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  1. #321
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #322
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Se il Lombardo non esiste, non esiste neanche l’euro
    15 MARZO 202215 MARZO 2022 CULTURA LETTURA 4 MIN

    di Pierluigi Crola – Vi meraviglierete leggendo quello che un accanito sostenitore delle lingue locali scriverà, ma il primo requisito per sostenere una causa è dire la verità.

    Sul Corriere del 10 marzo e su Libero del giorno seguente sono apparsi due articoli che avevano come tesi di fondo il Lombardo non esiste.

    Si affermava inoltre che, dal momento che il lombardo non esiste, non bisogna applicare tutte quelle norme che salvaguardano (a parole perché non mi risulta siano mai state applicate, ma potrei sbagliarmi) le lingue locali “lombarde” contenute all’interno di un disegno si legge approvato dalla Regione Lombardia nel 2016.

    A questo proposito sono doverose alcune precisazioni:

    il lombardo non esiste come lingua, ma come insieme di lingue che hanno caratteristiche comuni (addirittura un docente universitario, Geoffrey Hull, in due ponderosi volumi sosteneva che esistevano caratteristiche comuni in ambito Padano, e parlava addirittura di Padanese);
    questa lingua è erroneamente confusa con le lingue parlate in Lombardia: niente di più falso. Il lombardo è parlato anche nel Canton Ticino (alcune caratteristiche accomunano ticinese e brianzolo), nel VCO e nel novarese, mentre le zone di confine come il mantovano o il pavese hanno una parlata in alcuni tratti più simile a quella dei loro confinanti, gli emiliani. Il lombardo non è un concetto geografico ma storico e linguistico;
    parlando della famigerata legge 482/99 che tutela le minoranze linguistiche, si accennava che erano salvaguardati anche il friulano e il sardo e io aggiungo il ladino.
    Tutte queste affermazioni sono vere, ma bisogna approfondire ulteriormente per capire meglio.

    Perché il sardo e il ladino sono considerate lingue e il milanese no? O lo sono tutte e tre o non lo è nessuna delle tre.

    Ad esempio, il ladino non esiste come lingua, ad eccezione di una koinè, il Ladin dolomitan creato a tavolino, poiché ogni valle ha la sua variante: il badiotto, il gardenese, il mareo, il fodom, l’ampezzano, e il fassano che ha addirittura tre varianti nello spazio di una quindicina di chilometri (moenat, brach e cazét). E allora perché il Ladin, insieme di lingue estremamente frammentate è considerata lingua vera e propria, e il milanese, con tutta la sua storia e letteratura no?

    A chi dice che se non esiste il Lombardo bisognerebbe eliminare la legge che tutela le varie minoranze, rispondo con le parole non di un accanito secessionista, ma di un membro della Accademia della Crusca, organo che tutela la correttezza della lingua italiana, Angelo Stella: “il Lombardo, termine già utilizzato da Dante e dal Castiglione, è un contenitore di dialetti (che io preferisco chiamare lingue, ndr) che hanno dei tratti in comune ed è giusto rivendicarne la storicità”.

    Ed aggiunge: “L’obiettivo deve essere quello di salvare la storia. Il vocabolario dei nostri dialetti si sta perdendo, ma non dobbiamo lasciar spegnere la voce dei nostri antenati. Quelli lombardi sono dialetti romanzi (più corretto gallo-romanzi, ndr) primari, da intendere non come sottospecie linguistiche, bensì idiomi territoriali contrapposti a quelli ufficiali dello Stato.”

    Due sono le conclusioni possibili:

    perché il Lombardo da lingua “virtuale” passi a lingua reale è necessario creare una koinè, come han fatto catalani, ladini e altri;
    perché se il lombardo non esiste, non esiste neanche l’euro? Tutti e due hanno una caratteristica comune: il concetto di Lombardo ed euro si può materializzare solo in funzione delle componenti che esprimono tali concetti. In parole povere, se non avessimo il milanese, il varesotto, il bergamasco e le altre varianti, non avremmo il lombardo; se non avessimo le monetine o le banconote da 5, 10, 20, 50, 200 e 500 euro non avremmo l’euro.

    https://www.lanuovapadania.it/cultur...neanche-leuro/
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  3. #323
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Associazione Gilberto Oneto
    19 Febbraio ·

