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    Predefinito Sport e religione cattolica

    DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
    AGLI SPORTIVI ITALIANI


    Solennità di Pentecoste, 20 maggio 1945



    Voi ci portate, diletti figli, in mezzo a tanti motivi di tristezza e di angoscia, che profondamente Ci affliggono, una grande gioia, una grande speranza, quella gioia quella speranza, da cui era inondato il cuore di Giovanni, l'Apostolo prediletto di Gesù, l'ardente vegliardo dall'animo inalterabilmente giovane, quando esclamava: «Scrivo a voi, o giovani, perché siete forti e la parola di Dio sta in voi e avete vinto il maligno» (Gn. 2:14). Di questo Nostro gaudio, di questo magnifico spettacolo di una balda, franca, generosa, audace gioventù, che nella «Pasqua dello Sportivo» ha rinnovato con l'adempimento dei doveri religiosi le sue energie spirituali ed ora, qui adunata, dimostra con caloroso (e in parte anche, vorremmo dire, rumoroso) entusiasmo la sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa, andiamo debitori alla tanto benemerita Presidenza del Centro Sportivo Italiano, che in unione col Comitato Olimpico Nazionale Italiano e con le Federazioni Nazionali, si è fatta di così opportuna manifestazione promotrice solerte, e sulla cui attività invochiamo dal Cielo i più abbondanti favori ed aiuti.

    Lontano dal vero è tanto chi rimprovera alla Chiesa di non curarsi dei corpi e della cultura fisica, quanto chi vorrebbe restringere la sua competenza e la sua azione alle cose «puramente religiose», «esclusivamente spirituali». Come se il corpo, creatura di Dio al pari dell'anima, alla quale è unito, non dovesse avere la sua parte nell'omaggio da rendere al Creatore! «Sia che mangiate - scriveva l'Apostolo delle Genti ai Corinti - sia che beviate, sia che facciate altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor. 101) S. Paolo parla qui dell'attività fisica; la cura del corpo, lo «sport», ben rientra dunque nelle parole: «sia che facciate altra cosa». Che anzi egli ne discorre spesso esplicitamente: parla delle corse, delle lotte non con espressioni di critica o di biasimo, ma da conoscitore che ne eleva e ne nobilita cristianamente il concetto.

    Poiché infine cosa è lo «sport» se non una delle forme della educazione del corpo? Ora questa educazione è in stretto rapporto con la morale. Come dunque potrebbe la Chiesa disinteressarsene?

    E in realtà ha sempre avuto verso il corpo umano una sollecitudine e un riguardo, quali il materialismo, nel suo culto idolatrico, non ha mai manifestato. Ed è ben naturale, poiché questo vede e non conosce del corpo che la carne materiale, il cui vigore e la cui bellezza nascono e fioriscono per poi presto appassire e morire, come l'erba del campo che finisce nella cenere e nel fango. Assai diversa è la concezione cristiana. Il corpo umano è, in se stesso, il capolavoro di Dio nell'ordine della creazione visibile. Il Signore lo aveva destinato a fiorire quaggiù, per schiudersi immortale nella gloria del cielo. Egli l'ha unito allo spirito nella unità della natura umana, per far gustare all'anima l'incanto delle opere di Dio, per aiutarla a rimirare in questo specchio il loro comune Creatore, a conoscerLo, ad adorarLo, ad amarLo! Non Iddio ha fatto mortale il corpo umano, bensì il peccato; ma se per causa del peccato il corpo, tratto dalla polvere, deve un giorno ritornare in polvere, da questa tuttavia il Signore lo trarrà nuovamente per richiamarlo alla vita. Anche ridotti in polvere, la Chiesa rispetta e onora i corpi, morti per poi risorgere. Ma a visione anche più alta ci conduce l'Apostolo Paolo: «Non sapete voi, -egli dice - che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi, che vi è stato dato da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (1 Cor. 6,19-20).

    Glorificate Dio nel vostro corpo, tempio dello Spirito Santo! Non riconoscete voi là, diletti figli, le medesime parole che tante volte risuonano nei Salmi! Lodate Dio e glorificateLo nel suo santo tempio! Ma allora bisogna dire anche del copro umano: Domum tuam decet sanctitas, Domine (Sal. 92,5). Al tempio tuo s'addice la santità, o Signore! Bisogna amare e coltivare la dignità, l'armonia, la casta bellezza di questo tempio: Domine, diligo habitaculum domus tuae et locum tabernaculi gloriae tuae (Sal. 25,8).

    Ora qual è, in primo luogo, l'ufficio e lo scopo dello «sport», sanamente e cristianamente inteso, se non appunto di coltivare la dignità e l'armonia del corpo umano, di sviluppare la salute, il vigore, l'agilità e la grazia?

    Né si rimproveri a S. Paolo la sua energica espressione: Castigo corpus meum ei servitutem redigo: «Tratto duramente il mio corpo e lo riduco in servitù» (1 Cor. 9,27), a lui che in quel medesimo passo si appoggia sull'esempio dei fervidi cultori dello «sport», moderatamente e coscienziosamente esercitato, fortifica il corpo, lo rende sano e fresco e valido, ma per compiere quest'opera educativa, esso lo sottopone a una disciplina rigorosa e spesso dura, che lo domina e lo tiene veramente in servitù; allenamento alla fatica, resistenza al dolore, abitudine di continenza e di temperanza severa, tutte condizioni indispensabili a chi vuol conseguire la vittoria.

