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Il disastro, tra le colline del Teramano, è a perdita d’occhio. Miriadi di frane scivolano lungo i costoni, a ridosso di paesi pulviscolo, dietro ogni tornante, smembrando terreni e strade, aprendo voragini e svuotando abitazioni, evacuate. Molti capannoni agricoli sono collassati: sono a pezzi, cumuli di macerie. Accasciati su se stessi, con i tetti piegati all’interno. «Al momento – riferiscono due veterinari della Asl di Teramo che stanno effettuando sopralluoghi – abbiamo censito 250 stalle crollate. Ma è un dato in continua evoluzione». Le coltivazioni sono disastrate. Un po’ il terremoto, un po’ il maltempo: e il risultato è distruzione e dissesto.
LA NEVE QUI ANCORA RESISTE. Del resto il Gran Sasso sovrasta il paesaggio, austero, superbo. «Cataclisma, calamità? Come lo vogliamo chiamare? Fate voi. Il risultato è devastante»: questa la voce che corre tra la gente. Così Coldiretti, a Basciano (Te) e a Penne (Pescara), ha chiamato a raccolta la sua Unità di crisi, gli allevatori e gli agricoltori, per far partire la mobilitazione. E ha attivato una task force. Perché i numeri di questo inverno, per l’Abruzzo, sono drammatici.
«Diecimila animali morti per il mix micidiale di sisma e maltempo; oltre, poi, agli aborti, numerosissimi, causati dal fatto che il bestiame è rimasto al gelo. I danni, in generale, nelle campagne sono di 52 milioni di euro, forse anche più. Sono circa 5 mila le aziende colpite, migliaia i posti di lavoro a rischio. Uno tsunami»: a fare il bilancio è il presidente nazionale di Coldiretti, Roberto Moncalvo. «In ginocchio, in termini di mancato reddito e di danni strutturali, – aggiunge – sono i settori dell’allevamento di mucche da latte e di maiali, e della pastorizia. Inoltre il settore avicolo, con migliaia di polli morti, con una stima presunta dei danni, diretti e indiretti, di circa 15 milioni».
FULVIA DI BERNARDO, titolare, assieme ad altri familiari, di un salumificio a Castel Castagna (Te), racconta: «Si è consumato un dramma, senza che nessuno se ne rendesse conto. Le quattro scosse del 18 gennaio scorso in concomitanza con i tre metri e mezzo di neve che si sono poi, a mano a mano, ammucchiati e che hanno impedito di raggiungere le stalle, isolate e a brandelli, hanno generato la catastrofe. La zootecnia e le coltivazioni agricole sono massacrate». Solo la sua azienda conta 4 capannoni sventrati. «E tremila suini morti, tra ghiaccio e detriti».
«Un milione le piante d’olivo abbattute dalla neve – riprende Moncalvo -, fondi agricoli franati e vegetazione sconvolta. Ci vorranno quattro o cinque anni, in molte zone, prima che nuove piante siano in grado di produrre. Oltretutto si tratta di varietà pregiate, ulivi in buona parte destinati a fornire extravergine d’oliva delle denominazioni d’origine protetta regionali».
DINO PEPE, ASSESSORE regionale all’Agricoltura, ricorda: «In Abruzzo il maltempo, sommato al terremoto, ha fatto 40 vittime: oltre a quelle dell’Hotel Rigopiano e dell’elicottero del 118 precipitato su Campo Felice, ci sono almeno 5 agricoltori deceduti». Mentre cercavano di andare ad accudire i loro animali in difficoltà. «Abbiamo apprezzato il decreto post sisma di qualche giorno fa – sottolinea -, ma 15 milioni di euro per l’agricoltura, da dividere per dieci regioni, sono davvero pochi, quindi la somma va incrementata».
«SIAMO ALLO STREMO», dichiara una piccola delegazione di agricoltori di Pietralta, frazione di Valle Castellana (Te). Sono Teresa Piccioni, Ilaria Rozzi e Massimiliano Marchetti e in coro spiegano che «è necessario intervenire sulla semplificazione e sulla velocizzazione delle procedure burocratiche in una situazione in cui, a più di 5 mesi dalle prime scosse, sono state montate e rese operative appena il 15% delle stalle mobili previste e promesse».
A CIÒ VA AGGIUNTO il fatto che i piccoli centri «si sono svuotati: ora esistono tante ’zone rosse’ abbandonate, anche per paura». Rinaldo D’Alessio, imprenditore agricolo di Campotosto (Aq) denuncia: «Il paese al 90% è inagibile. Occorre fare presto, ovunque, per scongiurare anche il definitivo spopolamento e la perdita di un’economia importante, fatta di specialità tramandate da secoli».