    COMUNICAZIONE A SOCI E SIMPATIZZANTI

    in relazione all'articolo "Lega, nostalgia e veleni: così la Lega scricchiola nella sua culla" pubblicato online in data 19 Febbraio 2022 dal quotidiano Repubblica e in cui si fa riferimento all'Associazione Gilberto Oneto indicandone senza alcun fondamento alcuni esponenti come coinvolti nelle sotterranee manovre di riposizionamento di un noto movimento politico italiano, desideriamo sottolineare che la nostra Associazione non è né è mai stata disponibile a interagire con alcuna forza politica attualmente operante nello scenario politico italiano, né tantomento a sostenerne le posizioni. Vogliamo invece ricordare che la nostra unica finalità è quella di difendere, diffondere e portare avanti, esclusivamente con mezzi propri e senza accettare alcun diretto o indiretto condizionamento esterno, il pensiero di Gilberto Oneto in ambito culturale, sociale, storico, ambientale, professionale e prepolitico. Ciò con particolare attenzione alla sua visione identitaria e padanista, alla sua attenzione alle libertà individuali e collettive e alla sua posizione politica apertamente e incondizionatamente indipendentista.

    Associazione Gilberto Oneto

    https://www.facebook.com/www.associa...=page_internal
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  4. #324
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  5. #325
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Guerra e Stato: messaggio in bottiglia agli amici libertari o sedicenti tali
    21 Aprile 2022

    di CARLO LOTTIERI

    Alcuni appunti sul libertarismo (che non è qualunque cosa uno voglia esso sia…).

    1) Per un libertario, se c’è un ruolo militare per lo Stato (e non è detto che ci sia!) questo è solo in senso difensivo. Lo Stato che mi tassa può strutturare una difesa del territorio, ma non può certo intervenire in altri conflitti a centinaia di chilometri di distanza al fine di salvare vite umane o proteggere libertà e diritti, non può imporre barriere doganali e neppure aiutare un contendente. Gli aiuti e il sostegno a una delle parti in conflitto possono venire soltanto dai privati: diversamente si finisce per consegnare una cambiale in bianco alla propria classe politica. Difendere un aggredito è giuridicamente legittimo e moralmente doveroso (quando serve a prospettare un futuro migliore), ma lo Stato non ha nulla a che fare con ciò e non deve avere nulla a che fare.

    2) Per un libertario, le nazioni esistono e vanno rispettate, ma esse sono davvero tali se sono volontarie e se quindi non pretendono di coincidere con gli Stati. In questo senso, lo Stato nazionale è davvero un mostro, all’origine di una lunga fila di lutti, dato che nega ogni dignità della persona e delle comunità volontarie. E da ciò discende che i “liberali nazional-statali” – pronti a esaltare ogni generale e ogni comandante in capo, ogni esportazione della democrazia e ogni tifo da curva – sono da due secoli tra i principali nemici della libertà e della pace.

    3) Per un libertario, la triade di riferimento resta quella lockiana: “vita, libertà, proprietà”. Tutto ciò che nega la vita, la libertà e la proprietà non è allora compatibile con la teoria libertaria.

    4) Per un libertario, le guerre avvantaggiano sempre il potere e indeboliscono la società. I libertari non sono pacifisti, dato che reputano legittima l’autodifesa di fronte a un aggressore, ma osteggiano in tutti i modi le logiche belliciste. Quando c’è una guerra, è quasi sempre opportuno fare il possibile perché si arrivi al più presto alla pace, perché sono davvero rarissimi i casi in cui vale veramente la pena di uccidere e morire. Le ideologie statolatriche negano la dignità della vita. La teoria libertaria muove invece proprio dalla vita.

    5) Per un libertario, un ordine globale policentrico è da preferirsi (sotto la clausola “ceteris paribus”) a un ordine globale monocentrico. La concorrenza istituzionale è sempre valorizzata, anche in questo ambito, perché costringe pure i “migliori” a fare ancora meglio.

    6) Per un libertario, i regimi statali autocratici sono diversi da quelli statali democratici, così come i regimi statali totalitari non sono identici a quelli in cui qualche libertà è preservata. Detto questo, gli Stati sono Stati e tutti si basano sulla logica della sovranità e sul prevalere di un piccolo gruppo egemone.

    E’ ovvio che su qualche punto anche i libertari possono in parte divergere, ma mi sembra di essere stato abbastanza onesto nel tracciare il senso di fondo della posizione culturale solitamente accostata al termine “libertarismo”.

