Il vero socialismo è rivoluzionario, non riformista.
Il vero socialismo è rivoluzionario, non riformista.
Il mercato favorisce la stupidità per favorire il consumismo e i profitti, e i politici di professione si adeguano in una spirale verso il basso.
Che cos'è il Socialismo
Salve a tutti, io vorrei una piccola riflessione sullo strappo di Berlinguer, per quanto Berlinguer risulti essere un uomo simpatico e persona intelligente, di sicuro superiore a molti altri politici, non pensate che rompere con l'URSS fu un grave sbaglio?
Certamente lo strappo cominciò già nel 1968, quindi non do la colpa solo a lui, però rompendo i rapporti con l'Unione Sovietica, il PCI diventa più debole, perché perde i finanziamenti con l'Unione Sovietica, e quindi resta con pochi soldi a disposizione, difatti negli anni '70 il PCI rimane isolato, dal momento che il PSI che era alleato dei comunisti, viene fregato da Craxi.
Considerate poi, che con la fine della guerra fredda, la sinistra italiana diventa più debole ed è costretta ad allearsi con i democristiani, quindi le debolezze attuali derivano proprio da quello strappo.
Ultima modifica di Geralt di Rivia; 29-12-15 alle 18:25
evidentemente per il "signor" Macaluso, il comunista che si alleava coi missini, DC and co non erano condizionati dalla presenza delle truppe americane in Italia. Quanto al resto, l'"impaccio" alla democrazia comunista ha scritto la Costituzione.
Ma lo capisco, il povero MAcaluso, col Milazzismo rischiava grosso, visto quello che diceva la Costituzione su chi rifondava partiti fascisti....
“Impaccio” nel senso che avrebbe pesantemente contribuito a mantenere la democrazia italiana “speciale”, e cioè incompiuta, bloccata, priva di ricambio politico, impossibilitata quasi costituzionalmente ad organizzarsi secondo le regole dell’alternanza.
In ogni caso, come ho detto, non sono mai stato comunista… quindi, pur ritenendo un po’ ingeneroso il giudizio su Macaluso, preferisco non entrare nel merito… posso solo far rispondere lui:
Per quanto riguarda il "milazzismo":Il PCI non riusciva a fare convivere contestualmente una posizione di governo e lo strappo con l’URSS. E invece era proprio questa la sfida, perché l’una cosa teneva l’altra e viceversa, e insieme davano senso compiuto ad una svolta. Che non ci fu. […] Per come nacque e come crebbe, quindi per la sua storia e la politica che fece; per le forze sociali che ad esso prevalentemente fecero riferimento nei lunghi anni di opposizione; per la cultura di massa acquisita dai suoi militanti, ma anche dalla maggioranza dei suoi elettori, il PCI poteva costituire sia uno stimolo sia un freno allo sviluppo della democrazia italiana. E in effetti in certe fasi fu una cosa, in altre l’opposto. Ma – ecco il punto – esso non era in grado di essere il “perno” (uso la parola chiave che Berlinguer voleva inserire nel documento sull’alternativa del 1981) di un governo, cioè essere quel che erano i partiti socialisti e socialdemocratici europei, e fare come loro. Allo stesso tempo, per la sua forza, il PCI non poteva essere, come accadde per il PSI, parte minore di una coalizione.
In un governo DC-PCI-PSI (il governo auspicato da Berlinguer) quel nodo non sarebbe, forse, emerso. Quando il PCI, invece, si candidò come riferimento principale di un’alternativa di governo riemerse con forza. E riemersero pure tutte le tossine che circolavano nel suo corpo, riemerse soprattutto il massimalismo sociale. Berlinguer, proponendo questa linea, arrestò un processo di conversione politica, che sarebbe stato ancora lento e contrastato, certo, ma rappresentava l’unica strada per dare del PCI una forza di governo.
La contraddizione tra il ruolo di governo del PCI nella fase dell’unità nazionale e il permanere dei suoi caratteri di partito comunista sarebbe esplosa lo stessa, ma in un panorama molto più favorevole alla sua trasformazione in una forza della sinistra europea. Il processo di “socialdemocratizzazione” del PCI, di cui allora si parlava, non sarebbe stato una sciagura da evitare, ma un percorso reale, legato ad un’esperienza concreta di governo.
Aggiungo altresì i passi conclusivi del libro di Macaluso da cui sono stati tratti questi passi (Emanuele Macaluso, “50 anni nel PCI”, Rubbettino, 2003):“… la battaglia politica, che impropriamente venne chiamata “operazione Milazzo”, si concluse con la sconfitta di un progetto ambizioso: fare crescere in Sicilia una nuova classe dirigente, dopo il colpo assestato dal movimento contadino alla grande proprietà fondiaria e ai baroni assenteisti. […] Mettere i democristiani fuori dal governo regionale, mentre sul piano nazionale la DC si avviava a guidare una nuova fase di sviluppo del capitalismo e il PSI guardava già al centro-sinistra, fu forse un azzardo. […] Ma resto tuttora convinto che quella battaglia andava fatta. […] Non ingaggiarla avrebbe significato accettare la sconfitta senza nemmeno combattere. […] Giorgio Amendola […] aveva sostenuto con convinzione “l’operazione Milazzo” in chiave antifanfaniana. […] L’ “operazione Milazzo” nacque nel lungo transito tra il centrismo e il centro-sinistra. Voleva costituire, e costituì, una forte contraddizione sia per la DC di Fanfani sia per il PSI di Nenni, il quale lavorava per l’apertura a sinistra. Dava invece una carta al PCI, che doveva uscire dall’isolamento e dallo scoramento provocati dalle drammatiche vicende ungheresi e imprimere un senso al rinnovamento proposto con l’VIII Congresso, che si era posto come obiettivo la “rottura del monopolio politico della DC”: l’esclusione del partito democristiano dal governo regionale era un fatto concreto. […] Ai miei critici sul coinvolgimento del MSI nell’operazione Milazzo non risposi solo con l’osservazione che il PCI non partecipava direttamente al governo regionale, o invocando lo stato di necessità che si era determinato per lo stesso funzionamento delle istituzioni. Dissi anche che il richiamo alla Costituzione, allo Statuto dell’autonomia e all’esigenza di respingere un atto autoritario, fatto dai deputati del MSI, era una loro (positiva) contraddizione. Nel gruppo del MSI all’assemblea siciliana c’erano anche persone per bene (a cominciare dal capogruppo Peppino Seminara), impegnate contro la mafia. E alcuni di loro volevano davvero ricollocare il partito sul terreno costituzionale. Ma, nel suo complesso, il MSI aveva un’altra anima: il richiamo al fascismo e a Salò era forte. Non è stato un caso che la difficile transizione del MSI sia avvenuta trent’anni dopo, al seguito del Cavaliere. Le anomalie della democrazia italiana avevano, e hanno ancora, radici forti e profonde nella storia di questo Paese.
Non credo di avere dato risposte esaurienti. […] Sono figlio del mio tempo. Sono stato un comunista italiano, ma un comunista. […] La particolarità […] del mio essere comunista è stata il fatto di non essermi mai sentito membro di un partito “diverso”.
Ho convissuto con chi la pensava diversamente da me senza disagio, in modo particolare nella grande famiglia della sinistra.
Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...
…bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa