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    Predefinito Antonio Gramsci - Libertà e democrazia

    La questione della libertà

    L’aggettivo “organico” rendeva la libertà voluta da Gramsci diversa non solo da quella dei teorici liberaldemocratici, ma anche da quella immaginata da Marx ed Engels. Al centro della sua attenzione non era l’individuo, ma la classe: sia nella società capitalistica che nella futura società socialista l’individuo ne era assorbito, così come nelle società precapitalistiche era stato assorbito dalla comunità. Erano le classi e non gli individui a dare origine, con la loro azione solidale, ai più importanti processi economici. Gramsci riteneva però che una classe potesse agire efficacemente sul piano economico solo dopo avere acquistato coscienza di sé su quello etico-politico.
    L’analisi del rapporto Gramsci-Croce è fondamentale per capire l’atteggiamento di Gramsci sul problema della libertà. Il pensiero di Croce costituiva la massima espressione del liberalismo italiano e per Gramsci confrontarsi con esso significava sottoporre alla più severa verifica la validità della concezione della libertà “organica”. Con la sottolineatura dell’importanza della sfera etico-politica, Gramsci non intendeva innestare il marxismo sul crocianesimo: si era ormai definitivamente distaccato da Croce e il suo distacco era dovuto a cause contingenti e di fondo. Tra le prime, l’atteggiamento non avverso al fascismo che Croce aveva assunto negli anni 1922-24 e, più tardi, l’aver voluto mantenere l’antifascismo sul piano puramente culturale, rifiutando ogni azione politica. Nel marzo del 1933 Gramsci mosse a Croce una critica molto dura (che coincideva con quelle che gli erano mosse da altri prigionieri politici di quegli anni), accusandolo di “non volersi impegnare a fondo”, perché distingueva tra l’intellettuale e il politico, “come se l’intellettuale non fosse anche un politico”.
    Gramsci ridimensionava anche il contributo dato da Croce alla formazione di un’opinione pubblica antifascista (sia pure limitata a certi ambienti intellettuali) con la pubblicazione della Storia d’Europa. “Essere partigiano della libertà in astratto”, scriveva, “non conta nulla, è semplicemente una posizione da uomo di tavolino che studia i fatti del passato, ma non da uomo attuale partecipe della lotta del suo tempo”. Secondo Gramsci, gli intellettuali che assumevano questo atteggiamento non facevano altro, oggettivamente, “se non collaborare coll’attore del dramma storico che ha meno scrupoli e meno senso di responsabilità”. E poneva una domanda dal tono molto aspro: “Non sarebbe stato più onesto intellettualmente di apparire sulla scena nel vero compito, di alleato ‘con riserve’ di una delle due parti? invece di voler apparire come superiore alle miserie passionali della parti stesse e come ‘incarnazione’ della storia?”.
    Il completo distacco di Gramsci da Croce era avvenuto anche sul piano teorico, come mostrava l’interpretazione che dava al termine “etico-politico”. Il 9 maggio 1932, mandando a Tania un’altra puntata della sua recensione della Storia d’Europa di Croce, aveva sostenuto che la storia crociana non avrebbe dovuto essere chiamata etico-politica, ma “filosofica” e “speculativa”. La vera teoria etico-politica per Gramsci era quella dell’ “egemonia”, con cui Lenin aveva sviluppato l’accenno di Marx al fatto “che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie”. Gramsci riconosceva a Croce il merito di avere richiamato l’attenzione “sul momento dell’egemonia e del consenso”, ma dava il primato in questo campo al “più grande teorico moderno della filosofia della praxis”, cioè a Lenin, che, “in opposizione alle diverse tendenze ‘economistiche’”, aveva rivalutato “il fronte di lotta culturale”, costruendo, appunto, la dottrina dell’egemonia.