    A questo punto, visto che non l’ha ordinato il medico di essere libertari invece che statalisti, ognuno faccia le scelte che vuole, ma se vuole dirsi libertario stia bene attendo a quanto dice.

    https://www.miglioverde.eu/guerra-e-...edicenti-tali/

    Quella libertaria è una delle due anime del padanismo; l'altra è iletnonazionalismo.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  6. #326
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Un’imperdibile antologia degli scritti di Gilberto Oneto
    23 Aprile 2022



    di REDAZIONE

    Questo terzo volume della collana “I Quaderni di Brenno” è una raccolta commentata di testi brevi, di natura prevalentemente divulgativa, scritti da Gilberto Oneto tra il Gennaio 1997 e il Novembre 2013 per vari quotidiani e settimanali e in cui l’autore ci parla di Storia ponendosi in aperta contrapposizione alla piatta uniformità e ai dogmi della storiografi a ufficiale, in particolare quando si parla di miti fondanti del nazionalismo italiano quali sono il Risorgimento, la Grande Guerra o l’antica Roma.

    In questi testi l’autore spesso riprende in forma sintetica i temi da lui più dettagliatamente trattati nei suoi tanti libri scritti in veste di storico e di saggista, molte volte aggiungendo qua e là alla narrazione anche riferimenti e parallelismi legati all’attualità del momento. Proprio questa commistione tra Storia e attualità contribuisce a farne dei pezzi tuttora di piacevolissima e spesso anche divertente lettura, in cui Gilberto Oneto ci rivela tutta le sua vena ironica, e qualche volta anche un po’ feroce, di commentatore e opinionista non allineato al politicamente corretto, e spesso ci intrattiene anche col suo graffi ante e originalissimo senso dell’umorismo, sempre sottile e pungente ma mai volgare né banalmente offensivo.

    Gran parte del materiale contenuto in questo libro non era finora mai stato riproposto al pubblico dopo la sua prima, e finora unica, pubblicazione sulle testate giornalistiche per cui era stato scritto. A ciò si aggiungono anche diversi scritti inediti ritrovati nelle ricerche che hanno portato alla composizione di questa raccolta, e che pertanto vengono qui per la prima volta resi pubblici.

    Il volume è disponibile presso la Libreria del Ponte

    https://www.miglioverde.eu/unimperdi...ilberto-oneto/
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  7. #327
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Sabato 2 Luglio 2022 - per Oltre i nazionalismi. Per un'Europa di libere comunità



    Carissimi soci e simpatizzanti,

    è con grandissimo piacere che possiamo finalmente annunciare a tutti voi il nostro primo convegno "in presenza" dopo ormai troppo tempo passato senza poterci incontrare di persona.

    Qui di seguito il programma della giornata di Sabato 2 Luglio, che come vedete non sarà solo culturale ma anche musicale.

    L'evento si svolgerà tra Belgirate e la vicina Lesa

    Si inizierà alle ore 15:00 con l'apertura del nostro stand associativo, dove sarà possibile iscriversi o rinnovare l'iscrizione alla nostra Associazione, e con una promozione speciale che consentirà l'acquisto delle nostre pubblicazioni a prezzi fortemente scontati.

    Si proseguirà poi con il convegno "Oltre i nazionalismi. Per un'Europa di libere comunità", e quindi, per chi lo vorrà, con una cena sulle rive del lago.

    Infine sul vicino lungolago di Lesa, raggiungibile in pochi minuti a piedi dal luogo del convegno e della cena, ci sarà la presentazione in anteprima dell'opera rock in lingua lombarda "Promessi e promesse", un'anteprima musicale assoluta concepita e rappresentata per la prima volta dal vivo dal gruppo dei "Lombard Street".

    Come sempre l'ingresso a tutti gli eventi è libero e gratuito.

    Vi aspettiamo numerosi.

    Associazione Gilberto Oneto
    Via Elena Conelli 21, 28832 Belgirate (VB)
    C.F. 93040880036
    http://www.associazionegilbertooneto.org
    info@associazionegilbertooneto.org

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  8. #328
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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    La sacralizzazione del sacro e i simboli territoriali
    16 Luglio 2022

    di GILBERTO ONETO

    L’intervento dell’uomo sul territorio era inteso dalle civiltà tradizionali come un’opera di adeguamento all’ordine cosmico in contrapposizione al caos informe e da questa intenzione “morale” traeva ispirazione e giustificazione quasi diventando una continuazione dell’atto primordiale della Creazione di cui voleva riprendere i ritmi e i simboli. Che questo principio abbia da sempre governato la fondazione e la costruzione delle città è cosa universalmente nota e accettata. Assai meno palesi risultano essere le stesse intenzioni applicate al paesaggio, spesso invece inteso quasi come elemento di contrapposizione allo spazio ordinato dei centri urbani.

