnovato vigore la sua indipendenza nazionale, la propria specificità religiosa e il suo modello di sviluppo e di cultura che nell'Islam shiita dell'Ahl ul Bayth e nella visione gerarchico-teocratica del principio della Walayat et Faqhi vede due dei pilastri della società e delle istituzioni della Repubblica Islamica dell'Iran. E' anche un ennesimo schiaffo all'America e ai nemici dell'Islam i quali, dopo aver accusato di "illegittimità" e "mancanza di libertà" l'Iran per lo svolgimento del primo turno elettorale, venerdì 17 giugno scorso, raccolgono così i "cocci" di una disfatta strategico-diplomatica che si evidenzia come totale. Certamente se qualcuno a Washington pensava di poter trovare un canale di dialogo verso l'Iran dovrà rivedere i suoi calcoli e soprattutto l'inefficacia dell'attuale strategia anti-iraniana portata avanti, fin dal febbraio 2002, dall'amministrazione Bush. La Repubblica Islamica dell'Iran è e rimarrà comunque il principale baluardo contro ogni forma di mondializzazione e lo Stato-leader del Fronte anti-imperialista che si oppone alle strategie di dominio e di Guerra Globale che certi settori della politica americana, al fianco del governo d'occupazione, perseguono in nome di utopie mondialiste che nel "nuovo ordine mondiale" intendono costruire una società uniformata all'american way of life con l'esclusione di qualsiasi "cultura, civiltà o religione" identitarie. Ecco i motivi per i quali queste elezioni iraniane hanno rappresentato l'ennesima debacle sionista e americana: perché l'Iran non "cambia volto" come vorrebbero le oligarchie finanziarie ed i diversi Centri Studi Strategici diretti e controllati da un numero esiguo di individui.



    http://dhb.altervista.org/ahmadinejad.htm
    Ultima modifica di Avamposto; 23-08-10 alle 06:19

  8. #8
    Avamposto
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    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    Il “potenziale energetico” iraniano e le opportunità per la Repubblica Islamica nella regione del Caspio

    martedì 25 agosto 2009


    di Stefano Martorana


    Le elezioni presidenziali iraniane, che hanno portato alla conferma di Ahmadinejad alla guida del governo della Repubblica Islamica, hanno costretto quanti speravano in una progressiva normalizzazione delle relazioni tra Teheran e l’Occidente a riconsiderare gli ostacoli e le resistenze dei diversi centri del potere iraniano rispetto a qualsiasi cambiamento di natura politica, economica o sociale.


    L’Iran possiede l’11,2% delle riserve mondiali provate di petrolio (1), è il quarto produttore mondiale, dopo Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti, e il secondo produttore OPEC. La sua quota nella produzione OPEC è pari al 12,5%, di molto inferiore rispetto al 19,8% del 1974. La maggior parte dei giacimenti di petrolio si trova nella regione sud-occidentale del Khuzestan, vicino al confine con l’Iraq. La produzione, che nel 1974 toccava i 6 milioni di barili al giorno, si attesta oggi a 4,4 milioni di barili al giorno, pari al 5,4% della produzione mondiale (2). Le autorità iraniane intendono portare la produzione sopra i 4,5 milioni di barili, entro il 2010, e fino ai 5 milioni di barili, entro il 2015. Secondo l’International Energy Agency, l’Iran non riuscirà a espandere significativamente la propria produzione prima del 2013 (3). In ogni caso, perché questo si realizzi, sarà necessaria una qualche forma di assistenza economica dall’estero.


    Il Paese dispone del 15,7% delle riserve mondiali di gas naturale. Anche se la maggior parte dei giacimenti sono ancora da sviluppare, rivestono una certa importanza quelli di South e North Pars, Tabnak e Kangan-Nar. Nonostante l’enorme potenziale, la produzione di gas naturale non è ancora in grado di influire positivamente sull’economia del Paese e si limita a soddisfare la domanda interna: nel 2007, sia la produzione che il consumo sono stati di 112 miliardi di metri cubi (4).


    Isolato dal punto di vista internazionale, soffocato dalle difficoltà economiche, escluso dagli investimenti internazionali, l’Iran potrebbe beneficiare della propria collocazione geografica e del proprio know-how per cogliere le opportunità legate al trasporto del petrolio e del gas del Caspio verso i mercati dell’Europa e dell’Asia orientale.


    Le ex-Repubbliche sovietiche della regione del Caspio possiedono il 3,8% delle riserve mondiali di petrolio e il 3,3% delle riserve di gas naturale (5). Poiché nessuno di questi Paesi dispone di uno sbocco sul mare aperto, l’Iran potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel trasporto di queste risorse verso l’Europa e l’Asia orientale: il petrolio e il gas prodotti nel Caspio arriverebbero in Europa attraverso il confine con la Turchia o raggiungerebbero il Golfo, per dirigersi in Asia orientale. La costruzione di un sistema di gasdotti e oleodotti attraverso l’Iran permetterebbe alle compagnie petrolifere e agli Stati produttori di godere di un duplice beneficio: abbattimento dei costi di trasporto e piena autonomia politica dalla Russia, dato che le rotte attraverso l’Iran sarebbero le più brevi, le più rapide e le più economiche.