    Su queste basi si fondava la teorizzazione dell’importanza del partito, il solo strumento in grado di esercitare l’egemonia sul piano pratico. Le idee di Gramsci sul partito sono rese talvolta oscure dal fatto che nelle sue pagine l’espressione “moderno Principe” indica (oltre all’opera teorica in cui dovrebbero essere trattate queste questioni) ora il partito e ora la nuova concezione del mondo. C’è un passo, molto importante, in cui Gramsci si riferisce indubbiamente al moderno Principe come alla nuova concezione del mondo rappresentata dal marxismo: il moderno Principe, “sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso, e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Che per moderno Principe Gramsci qui non intenda il partito risulta dal contesto. L’affermazione si trova infatti in una nota di grande respiro, il cui si tratta del passaggio epocale dalla morale cristiana alla borghese e poi da questa a quella che dovrebbe essere la nuova morale comunista. Su questo punto, il passo non consente equivoci: “Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”.
    Tuttavia gli attacchi a Trockij, i processi contro i suoi seguaci, il modo stesso come venivano considerati nell’Unione Sovietica gli oppositori interni davano un tono di ambiguità alla frase in cui Gramsci scriveva che gli atti compiuti erano considerati virtuosi o scellerati in quanto incrementavano o contrastavano il potere del Principe. Essa sembrava, infatti, riferirsi al partito e poteva suonare come una giustificazione di quei processi, giudiziari o politici. Senonché lo stesso Gramsci era stato processato politicamente, sicché il passo, se diamo alla definizione di moderno Principe la più ristretta accezione di partito, viene comunque a costituire un’analisi scientifica, non una giustificazione e tanto meno una celebrazione.
    Ma anche nell’accezione molto più ampia di concezione del mondo moderno Principe esprimeva pur sempre una visione totalizzante non solo della politica ma di tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Per capire le ragioni che spingevano Gramsci ad accettarla, è illuminante il paragone che faceva anche nei Quaderni col cristianesimo (riprendendo così un tema a cui, come si è visto, aveva accennato già negli scritti giovanili). Se ne serviva anzitutto per spiegare la sua idea di rivoluzione (e del carattere che doveva avere un marxismo non revisionistico ma autenticamente rivoluzionario): “Il cristianesimo fu rivoluzionario in confronto del paganesimo perché fu un elemento di scissione completa tra i sostenitori del vecchio e del nuovo mondo”. E se ne serviva poi per chiarire il rapporto tra Marx e Lenin, che considerava analogo a quello che c’era stato tra Cristo e san Paolo: non si poteva istituire una gerarchia tra Cristo e Marx da un lato e Lenin e san Paolo dall’altro, cioè tra una concezione del mondo e l’azione rivolta a concretizzarla in un nuovo assetto della società, perché l’una e l’altra erano necessarie nella stessa misura.
    Per Gramsci il marxismo avrebbe dovuto realizzare una trasformazione radicale del mondo, di portata eguale a quella del cristianesimo. Perché questa realizzazione fosse possibile, Gramsci, da buon marxista, riteneva necessaria, in primo luogo, la completa modificazione della base economica. “Può esserci”, si chiedeva, “riforma culturale e cioè un elevamento civile degli strati depressi della società, senza una precedente riforma economica e un mutamento nella posizione sociale e nel mondo economico?”. La risposta era negativa: ogni riforma intellettuale e morale doveva essere legata a una programma di riforma economica, che era, anzi, il modo concreto con cui essa si presentava. Appare del tutto evidente la lontananza dalla richiesta di “riforma intellettuale e morale” che Gramsci aveva formulato nel 1917, quando sentiva l’influenza di Croce.