    La maggiore notorietà e conoscenza dei riti e dei simboli di fondazione urbana derivano dal fatto che questi siano stati presenti in tutte le civiltà e, in particolare, anche in quella romana cui purtroppo la cultura ufficiale fa da molto tempo esclusivo riferimento. L’atteggiamento romano nei confronti della comprensione e della gestione del territorio era invece improntato alla volontà di conquista e di sottomissione, e alla necessità di modificarne la forma per ragioni di sfruttamento economico e di sottomissione simbolica. Lo strumento abituale con il quale si raggiungevano questi obiettivi era la centuriazione e cioè la sovrapposizione sul paesaggio di un reticolo geometrico di quadrati di circa 700 m di lato che servivano per la equalitaria distribuzione delle terre ai coloni (e quindi per l’insediamento di gente “amica” sulle terre conquistate, dalle quali è stata espulsa la gente “nemica”), per la razionalizzazione della produzione agricola, per il controllo militare del territorio e per la distruzione di tutti gli elementi paesaggistici (i boschi, i luoghi sacri o nemeton, i monumenti megalitici eccetera) su cui si basavano invece gli schemi di sacralizzazione della terra dei popoli vinti. (1) Restavano per evidenti ragioni escluse da questa operazione solo le aree di collina e di montagna dove infatti la penetrazione romana è sempre solo stata molto superficiale e temporanea. (2)

    Del tutto diverso era l’atteggiamento delle popolazioni più antiche, soprattutto di quelle di origine celtica, ma risulta che del tutto analogo fosse anche quello delle altre stirpi e, in particolare e per quel che ci concerne, di Garalditani, Liguri, di Reti e di Veneti. Tutti questi non avevano col territorio un rapporto imperialista di conquista (e di sfruttamento) ma uno stretto legame che travalicava i limiti della convenienza economica o del contatto fisico ma che arrivava a una identificazione simbolica e sacrale molto forte. La terra era la tribù, nella terra si trovavano le origini ancestrali della comunità, la terra ospitava tutti gli elementi di sacralità di cui la tribù faceva parte. La terra era la “Madre Terra” dispensatrice feconda di ogni pulsazione di vita e di ogni ricchezza: ogni elemento e parte della natura era custode di una entità sacra o costituiva una porzione di divinità che andava rispettata. (3) Il paesaggio era cioè contenitore di sacralità ma anche, esso stesso, elemento e soggetto di sacralità. Ogni intervento sul paesaggio doveva tenere conto di queste valenze e diventare parte del sacro, continuazione del sacro e vi si doveva inserire solo nella misurata veste di contributo antropico all’armonia generale.

    Si trattava di un atteggiamento che era comune (sia pur con diverse sfumature di comportamento) a tutte le civiltà tradizionali e che si è in qualche modo conservato in occidente sotto la coltre di cristianizzazione e in veste di cultura popolare, di memoria folklorica. Molto di questo complesso patrimonio spirituale e culturale stà negli ultimi tempi riaffiorando. Parecchio si comincia a sapere, ad esempio, sulla scienza cinese del Feng-Shui che regolava ogni azione umana di trasformazione o di utilizzo del paesaggio sulla base di precisi rapporti di geomanzia. (4) Qualcosa di analogo comincia qua e là a venire fuori anche fra le pieghe dei paesaggi occidentali sui quali – occorre ricordarlo – molto è successo in termini di interventi e di modificazioni anche profonde da che le ultime civiltà tradizionali hanno avuto modo di lasciarvi incisi i loro segni. (quasi si trattasse di lavagne sulle quali nel frattempo abbiano continuato a stratificarsi interventi e cancellazioni di portata crescente). Come se non bastasse, i nostri paesaggi hanno dovuto subire la sistematica opera di cancellazione di ogni antico segno di sacralizzazione da parte dei Romani (che vi leggevano un pericoloso segno di diversità, di autonomia e di identità contrario al loro obiettivo di sistematica omologazione) e della Chiesa che vi vedeva segni di superstizione da estirpare o la demoniaca sopravvivenza di antichi culti naturalistici pagani.