    Il principale ostacolo allo sviluppo di nuovi giacimenti e alla realizzazione di qualunque infrastruttura per il trasporto del gas e del petrolio attraverso il territorio iraniano è rappresentato dalle difficoltà nelle relazioni con gli Stati Uniti. A partire dal 1995, il governo americano ha proibito alle proprie imprese qualunque attività economica in Iran. Inoltre, con l’approvazione nel 1996 dell’Iran-Libya Sanctions Act, le imprese non americane che investono in Iran più di 20 milioni di dollari all’anno nel settore petrolifero possono subire una serie di sanzioni, tra le quali vi è anche il divieto di esportare negli Stati Uniti (6). L’efficacia del provvedimento, che è diventato nel 2006 Iran Sanctions Act, è stata estesa fino al 31 Dicembre 2011.


    Il Turkmenistan è, tra i cinque Stati del Caspio, quello che ha instaurato le relazioni migliori con l’Iran. Il Paese esporta in Iran, attraverso il gasdotto Korpedze-Kurt Kui, 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. In seguito a una serie di incontri bilaterali, i due Paesi hanno deciso di ampliare la portata del gasdotto fino a 14 miliardi di metri cubi. Il completamento di un nuovo gasdotto, dalla città turkmena di Devletabat, potrebbe assicurare all’economia iraniana altri 12,5 miliardi di metri cubi di gas naturale: un passo ulteriore per impedire che tutto il gas turkmeno possa arrivare in Europa bypassando il territorio iraniano.


    Anche il Kazakhstan potrebbe rappresentare un’opportunità per l’economia iraniana. A partire dal 1992, i rapporti commerciali tra i due Paesi si sono estesi sempre di più, soprattutto attraverso gli accordi swap, che assicurano al petrolio kazako uno sbocco sul Golfo Persico. Nel 1996, i due Paesi hanno firmato un accordo swap con il quale il Kazakhstan si impegnava a consegnare, presso il porto iraniano di Neka, 2 milioni di tonnellate di greggio. Nonostante nel 1997, su pressione del governo americano, il Kazakhstan avesse deciso di sospendere l’accordo, nel 1999 le consegne sono riprese regolarmente, con una media di circa 70.000 barili al giorno.


    Per avere una dimensione del successo della cooperazione economica tra i due Paesi basta considerare un dato: nel 1995 operavano in Kazakhstan 45 imprese iraniane; nel 1997 il loro numero era già salito a 250, prima di arrivare a 384, nel 2007 (7).


    Il presidente della compagnia kazaka KazMunayGas ha ribadito, di recente, la necessità di ampliare la cooperazione con l’Iran nel campo energetico. In un’intervista rilasciata alla televisione pubblica, ha affermato l’interesse del Kazakhstan per una rotta che assicuri il trasporto delle risorse kazake di petrolio fino al Golfo Persico (8). Un incremento degli swap sembra l’ipotesi più realistica, considerate le difficoltà legate alla realizzazione di nuovi oleodotti in Iran: il Kazakhstan trasporterebbe il proprio petrolio attraverso il Caspio, fino al porto iraniano di Neka; l’Iran, in cambio, consegnerebbe ai clienti di KazMunayGas la stessa quantità di greggio sul Golfo Persico.



    NOTE



    (1) BP: Statistical Review of World Energy 2008


    (2) Ibidem


    (3) INTERNATIONAL ENERGY AGENCY: Medium-term oil market report 2008


    (4) BP: op. cit.


    (5) Ibidem


    (6) CONGRESSIONAL RESEARCH SERVICE: The Iran Sanctions Act (ISA) di Kenneth Katzman; 12 Ottobre 2007


    (7) BBC MONITORING MIDDLE EAST: Iranian companies urged to increase activities in Kazakhstan; 11 Novembre 2008


    (8) RFE/RL: Kazakhstan set to increase energy cooperation with Iran di Bruce Pannier; 16 Ottobre 2008



    AGI Energia

  9. #9
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    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    Iran: Dove va la Repubblica Islamica?







    Il dott. Talal Atrissi, ricercatore e scrittore mediorientale, esperto in questioni iraniane ed editore del periodico "Shoon al-Awsat" (Affari del Medioriente) fino al 2000, risponde alle domande sul futuro dell'Iran in relazione agli avvenimenti attuali: dalle minacce USA alla protesta studentesca.





    Crede che gli USA sferreranno una guerra all'Iran, con relativo "cambiamento di regime", come e' accaduto per l'Iraq? Qual e' lo scenario che lei ritiene verosimile al riguardo?