    Teoria e pratica della democrazia


    È possibile ora capire il significato della libertà “organica” e la sua profonda differenza dalla libertà dell’individuo, com’è intesa nella concezione liberaldemocratica. Per realizzare una trasformazione epocale della società era indispensabile una fase di “dittatura del proletariato”, che era poi – per Gramsci come per Lenin – la dittatura del partito. Gramsci riteneva che essa dovesse essere esercitata col metodo del “centralismo democratico”, che consentiva di contemperare le spinte dal basso con il comando dall’alto e di operare “un inserimento continuo degli elementi che sbocciavano dal profondo della massa nella cornice solida dell’apparato di direzione che assicurava la continuità e l’accumularsi regolare delle esperienze. La mobilità sociale così intesa era molto diversa da quella che esiste nelle società liberaldemocratiche, perché serviva non all’affermazione individuale, ma a fornire nuovi quadri al gruppo dirigente del partito.
    La democrazia “organica” non doveva garantire la libertà dell’individuo, ma costruire un sistema in cui la legislazione, in sintonia con lo sviluppo economico, favorisse il passaggio molecolare dai gruppi diretti a quelli dirigenti, nell’ambito di una concezione della società fortemente organicistica, antindividualistica.
    Per Gramsci la coscienza critica dell’uomo moderno era nata con l’individualismo della Riforma, cioè con la rottura del conformismo cattolico e autoritario, e anche l’individualismo economico era stato storicamente necessario e aveva costituito una fase dello svolgimento del progresso.
    Ma, pur riconoscendo i meriti storici dell’individualismo, Gramsci riteneva che fosse ormai diventato “anacronistico” e che dovesse lasciare il posto all’uomo-collettivo.
    La polemica di Gramsci contro la democrazia fondata sull’individualismo e sulle libertà borghesi non è in contrasto con la più importante presa di posizione politica assunta in carcere nel 1930 (proprio mentre scriveva queste note), quando lanciò la parola d’ordine della Costituente. Sostenne allora, e continuò a sostenerlo fino al 1937, che dopo la caduta del fascismo ci sarebbe stata non la dittatura del proletariato, ma una fase democratica. La parola d’ordine del partito comunista avrebbe dovuto essere perciò quella della Costituente. Ma questa era considerata una fase, non un punto d’arrivo.
    Sul “costituentismo” c’è una importante riflessione nei Quaderni. A proposito della celebrazione della “religione della libertà” che Croce aveva fatto nella sua Storia d’Europa, Gramsci notava che a questa celebrazione si accompagnava in Croce il sarcasmo per l’eguaglianza e la fratellanza. Ma un giorno, affermava Gramsci, la libertà di Croce sarebbe stata compresa proprio come eguaglianza e fratellanza, nell’ambito di un “costituentismo” che gli sembrava trapelasse da tutti i pori dell’Italia nascosta. Ciò sarebbe avvenuto a conclusione di un processo iniziato nell’immediato dopoguerra, che, con il fascismo, stava attraversando una fase sotterranea. Anche in questo caso, però, il “costituentismo” di Gramsci non aveva niente a che vedere con il liberalismo e con il democraticismo. Subito dopo spiegava, infatti, che la libertà di Croce sarebbe stata interpretata attraverso Gobetti: nella sua Rivoluzione liberale, sosteneva Gramsci, “dal concetto di libertà nei termini tradizionali della personalità individuale si passa al concetto di libertà nei termini di personalità collettiva dei grandi gruppi sociali e della gara non più tra individui ma tra gruppi”. Gramsci dunque attribuiva a Gobetti la sua stessa concezione della libertà, che si realizzava non sul piano individuale, ma attraverso la classe a cui si apparteneva.
    È stato scritto che in carcere Gramsci “pensò la democrazia”[1]. In realtà. Gramsci pensò sempre e soltanto il comunismo, sia pure in una forma non staliniana, e fu sempre molto lontano dal concetto liberaldemocratico di democrazia. Certo, Gramsci riteneva il proletariato una classe in continua espansione, sicché l’ambito della “democrazia organica” si sarebbe progressivamente allargato, fino a comprendere tutta l’umanità. Ma questo sarebbe avvenuto molto più tardi: per un’intera epoca storica la libertà – intesa, appunto, come libertà “organica” – sarebbe appartenuta solo al produttore, non al cittadino, e per di più al produttore inserito in un’organizzazione.


    Da A. Lepre, Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Roma-Bari 1998

    [1] La tesi che Gramsci abbia attribuito “alla politica il compito di reimmettere l’idea di libertà in un orizzonte storico non più soltanto nazionale ed elitario”, in una dimensione politica “che abbia la ‘forza’ di sviluppare il paradigma democratico oltre la figura dello Stato-Nazione, ormai insufficiente a garantire all’universalità degli individui una eguale libertà”, è sviluppata da Marcello Montanari nell’introduzione a una raccolta antologica di scritti gramsciani che Montanari ha significativamente intitolato Pensare la democrazia (Einaudi, Torino 1997). D’accordo, ma la parola democrazia assumeva in Gramsci un significato che, come si è detto, era molto diverso da quello liberaldemocratico, e si tratta di una differenza che deve essere fortemente sottolineata, perché era essa a fare di lui un comunista.
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #2
    x il Socialismo Mondiale
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    Predefinito Re: Antonio Gramsci - Libertà e democrazia

    Il mercato favorisce la stupidità per favorire il consumismo e i profitti, e i politici di professione si adeguano in una spirale verso il basso.
    Che cos'è il Socialismo

  3. #3
    Canaglia
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    Predefinito Re: Antonio Gramsci - Libertà e democrazia


 

 

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