    Perciò solo di rado e a fatica riaffiorano brandelli di strutture organizzative del territorio basate su schemi sacrali, simbolici o astrali la cui identificazione è, oltre a tutto, ulteriormente complicata dal non saper bene cosa cercare. Solo da pochi anni si sono ricostruite alcune delle chiavi di lettura che hanno permesso di fare riaffiorare segni che sono spesso ancora troppo labili e imprecisi per potere vantare certezze. In queste condizioni è inevitabile che a situazioni vere, verosimili o a tracce sicure si mescolino supposizioni, errori o addirittura invenzioni a intorbidire una situazione già difficile.

    In base alle attuali conoscenze, gli elementi portanti su cui erano costruiti gli schemi di sacralizzazione a livello territoriale delle antiche civiltà europee (o, più semplicemente, quelli che riusciamo ancora a cogliere) possono essere raccolti in due tipi: gli orientamenti astrali e gli allineamenti (in inglese leys) o “geogeometrie”.

    La storia della scoperta di questi segni e della loro ricomparsa nell’immaginario collettivo è affascinante come i segni medesimi. Il primo a cercare di dare coerenza scientifica a un insieme di percezioni è stato l’inglese Alfred Watkins che si è dedicato alla ricerca dei leys dell’Inghilterra meridionale: in anni di ricerche e di sopralluoghi ha scoperto e dimostrato che centinaia di monumenti megalitici marcanti luoghi sacri (menhir, cromlech eccetera) sono stati posizionati su delle linee lunghe decine e decine di chilometri che comprendono anche talune emergenze morfologiche (collinette, picchi eccetera) e che si intersecano su elementi particolarmente rilevanti – Stonehenge è uno di questi – con una precisione e una ricorrenza che rende del tutto improbabile la loro casualità. (5)

    L’identificazione di tale reticolo è stata facilitata dalla particolare configurazione morfologica della regione, dal buono stato di conservazione di quasi tutti i monumenti e dalla permanenza dei luoghi “sacri” nei quali assai spesso la chiesa o la croce stazionale hanno preso il posto e continuato le funzioni del preesistente elemento sacrale pagano. Hanno contribuito anche una migliore conservazione del paesaggio (che ha subìto meno di altri il rullo compressore di chi voleva deliberatamente cancellare ogni segno di sacralità), la disponibilità di una efficiente base cartografica e la presenza volonterosa di decine di ricercatori la cui preparazione culturale (e la cui mentalità) non è condizionata dal rigorismo classicista, positivista e romanocentrico, e che quindi possiedono ancora la freschezza e l’apertura mentale (l’inglese ingenuity) che permette di vedere cose che ad altri erano precluse da preconcetti e da incrostazioni di tabù. (6)

    L’intero impianto ha una organizzazione complessiva nella quale allineamenti e orientamenti astrali si trovano in stretta correlazione e sono spesso indistinguibili. Infatti non solo edifici e complessi monumentali ma anche interi reticoli di allineamenti sono stati orientati in funzione solare (equinozi o solstizi) o su significativi posizionamenti di altri corpi celesti. Fin da tempi antichissimi (III e IV millennio a.C.) le popolazioni locali hanno costruito architetture sacre organizzate su precisi riferimenti astrologici, con funzione di punti di osservazione e di misurazione, o di grande calendario. I più noti di questi monumenti sono i complessi inglesi di Stonehenge e di Avebury, e quelli irlandesi di Newgrange e della valle del Boyne. (7)

    Trame di allineamenti del tutto simili per concezione ed estensione sono state ritrovate da Teudt in Germania nella regione attorno alla selva di Teutoburgo e da Thom in Bretagna, in un reticolo imperniato attorno al complesso megalitico di Carnac. (8) Uno schema di sacralizzazione analogo per significati e simbolismi ma diverso per concezione fisica è stato scoperto e studiato da Katherine Maltwood a Glastonbury, nell’Inghilterra meridionale: qui il paesaggio sarebbe stato organizzato sulla sovrimpressione dei dodici segni zodiacali, disegnati a scala geografica da strade, corsi d’acqua e confini di appezzamenti. (9)

    La Padania appartiene allo stesso ampio mondo culturale delle zone di cui si è fatto cenno ed è perciò “normale” che i suoi antichi abitanti abbiano seguito analoghe linee di condotta nel processo di sacralizzazione di questo territorio. Certo, qui la somma dei segni lasciati sul paesaggio dalle moltissime civiltà che si sono succedute ha cancellato gran parte delle tracce di allineamenti del genere: quello che resta comincia però a riaffiorare qua e là grazie anche all’impegno di una nuova generazione di ricercatori non più legati agli intorpiditi schemi della “normale” storiografia del paesaggio.