    Credo che non vi sara' un attacco all'Iran, almeno a breve termine, per diverse ragioni:
    Prima di tutto la situazione in Iraq e' instabile, specie per quello che concerne la sicurezza delle truppe USA, le quali stanno fronteggiando un serio movimento di resistenza che sta procurando loro non pochi problemi. E' difficile che, in questa condizione di instabilita', gli USA decidano di aprire un secondo fronte.
    In secondo luogo, tra pochi mesi inizieranno i preparativi per le prossime elezioni negli USA. Di solito, gli americani congelano tutte le questioni estere in periodo elettorale, dunque non sarebbe auspicabile per il governo aprire un nuovo fronte, in questo momento e con un paese come l'Iran.
    Terzo, la situazione in Iran e' differente da quella dell'Iraq riguardo allo stesso regime ed al regime nel suo contesto regionale ed internazionale. Internamente, le due principali correnti politiche, la riformista e la conservatrice, si oppongono ad ogni tipo di intervento estero negli affari interni dell'Iran. Bisogna dire che lo stesso regime ha capacita' e legittimita' a livello popolare e militare e non soffre di alcun isolamento a livello regionale ed internazionale. Queste realta' ci fanno concludere che gli USA si limiteranno alle pressioni economiche e politiche sull'Iraq.



    Le recenti manifestazioni studentesche sono in grado di avere effetti sul potere e la legittimita' del governo iraniano? Tali dimostrazioni possono causare il crollo del regime?

    Le recenti manifestazioni non influenzano in alcun modo la legittimita' del governo iraniano specie perche' sono limitate nel numero e non coinvolgono decine di migliaia di individui; esse non bloccano la vita quotidiana in Iran. Al contrario, possiamo considerare la presenza delle proteste studentesche come un segno della legittimita' di quel governo, poiche' esse, se non consideriamo cio' che appare sugli slogans, somigliano a quelle che regolarmente avvengono nei paesi democratici occidentali.
    Per riassumere, direi che queste manifestazioni non causano timori per l'esistenza e la stabilita' del governo iraniano ma mostrano che i giovani iraniani avvertono dei disagi.



    Qual e' la sua opinione circa le possibilita' di riforme pacifiche in Iran contro i disordini civili, i quali possono essere usati dagli USA per giustificare un attacco al paese?

    Penso che le riforme pacifiche siano iniziate in Iran diversi anni fa e l'esistenza dei riformisti, guidati dal presidente Khatami, rappresenta quest'iniziativa. E' ovvio che vi siano differenti puniti di vista circa le riforme ed i loro limiti, e questo e' cio' che accade in ogni paese a sistema bi-partitico.

    Non credo che i disordini in Iran si intensificheranno al punto di arrivare ad una guerra civile tra le due diverse correnti; forse la situazione rimarra' cosi' com'e'. Ognuna delle due parti continuera' ad esercitare pressioni sull'altra.

    Bisogna comunque dire che ogni volta in cui le possibilita' di un intervento americano aumentano, cio' si riflette internamente, ed il conflitto interno diminuisce d'intensita', poiche' i poteri interni saranno occupati ad affrontare una minaccia esterna.



    L'Iran e' circondato dalle forze di occupazione USA in Afghanistan ed in Iraq. Inoltre, vi sono molti governi arabi che desiderano relazioni piu' strette con Washington. Considerato cio', qual e' la capacita' di sopravvivere dell'attuale governo iraniano, alla luce anche delle recenti accuse sul nucleare?

    Nonostante l'accerchiamento dell'Iran da parte dell'esercito USA in Afghanistan ed Iraq, l'Iran ha diversi forti vantaggi da utilizzare per contro-pressare il governo USA. L'Iran ha una significativa influenza in Afghanistan e relazioni importanti con i capi tribali e con alcuni leaders militari. Ha anche molta influenza in Iraq, specie all'interno della comunita' shiita. Inoltre ha un forte impatto anche in Medioriente, specie sui movimenti di resistenza palestinesi e libanesi contro l'occupazione israeliana.

    Queste sono carte importanti che l'Iran puo' giocare qualora si senta minacciata direttamente dall'America.



    Gli interessi americani ed iraniani sono sempre in contrasto?

    La contraddizione non e' permanente. E' accaduto che i loro interessi coincidessero, come ad esempio nella rimozione del regime dei Talebani e dello stesso Saddam Hussein, pur essendosi il governo iraniano espresso contro le guerre lanciate dagli USA.
    Credo che la contraddizione strategica dei due governi riguardi la Palestina, ed una porzione significativa delle pressioni americane all'Iran sono dovute alla posizione di questo paese verso la questione mediorientale. Questa differenza non puo' essere risolta semplicemente ed immediatamente.



    Se gli USA dovessero lanciare un attacco, quali speranze avrebbe l'Iran di respingerlo [militarmente]?

    Penso che il caso dell'Iran sia differente da quello dell'Iraq, poiche' l'Iran ha delle capacita' militari che lo metterebbero in grado di reggere l'attacco. L'Iran ha la possibilita' di adoperare armi al cui uso si e' esercitato negli ultimi anni.

    A livello pubblico, l'Iran puo' mobilitare almeno decine di migliaia di uomini per affrontare un'eventuale invasione. Allo stesso tempo, il tentativo americano di occupare l'Iran richiedera' un numero di truppe ben maggiore di quello adoperato per l'Iraq. E' impossibile per gli USA disporre di un tale numero di truppe in Iran nel contempo.
    Penso che l'unica cosa che gli USA possano tentare e' una serie di operazioni in luoghi specifici, non certo un'invasione come quella dell'Iraq.


    Pensa che se l'Iran dovesse essere attaccato dagli USA, esso per rappresaglia attacchera' i paesi utilizzati dall'attaccante come base?