    In particolare, sono moltissimi gli esempi di strutture architettoniche antiche di cui si scoprono evidenti orientamenti astrali. I casi più noti riguardano i cerchi di pietre della Val Belluna (nella necropoli paleoveneta di Mel, databile dall’VIII al IV secolo a.C.) che sono orientati sulla levata del sole nei giorni di Imbolc e di Samain, i castellieri sudtirolesi di Colle Joben e di San Pietro in Fiè (allineati al solstizio invernale), l’area megalitica aostana di Saint Martin de Corleans (sito della leggendaria Cordelia dei Salassi) orientata sulla levata del sole a Beltane e a Lammas (15 agosto), e numerosi altri castellieri e monumenti tombali nel trevigiano (Montebelluna, Giavera, Volpago e Colbertaldo). (10)

    I pochi villaggi fortificati (“motte”) superstiti dei molti un tempo presenti nel territorio di Castelfranco Veneto (Castello di Gòdego, Vallà) sono orientati sull’allineamento astronomico legato al solstizio d’inverno. (11)

    Carlo Frison ha scoperto e studiato i puntuali orientamenti astrali di Padova e Treviso e la precisa costruzione geometrica attorno ad essi creata nel tracciamento dei loro nuclei più antichi. (12) Qui l’impianto comincia ad assumere dimensione territoriale con connotazioni che somigliano a quelle dei leys inglesi. Ha sicuramente un interesse a dimensione più ampia la costruzione paesaggistica di epoca romana del territorio compreso fra Verona e Vicenza e imperniata radialmente sulla Cima Marana e che è stata studiata da Giulio Pizzati. (13) Ancora in Veneto, un affascinante reticolo geometrico (esteso su 168 chilometri per 141) che collega molte città (fra cui Verona, Este, Vicenza, Venezia, Treviso, Oderzo, Padova e Adria) è stato ipotizzato da Giuseppe Segato nella sua Carta Culturale. (14)

    Un fitto sistema di allineamenti di elementi naturali e architettonici (del tutto simile per concezione a quelli inglesi) è stato descritto da Petitti per l’area della Valle d’Aosta e del Piemonte settentrionale. (15) Di recente è stata ipotizzata una precisa costruzione geometrica anche per la collocazione del nucleo antico di Milano, basata su un rapporto di traguardazione con il Monte Rosa e il Resegone. (16) E’ interessante notare come tutti i casi finora scoperti di orientamenti e di allineamenti padani riguardino aree alpine (dove la romanizzazione è stata più superficiale) o il Veneto, che per lo svolgersi degli eventi storici antichi non è stato colonizzato con la stessa durezza che è toccata al resto della Padania. La cancellazione degli schemi e degli elementi di sacralizzazione territoriale è stata perciò sistematica solo nelle aree di pianura: il posizionamento di Milano è un residuo dovuto alla persistenza della collocazione dell’abitato.

    La sistematica opera di cancellazione non ha però neppure significato la distruzione dell’idea stessa di sacralizzazione territoriale che è stata conservata all’interno della cultura occidentale e in qualche modo ripresa dalla Chiesa medievale che era – giova sempre ricordarlo – profondamente impregnata di cultura celtica. Solo in quest’ottica possono essere spiegate le geometrie territoriali formate – ad esempio – dalle cattedrali francesi dedicate a “Nôtre Dame” (come ipotizzato da Charpentier) (17), o dagli insediamenti templari attorno a Pavia che sarebbero perfettamente organizzati su di uno schema stellare a cinque punte centrato su Lardirago. (18)

    Analoghe costruzioni ambientali possono essere ritrovate sia pur in dimensioni più contenute: Enrico Guidoni ha – ad esempio – riscontrato una interessante analogia fra la disposizione degli elementi architettonici della Piazza dei Miracoli di Pisa e la costellazione dell’Ariete che andrebbe al di là di una normale casualità. (19) Ancora, studiando la topografia del Sacro Monte di San Vivaldo in Valdelsa, Franco Cardini ne ha evidenziato l’intenzione di riprodurre esattamente la disposizione dei luoghi originari di Gerusalemme attraverso un complesso intervento sul paesaggio. (20)