    Non credo che, in caso d'attacco, l'Iran colpira' quei paesi che ospitano basi militari americane. Piu' verosimilmente, lancerebbe una guerra di sabotaggio contro gli interessi americani in alcuni paesi, come l'Iraq o l'Afghanistan, in cui l'Iran ha sufficienti capacita' ed influenza da utilizzare contro gli aggressori.



    Lei ritiene che, con i conflitti in Iraq ed Afghanistan ancora non risolti, gli USA non attaccheranno - per il momento - l'Iran. Cosa vuol dire "per il momento"? Quanto devono stare gli iraniani sui carboni ardenti? E chi verra' dopo? L'Arabia Saudita?

    Per quello che concerne i problemi in Iraq, essi saranno risolti - se saranno risolti - nel tempo, e gli USA vi resteranno a lungo. Cio' significa che l'America potra' cercare il confronto con l'Iran, ma piu' in la'. La resistenza aggiuntiva dell'Iraq ritardera' il momento di questo confronto e cio' puo' spiegare le affermazioni americane secondo cui il cambiamento a cui essi vogliono arrivare, in Iraq, e' interno - non attraverso una forza militare esterna.
    Per quanto riguarda l'Arabia Saudita, non penso che sara' la prossima preda dopo l'Iran perche' gli USA possono raggiungere i loro obiettivi nel paese semplicemente esercitando pressioni politiche.
    Gli USA non sono affatto interessati a cambiare il regime politico saudita, mentre stanno cercando di far adottare severe riforme politiche ed educative ai sauditi in modo da impedire la continuita' di cio' che gli USA considerano un fondamentalismo religioso rigido ed estremo.



    Se l'Iran avesse l'arma nucleare, come si comporterebbe con i governi arabi filo-americani? Chiederebbe l'unita' del mondo islamico? Quali sono i fattori che influenzano la politica estera USA verso l'Iran?

    L'energia nucleare iraniana e' stata usata a scopi pacifici e, anche se fosse convertita in capacita' militare, e' impossibile che possa prendere di mira qualche paese arabo, poiche' l'Iran non ha bisogno di mantenere alcun equilibrio militare con essi. E del resto non vi sono mai state minacce arabe contro l'Iran. L'unico pericolo, per l'Iran, viene da USA ed Israele. Di conseguenza, qualsiasi sviluppo di possibili armi nucleari in Iran avra' come obiettivo quello di essere un deterrente contro queste minacce.
    Per quello che concerne l'unita' del mondo islamico, l'Iran ha perseguito questa strada fin dallo scoppio della rivoluzione islamica.
    I fattori principali che determinano la politica USA verso l'Iran sono essenzialmente due: la sicurezza di Israele e il petrolio.



    Il rapporto tra USA ed Iran e' stato problematico sin dalla caduta dello Shah. Gli USA hanno fatto diversi tentativi di rovesciare il governo islamico (guerra Iraq-Iran, embargo, inclusione del paese nella "lista" nera del terrorismo, etc), tutti falliti a causa del supporto della pubblica opinione al governo. Lei crede che i recenti avvenimenti in Iran apriranno la porta ad un intervento obliquo da parte USA, che impedisca all'Iran di ostacolare la realizzazione degli interessi economici e geopolitici USA nell'area?

    Come ho detto prima, credo che le minacce esterne finiranno per ottenere l'effetto opposto, compattando l'unita' interna dell'Iran. Quindi non credo che le proteste studentesche possano essere considerate un'opportunita' per gli USA per implementare politiche utile ai suoi interessi economici e strategici.



    In conclusione, cosa vuole la maggioranza degli iraniani? Un sistema secolare che nasca dalle ceneri di quello esistente, o una serie di riforme da attuare nel sistema attuale?

    La maggioranza degli iraniani vuole che le riforme abbiano luogo all'interno del sistema islamico, e questa e' l'opinione dei riformisti che hanno eletto presidente Khatami (circa 20 milioni di iraniani). Cio' non vuol dire che non vi siano gruppi che desiderano rimuovere l'intero sistema islamico.

    La riforma richiesta, secondo i riformisti, e' la correzione delle molte leggi connesse alle prerogative del presidente, che diminuiscano le prerogative delle istituzioni controllate dai conservatori aumentando simultaneamente quelle del presidente.


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    Iran2

  10. #10
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    Predefinito Rif: La Repubblica Islamica dell'Iran -

    Franco Cardini sulla Repubblica Islamica dell'Iran

    Sabato 27 Febbraio 2010 10:22



    Nel febbraio 2010 continua la campagna denigratoria contro la Repubblica Islamica dell'Iran. Non che ci sia gran che di nuovo: colpevole di esistere, la Repubblica che non soltanto è nata da una rivoluzione anticolonialista ma ha anche osato resistere a trent'anni di delegittimazioni, guerre d'aggressione e campagne di odio è un bersaglio abituale per la marmaglia gazzettiera.



    Franco Cardini è uno storico di indiscussa competenza poco incline a lasciarsi andare a concioni prive di cognizione di causa. Quanto basta perché la gazzetteria gli dia corda il meno possibile, e gli assegni di solito la funzione che hanno, in certi contesti, tutte le persone rispettabili, ovvero conferire profumo francese a prodotti editoriali e di "informazione" costituiti in realtà da carrettate di sterco.
    All'indomani delle discusse elezioni presidenziali nella Repubblica Islamica dell'Iran, Cardini produsse una lunga e documentata serie di considerazioni, cui il tempo sta dando ragione nonostante il mainstream sia letteralmente saturo di acritica propaganda "verde", esposta in modo ecoico da e per gente priva di qualunque cognizione di causa. L'atteggiamento di certe realtà ed organizzazioni "occidentali" in occasione di scontri di piazza mai sopiti per sei mesi può essere collocato tra il cinico, il furbetto ed il controproducente. Scontri nel corso dei quali si sparava e si moriva sono serviti a pubblicizzare cinguettatori e faccialibri, roba cui fanno ricorso le attricette quando vogliono pubblicizzare i loro interventi plastici ed i cui contenuti privi di qualunque verifica sono stati presentati come oro colato dal gazzettaio.
    Una gazzetteria assolutamente incurante degli effetti che tonnellate di dati incompleti, di menzogne vere e proprie e di mostruosità sparate a tutta pagina potevano avere per chi rischiava in piazza in prima persona.
    L'impressione è che il bagno di sangue fino ad oggi più o meno evitato -le opposizioni parlano di cento morti; nel 1978 l'impiego demenziale dell'esercito da parte di Reza Pahlavi lasciò sul terreno diecimila o quarantamila persone, a seconda delle fonti- sia stato invece auspicato, neanche tanto sottobanco, dalla torma di vuotacessi che fancazza nelle redazioni. La Repubblica Islamica dell'Iran, ai loro occhi, serve solo come caso eclatante da sciorinare sotto il naso di chiunque faccia pubblicamente notare come e qualmente il "libero Occidente" stia di fatto diventando velocemente un'immensa galera a cielo aperto. Poi c'è da preparare il terreno all'aggressione amriki e/o a quella sionista, nell'aria da anni presso parti politiche rappresentative di un elettorato ingordo, ebete, incompetente, in sovrappeso e dotato di un'incoscienza e di una pericolosità a tutta prova, che non fatica a riconoscersi nella scoperta e vantata demenzialità delle "pitbull con il rossetto". La lettura di Franco Cardini è un antidoto molto incompleto, tuttavia necessario, alle asserzioni forsennate di una "libera informazione" cui chiunque tenga davvero alla propria indipendenza di giudizio dovrebbe guardarsi bene dal rivolgersi.



    L’11 febbraio scorso, trentennale della rivoluzione khomeinista, l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede Alì Akbar Naseri indiceva una conferenza stampa. Visto il momento “caldissimo” nell’opinione pubblica, si potrebbe supporre ch’essa è stata presa d’assalto dai media. Macché. Né un TG importante, né una testata di rilievo: è così che da noi si fa informazione. Tuttavia, le pacate dichiarazioni del diplomatico hanno richiamato un’ennesima volta a una verità obiettiva che ormai conosciamo. Il 4 febbraio scorso, il governo iraniano ha formulato alla authority internazionale nucleare, l’AIEA, una proposta molto flessibile e ragionevole: accettazione della prassi elaborata dal gruppo dei 5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Germania) nell’ottobre scorso, sulla base della quale l’Iran consegnerà delle partite di uranio arricchito al 3,5% alla Russia, che lo porterà al 20% e lo passerà alla Francia incaricato di restituirlo all’Iran. Date però le circostanze e il macchinoso sistema elaborato, il governo dell’Iran – temendo evidentemente che l’uranio gli venga sottratto – chiede semplicemente che lo scambio avvengo in territorio iraniano e che ad ogni cessione di partita di uranio al 3,5% l’Iran venga risarcito con la consegna di una pari quantità arricchita al 20%. Non si capisce perché il governo statunitense abbia rifiutato come “non interessante” una proposta del genere e si ostini a pretendere dall’Iran la pura e semplice cessione del minerale, senza contropartite né garanzie. Ciò corrisponde solo a un vecchio e abusato trucco diplomatico: formulare pretese assurde e irricevibili per poi accusare l’avversario, reo di non averle accettate.