    Sempre a proposito di Sacri Monti – che per loro origine e caratteristiche sono il fenomeno recente che più facilmente è assimilabile a certi elementi simbolici antichi – in uno studio su quelli costruiti dai Borromeo, è stato ipotizzata una loro collocazione sul territorio secondo una precisa sequela di allineamenti incentrati sul San Carlone che era il punto di arrivo del Sacro Monte di Arona dedicato al Santo nel suo luogo natale. Il colosso bronzeo sarebbe così il centro attorno a cui ruota tutta una complessa operazione di organizzazione e geometrizzazione sacrale del paesaggio della zona del Lago Maggiore e di cui – occorre dirlo – non vi è altra prova che la precisione dell’allineamento stesso. (21)

    Non può certo essere un caso che questi allineamenti medievali sono da attribuire a cistercensi e a templari hanno sempre rappresentato forti nicchie di conservazione di culture e di simbolismi precristiani, e che quelli di epoca controriformistica abbiano avuto per ispiratore San Carlo Borromeo che aveva una profonda conoscenza delle culture tradizionali e un forte interesse nel significato morale e politico dell’opera di sacralizzazione del paesaggio.

    Altre forme di geometrizzazione minore imperniate su qualche caposaldo architettonico sono riscontrabili con una certa frequenza un po’ ovunque soprattutto nell’area prealpina: strade allineate su campanili o edifici religiosi messi in fila potrebbero essere il rudere di qualche antica e ben più imponente opera di organizzazione paesaggistica effettuata su forme geometriche sacrali o astrali di cui si perduta la memoria e della cui esistenza non si ha certezza alcuna.

    Oggi che l’antico senso identitario dei nostri popoli stà finalmente risorgendo ricompaiono sintomaticamente anche questi segni che costituiscono una antica testimonianza, un forte legame con le nostre lontane radici e un robusto segno della identificazione fra popolo e terra. Questi segni che sembravano cancellati vengono anche a dimostrare che non sono bastate oppressioni di ogni genere ad annientare l’antico legame di questi popoli con la loro cultura e con la terra. Non è un caso che le tracce di sacralizzazione del territorio ricompaiano con il rinvigorirsi della mai sopita voglia di libertà e di identità delle nostre genti. (22) Col rinsaldarsi della eterna unione fra terra e popolo si rafforzano le nostre libertà.

    *TRATTO DA “i Quaderni Padani”

    QUI ‘ARTICOLO IN FORMATO WORD E LE NOTE: ARTICOLO E NOTE: https://www.miglioverde.eu/wp-conten...lineamenti.doc

    https://www.miglioverde.eu/simboli-territori-padani/
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

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    Predefinito Re: Ci lascia Gilberto Oneto.