    Qualcosa di molto grave si sta profilando in Occidente: qualcosa che forse minaccia il mondo. E’ uno scenario che purtroppo abbiamo già visto. Tra 2002 e 2003 i governi statunitense e britannico inscenarono una pietosa e vergognosa commedia cercando di far credere al mondo che l’Iraq di Saddam Hussein fosse in possesso di pericolose armi segrete di distruzione di massa. Era incredibile: e infatti chi aveva capacità di comprendere e di assumere informazioni precise si rese subito conto che si trattava di una colossale e infame menzogna. Ma i mass media insistevano, i politici – anche italiani – erano già decisi a seguire il sentiero tracciato del sinistro signor Bush: il risultato fu la guerra e un’occupazione che perdura e dalla quale gli stessi italiani non sanno come far a uscire.[1]
    Sette anni dopo, siamo alle solite: analogo scenario, analoghe sfrontate bugie. La vittima designata, ora, è l’Iran. Auguriamoci che le dissennate dichiarazioni dei politici e dei mass media non preludano a qualcosa di simile al pasticcio irakeno: stavolta sarebbe molto più grave.
    La Repubblica Islamica dell’Iran è una società molto complessa,[2] che non è certo retta da un regime totalitario, bensì da un sistema assembleare per certi versi paragonabile a una repubblica protosovietica controllata da un “senato” di teologi-giuristi. Nata da uno strappo violento che ha sottratto trent’anni fa agli USA il suo più sicuro e fedele alleato-subordinato e che ha fatto tabula rasa d’importanti interessi petroliferi occidentali, è strutturalmente avversaria della superpotenza americana: dal momento che essa individua in Israele il principale supporto della politica statunitense nel Vicino Oriente, essa avversa radicalmente anche quest’ultimo. Non c’è dubbio che il governo iraniano attuale abusi dei suoi poteri, a cominciare da quello che gli consente di comminare pene capitali, e che non rispetti alcuni diritti della persona umana. Non è l’unico a far certe cose (tali diritti non sono rispettati nemmeno nell’illegale campo di detenzione di Guantanamo, tenuto aperto dalla Prima Democrazia del mondo): ma le fa, e ciò dev’essere denunziato con deciso rigore.
    Ciò non toglie che sull’Iran il mondo occidentale in genere, italiano in particolare, sia malissimo informato. Esaminiamo sinteticamente i quattro fondamentali capi d’accusa che vengono ormai rivolti abitualmente al governo di Ahmedinejad: si sarebbe reso responsabile di gravi brogli elettorali durante le ultime elezioni e di una pesante repressione delle proteste da parte dell’opposizione; minaccerebbe e programmerebbe un attacco contro Israele, con intenzione di distruggerlo; starebbe fabbricandosi un potenziale nucleare militare; sarebbe candidato a cedere in quanto isolato internazionalmente.
    Si tratta sostanzialmente di quattro calunnie, per quanto ciascuna di essi riposi su un qualche elemento di verità. Vediamole in ordine.
    Prima. In una recente intervista consultabile nella versione telematica di “Panorama” del 30.12.2010 una delle maggiori esperte di cose iraniane, Farian Sabahi,[3] non ha escluso che vi siano stati brogli elettorali, ma ha sottolineato che essi non possono aver falsato sostanzialmente il responso delle urne che è stato comunque con certezza largamente favorevole ad Ahmadinejad in quanto egli, a differenza dei suoi elettori, ha saputo guadagnarsi la fiducia della maggioranza degli iraniani non grazie alle sue tracotanti minacce contro Israele, bensì con una politica sociale che ha costantemente messo a disposizione dei ceti più deboli una massa ingente di pubbliche risorse, ha consentito a 22 milioni d’iraniani di accedere a efficaci cure mediche gratuite, ha aumentato molti stipendi (p.es. del 30% quello degli insegnanti), ha aumentato del 50% ‘entità delle pensioni. Al contrario i suoi avversari, pur abilissimi a mobilitarsi su Twitter e forti nei ceti medi specie della capitale, hanno fatto ben poca breccia nei centri minori e praticamente nessuna nelle campagne. I nostri mass media insistono sui deliri oratori hitleriani di Ahmedinejad (che peraltro riassumono sistematicamente, senza darci modo di capire che cosa effettivamente egli dica, e a chi, e in quali contesti), ma non c’informano per nulla della sua politica sociale, impedendoci di farci un’idea di che cosa realmente sia l’Iran di oggi.[4]
    Seconda. Quanto all’atteggiamento di Ahmedinejad contro Israele, è indubbiamente una maldestra e odiosa misura propagandistica da parte sua la contestazione della shoah; ma, quanto alle minacce, chi non si limita al materiale scaricato da Twitter si è reso facilmente conto che il presidente iraniano non ha mai affermato che Israele vada distrutta (cioè che gli israeliani siano eliminati o cacciati), bensì che la pretesa di uno stato ebraico che si presenti come etnocratico e confessionale ma che nello stesso tempo pretenda di essere un modello di democrazia all’occidentale è evidentemente insostenibile in quanto costituisce una contraddizione in termini. Da ciò Ahmedinejad non deduce che lo stato d’Israele vada distrutto dall’esterno, ma che esso non potrà mai mantenersi sulla base dei principi proclamati. Oltretutto, nell’ormai radicato immaginario occidentale Ahmadinejad starebbe minacciando di distruzione nucleare Israele: ora, si domanda come può il leader di uno stato che non è ancora arrivato nemmeno al nucleare civile minacciare di distruzione nucleare un paese che invece dispone sul serio di un nucleare militare. Tutto ciò è assurdo. E non è difatti mai accaduto. Ahmedinejad si limita a dire che la convivenza di ebrei e di palestinesi dovrà essere rifondata su basi diverse da quelle dell’attuale stato d’Israele se vorrà avere qualche probabilità di sopravvivere.
    Terza, la questione nucleare. Qui siamo al ridicolo e all’infamia al tempo stesso. L’11 febbraio scorso, trentennale della rivoluzione khomeinista, l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede Alì Akbar Naseri indiceva una conferenza stampa. Visto il momento “caldissimo” nell’opinione pubblica, si potrebbe supporre ch’essa è stata presa d’assalto dai media. Macché. Né un TG importante, né una testata di rilievo: è così che da noi si fa informazione. Tuttavia, le pacate dichiarazioni del diplomatico hanno richiamato un’ennesima volta a una verità obiettiva che ormai conosciamo. Il 4 febbraio scorso, il governo iraniano ha formulato alla authority internazionale nucleare, l’AIEA, una proposta molto flessibile e ragionevole: accettazione della prassi elaborata dal gruppo dei 5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Germania) nell’ottobre scorso, sulla base della quale l’Iran consegnerà delle partite di uranio arricchito al 3,5% alla Russia, che lo porterà al 20% e lo passerà alla Francia incaricato di restituirlo all’Iran. Date però le circostanze e il macchinoso sistema elaborato, il governo dell’Iran – temendo evidentemente che l’uranio gli venga sottratto – chiede semplicemente che lo scambio avvengo in territorio iraniano e che ad ogni cessione di partita di uranio al 3,5% l’Iran venga risarcito con la consegna di una pari quantità arricchita al 20%. Non si capisce perché il governo statunitense abbia rifiutato come “non interessante” una proposta del genere e si ostini a pretendere dall’Iran la pura e semplice cessione del minerale, senza contropartite né garanzie. Ciò corrisponde solo a un vecchio e abusato trucco diplomatico: formulare pretese assurde e irricevibili per poi accusare l’avversario, reo di non averle accettate. Bisogna al riguardo tener presente due cose: primo, per avviare la costruzione del nucleare militare è necessario un arricchimento dell’uranio all’80%, mentre l’Iran non è ancora in grado nemmeno di arricchirlo al 20%, limite indispensabile per gli usi civili. E di sviluppare un nucleare civile l’Iran ha diritto, in quanto paese firmatario del trattato di non-proliferazione (gli unici tre stati che non hanno firmato sono Israele, India, Pakistan). Il punto è che sembra proprio che i soggetti occidentali più importanti (quindi il governo statunitense e la NATO, che da esso è largamente controllata) siano ben decisi a procedere su una strada pregiudizialmente tracciata. In un’intervista concessa a Luigi Offeddu del “Il Corriere della Sera”, e pubblicata il 29.2.2010, Adres Fogh Rasmussen, segretario generale della NATO dall’agosto 2009, ha proferito affermazioni allucinanti nella sostanza non meno che nel tono: “Al momento dovuto, noi prenderemo le decisioni necessarie per difendere i paesi della NATO”, ha dichiarato.[5] Ha parlato di un sistema missilistico difensivo, risultato di una triplice collaborazione tra USA, NATO e Russia, fingendo di non sapere che in Realtà la Russia è preoccupata delle installazioni missilistiche USA-NATO in Romania e in Polonia, non è soddisfatta dei chiarimenti fornitile (secondo i quali esse sarebbero dirette contro la minaccia iraniana) e la sua richiesta di “collaborazione a tale sistema è, in realtà, una richiesta di controllo. Rassmunsen, ignorando del tutto le proposte iraniane, continua a proporre un diktat: l’Iran consegni tutto il suo uranio che verrà arricchito all’estero, senza alcuna possibilità di controllarne il destino, senza alcun controimpegno e senza alcuna contropartita. C’è da chiedersi chi mai potrebbe accettare imposizioni del genere.
    Quarto. Si continua acriticamente a ripetere, da noi, che ormai l’ONU sarebbe pronta a inasprire l’embargo all’Iran e che lo stesso consiglio di Sicurezza sarebbe d’accordo: si tratterebbe solo di convincere la Cina a non usare il suo diritto di veto e a studiare sanzioni che colpiscano il governo iraniano, ma non la popolazione. Quest’ultimo proposito è manifestamente ipocrita: le sanzioni colpiscono sempre le popolazioni, e in genere rinsaldano la loro solidarietà con i loro governi (a parte l’ipocrisia del governo italiano, che sostiene di preoccuparsi per ragioni umanitarie mentre in realtà è in ansia per il grosso business iraniano dell’ENI, che potrebb’essere compromesso dalle sanzioni con un forte danno agli interessi italiani). Ad ogni modo, le sanzioni contro l’Iran non funzioneranno, perché il governo iraniano è a vari livelli in contatto positivo con molti paesi e ha stipulato o sta stipulando accordi non solo con Cina e Russia, ma anche con la Siria, col Venezuela e con la Turchia. E’ del 19.2., stando a due “lanci” AGI, la dichiarazione del viceministro degli Affari Esteri Serghiey Ryabkov, secondo la quale non solo la Russia è contraria a un inasprimento delle sanzioni contro l’Iran e indisponibile ad appoggiarle, ma si conferma intenzionata a fornire all’Iran i sistemi antiaerei S-300, come si era impegnata a fare.
    Insomma, il regime iraniano può non piacere: ma non ha la possibilità e forse nemmeno l’intenzione di costruire armi nucleari e non si trova affatto in una posizione di assoluto isolamento diplomatico.
    Ma allora perché gli USA sembrano preoccuparsi dell’Iran di Ahmedinejad al punto di arrivare alle esplicite minacce? L’atomica, i diritti umani e le minacce a Israele non c’entrano. C’entra invece il modesto isolotto di Kish sul Golfo Persico, che gli iraniani hanno scelto a sede di una futura rete di scambi petroliferi mirante alla costituzione di un “cartello” che si fonderebbe sull’unità monetaria non più del dollaro, bensì dell’euro. Questa è la bomba nucleare iraniana che davvero gli americani temono.
    E allora, immaginiamoci un possibile e purtroppo piuttosto probabile futuro. La guerra, lo sanno tutti, è un gran ricco business: vi sono cointeressate potentissime lobbies industriali e finanziarie internazionali; è rimasta l’unica attività produttiva statunitense che davvero “tiri”; le commesse vanno rinnovate e gli arsenali debbono essere vuotati se si vogliono riempire di nuovo; poi ci sono i generali (non solo i generaloni del Pentagono, quelli che ostentano nomi da conquistatore romano, tipo Petreus; ma anche i generalucci della NATO e i generalicchi italiani, per tacer degli strateghi-peopolitici da TV…); inoltre c’è il sacrosanto spiegamento dei fondamentalisti cristiani, ebrei e musulmano-sunniti che non vedono l’ora di saltar addosso al demonio sciita; infine ci sono i poveri cristi che aspettano di venir ingaggiati come in Afghanistan e in Iraq, la folla dei portoricani in caccia della magica green card che fa di loro dei quali cittadini statunitensi, i sottoproletari che sognano di ascendere al rango di contractors. Tutte insieme, queste forze sono – non illudiamoci – potentissime.
    Se non ci salva il duplice “veto” russo-cinese al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (ma anche quello non sarà sufficiente: basterà la NATO, come in Afghanistan nel 2001: poi, l’ONU sarà costretta ad avallare…), oppure, meglio ancora, un deciso “no” degli israeliani che - a differenza del loro governo - non hanno perduto il ben dell’intelletto e la voce dei quali potrebbe contare moltissimo dinanzi all’opinione pubblica mondiale, l’aggressione all’Iran probabilmente si farà. E’ molto più facile di quella all’Iraq del 2003: il sunnita e “laico-progressista” Saddam poteva contare su molti amici negli USA, in Europa e nel mondo musulmano, l’Iran fondamentalista e sciita non ne dispone. Poi, tra qualche anno, qualcuno in gramaglie verrà a dirci che no, ci eravamo sbagliati, la bomba nucleare proprio l’Iran non ce l’aveva e nemmeno i terribili missili puntati contro l’Occidente; qualcun altro sgamerà, altri ancora si rifugeranno nell’amnesia. Frattanto, nella migliore dell’ipotesi, ci saremo infilati in un pantano sanguinoso e costoso, peggiore di quelli afghano e irakeno messi insieme: un pantano nel quale sguazzeranno allegramente solo le anatre e le rane tipo gli imprenditori, i militarastri e i sottoproletari del “finché-c’è-guerra-c’è-speranza”, che ciascuno al suo livello ci guadagneranno (“produzione e consumo” in alto, patacche e promozioni a mezza tacca, “posti di lavoro” in basso) o tipo La Russa, che già ora s’inorgoglisce dei suoi picchetti d’onore e delle sue finte uniformi militari. Se non altro, tutto ciò darà una nota comica alla vicenda. Ma non illudiamoci: quella sarà soltanto la migliore fra le ipotesi.