    Troppo Stato, troppa Italia
    8 Settembre 2022

    di GILBERTO ONETO

    Ricominciano ad acchiappare amministratori e funzionari con le mani nei cassetti. Conoscendo come funzionano le cose negli uffici pubblici e dando credito a Lombroso c’è solo da aspettarsi che le reti riprendano a riempirsi di tanti pesci piccoli e di qualche raro pesce grosso. Chi si era illuso che le cose fossero cambiate si dovrà ricredere. Ma si devono ricredere anche quelli che pensano che le cose possano cambiare.
    Il problema non sta infatti nella qualità di chi gestisce il meccanismo della cosa pubblica italiana ma è insito nel meccanismo stesso. Innanzitutto (ed è un male universale) perché il meccanismo muove troppe risorse, si occupa di troppe incombenze e, di conseguenza, fa ballare troppi soldi. E – si sa – l’occasione fa l’uomo ladro. Figuriamoci cosa fa di quei funzionari e politici che magari hanno la radicata vocazione al manolestismo. E poi perché il meccanismo dell’Italia unita ha un DNA a forma di pizzo e di bustarella.
    Intendiamoci: ladri e furbacchioni ci sono e ci sono sempre stati dappertutto in ragionevole quantità fisiologica. C’erano anche negli stati preunitari sia pur con valori statistici non sempre uguali. Le pubbliche amministrazioni del Lombardo-Veneto e della Toscana erano famose per correttezza e onestà e i rari balordi avevano vita dura. Nella Serenissima gli amministratori erano sempre sotto strettissimo controllo e nessuno era al di sopra di ogni sospetto: tutti i Dogi venivano regolarmente processati dopo morti e il loro operato ripassato con la lente di ingrandimento: eventuali imbrogli o paciocchi venivano fatti pagare agli eredi.
    L’Italia unita ha invece mostrato le sue più intime vocazioni fin dai suoi primi vagiti: la cassa della spedizione dei mille è sparita a Talamone, gli ufficiali borbonici venivano comperati in sonanti piastre turche e le finanze del Regno delle Due Sicilie sono state dilapidate nel giro di poche settimane da una vorace congrega di patrioti sotto gli occhi innocenti ma un po’ troppo distratti di Garibaldi, che Del Boca ha definito “un onesto babbeo”. La contabilità è scomparsa nel Tirreno assieme a Ippolito Nievo che la portava in Piemonte. Primi misteri di un paese fatto di trusi e di mezze verità. La patriottica paciada è poi continuata alla grande: i trucchi della Banca Romana, i Savoia che si arricchivano con gli appalti ferroviari, i beni ecclesiastici svenduti sotto costo agli amici. Si prendevano e davano soldi per distribuirsi seggi elettorali, per fare le guerre con l’uno o con l’altro o per non farle, si è rubato sulle commesse militari, pescecani si sono arricchiti su mucchi di cadaveri. Tutti quelli che dall’estero avevano favorito la formazione del nuovo Stato lo avevano fatto per difendere interessi più o meno nobili e si erano affidati al peggior affarismo nostrano: una cambiale che hanno presentato all’incasso nel 1915. Mussolini ha preso soldi dai Francesi, i democristiani dagli Americani, i Comunisti dai Sovietici.
    L’oro di Dongo, che sparisce, inaugura una nuova brillante stagione fatta di terremoti, casse per il Mezzogiorno, privatizzazioni, tangentopoli e via fischiettando l’inno di Mameli.
    Subito sono le riserve auree di Napoli che spariscono, è l’invasione italiana che mette in ginocchio l’economia meridionale. Su questo certi meridionalisti costruiscono la giustificazione morale per la successiva rapina della Padania: i Padani devono – secondo questi fini intellettuali – risarcire il Meridione per i furti subiti nei primi decenni dell’unità e possono farlo solo trasferendo una quantità enorme di risorse a chi si è trovato impoverito dall’unità.
    Così i Padani, che della prigione dell’unità sono le prime vittime devono continuare a mantenere l’altra metà dei detenuti.
    Oggi la Padania è vittima del troppo Stato (che crea l’occasione ad allungare le mani) e di troppa Italia (che ci mette la giustificazione e, qualche volta, anche la vocazione).
    Certo sarebbe già un passo avanti riuscire ad avere meno Stato, fare girare meno soldi negli uffici pubblici, creare meno occasioni, costringere i funzionari e i politici a gestire cose di grande importanza sociale ma di nessuna consistenza economica.
    Ma non si può toccare l’essenza stessa di questo Stato senza toccare l’idea di Italia: la greppia statalista trova giustificazione nel patriottismo italiano e la retorica tricolore trova protezione e sopravvivenza nel verminaio della burocrazia, con cinque milioni di impiegati pubblici e con le loro famiglie che vivono di tricolore, con legioni di finti invalidi che vivono di tricolore, con falangi di politici e di alti burocrati che vivono di tricolore, a partire dai 105 milioni mensili di qualcuno al molto meno di tanti altri, cui peraltro non si chiede in cambio granchè. Non si smagrisce lo Stato se non si toglie il paravento dell’Italia; non ci si libera dell’Italia se non si abbatte tutto l’ambaradan statalista.
    Lo Stato non si può riformare fintanto che è italiano e ce ne stiamo dolorosamente accorgendo. Non si blocca l’antica truffa pelasgica delle tre tavolette facendosi accompagnare da amici integerrimi e oculati. Lo si può fare solo rovesciando il tavolo. È un gesto che richiede il concorso di tutti gli onesti, di quelli che vivono del proprio lavoro e a proprio rischio, al di sopra di ogni divisione ideologica. Il partito dell’onestà e della libertà è trasversale, interessa una intera comunità umana reale. Bisogna ricostruire una società in cui la mano pubblica gestisca il meno possibile e in cui il controllo sia esercitato al più basso livello possibile, senza tabù o feticci patriottici, senza leggi e patti che abbiano la pretesa di eternità. Con tanta, tanta indipendenza.
    *Articolo scritto nel Settembre 2002 e respinto dall’editore, pubblicato per la prima volta ieri dall’Associazione Gilberto Oneto.

    https://www.miglioverde.eu/troppo-stato-troppa-italia/
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 
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