    Franco Cardini
    Fonte: diorama.it - Home
    Link: diorama.it - Il caso Iran
    22.02.2010




    NOTE

    [1] I media ci hanno poi informati che le armi di distruzione di massa non c’erano: ma nessun governante nessun politico di quelli che a suo tempo avevano stragiurato sulla loro esistenza, nessun intellettuale o pubblicista di quelli che immaginavano scenari festosi (tipo i liberatori che arrivano a Baghdad in mezzo ai fiori e alle bandiere del popolo irakeno liberato…), nessun mezzobusto televisivo-opinion maker ha fatto ammenda dell’errore in cui aveva tentato d’indurci, o meglio della menzogna proferita. Anzi, a dimostrazione della longevità dei falsi miti, Tony Blair, nel corso della sua pietosa autocritica che sigilla il fallimento della sua carriera di politico (dopo i danni che ha fatto, e che purtroppo paghiamo e pagheremo noi) è tornato sulle armi di distruzione saddamiste come se fossero davvero esistite, “dimenticando” al figuraccia sua e di altri.
    [2] Cfr. L’iran e il tempo. Una società complessa, a cura di A. Cancian, Roma, Jouvence 2008; A.Negri, Il turbante e la corona. Iran trent’anni dopo, Milano, Tropea, 2010.
    [3] Di cui cfr. F.Sabahi, Storia dell’Iran 1890-2008, Milano, Bruno Mondadori, s.d.
    [4] Cfr. il lucido commento di M.Tarchi, La lezione iraniana, “Diorama letterario”, 296, ott.-dic. 2009, pp. 1-3.
    [5] L.Offeddu, “L’iran si fermi sul nucleare o la NATO dovrà difendersi”, “Corriere della Sera”, 20.2.2


    Franco Cardini sulla Repubblica Islamica dell'Iran

 

 
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