    Lo «sport» è un efficace antidoto contro la mollezza e la vita comoda, sveglia il senso dell'ordine ed educa all'esame, alla padronanza di sé, al disprezzo del pericolo senza millanteria né pusillanimità. Voi vedete così come esso oltrepassa già la sola robustezza fisica, per condurre alla forza e alla grandezza morale. E ciò che Cicerone nella sua incomparabile nitidezza di stile esprimeva scrivendo: Exercendum...corpus et ita afficiendum est, ut oboedire consilio rationique possit in exsequendis negotiis et in labore tollerando (De off., l, I, C.23). Dal paese natale dello «sport» ebbe origine il proverbiale «fair play», quella emulazione cavalleresca e cortese che eleva gli spiriti al di sopra delle meschinità delle frodi, dei raggiri di una vanità ombrosa e vendicativa, e li preserva dagli eccessi di un chiuso ed intransigente nazionalismo.

    Lo «sport» è una scuola di lealtà, di coraggio, di sopportazione, di risolutezza, di fratellanza universale, tutte virtù naturali, ma che forniscono alle virtù soprannaturali un fondamento solido, e preparano a sostenere senza debolezza il peso delle più gravi responsabilità. Come potremmo Noi in questa occasione non ricordare l'esempio del Nostro grande Predecessore Pio XI, che fu anche un Maestro dello «sport» alpino? Rileggete il racconto, così impressionante nella sua calma semplicità, di quella notte passata tutta intera, dopo un'ardua ascensione di venti ore, sopra una stretta sporgenza di roccia del Monte Rosa, a 4600 metri di altezza sul livello del mare, con un freddo glaciale, in piedi, senza poter fare un passo in nessun senso, senza potersi lasciar vincere un solo istante dal sonno, ma nel centro di quel grandiosissimo fra i più grandiosi teatri alpini, dinanzi a quella imponentissima rivelazione della onnipotenza e della maestà di Dio( Cfr. A.Ratti, Scritti alpinistici, Milano 1923, pp 42-43). Quale resistenza fisica, quale tenacia morale un tal contegno suppone! E quale preparazione quelle ardite imprese dovettero essere per lui a portare il suo coraggio intrepido nell'adempimento dei formidabili doveri che lo attendevano, nella soluzione dei problemi apparentemente inestricabili, davanti ai quali egli si sarebbe dovuto trovare un giorno come Capo della Chiesa!

    Affaticare sanamente il corpo per riposare la mente e disporla a nuovi lavori, affinare i sensi per acquistare una maggiore intensità di penetrazione delle facoltà intellettuali, esercitare i muscoli e abituarsi allo sforzo per temprare il carattere e formarsi una volontà forte ed elastica come l'acciaio: tale era l'idea che il sacerdote alpinista si era fatta dello «sport».

    Come questa idea è dunque lontana dal grossolano materialismo, per il quale il corpo è tutto l'uomo! Ma come è anche aliena da quella follia di orgoglio, che non si trattiene dal rovinare con uno strapazzo insano le forze e la salute dello sportivo, per conquistare la palma in una gara di pugilato o di velocità, e lo espone talvolta temerariamente anche alla morte! Lo «sport» degno di questo nome, rende l'uomo coraggioso di fronte al pericolo del presente, ma non autorizza a sfidare senza una ragione proporzionata un grave rischio: il che sarebbe moralmente illecito. Al qual proposito Pio XI scriveva: «Con le parole - vero pericolo - intendo ... quella condizione di cose che, o per se stessa o per le disposizioni del soggetto che vi si impegna, non è presumibile si possa affrontare senza che male ne avvenga» (Ibid, p.59). Perciò egli osservava a riguardo della sua ascensione sul Monte Rosa: «L'idea di tentare, come suol dirsi , un tiro da disperati, neppure ci passava pel capo... L'alpinismo vero non è già cosa da scavezzacolli, ma al contrario tutto e solo questione di prudenza e di un poco di coraggio, di forza e di costanza, di sentimento della natura e delle sue più riposte bellezze» (Ibid, p.22).

    Così inteso, lo «sport» non è un fine, ma un mezzo; come tale, deve essere e rimanere ordinato al fine, il quale consiste nella formazione ed educazione perfetta ed equilibrata di tutto l'uomo, cui lo «sport» è di aiuto per l'adempimento pronto e gioioso del dovere, sia nella vita del lavoro, che in quello della famiglia. Con un rovesciamento lamentevole dell'ordine naturale alcuni giovani dedicano appassionatamente tutto il loro interesse e tutta la loro attività alle riunioni e alle manifestazioni sportive, agli esercizi di allenamento e alle gare, mettono tutto il loro ideale nella conquista di un «campionato», ma non prestano che un'attenzione distratta e annoiata alle importune necessità dello studio o della professione. Il focolare domestico non è più per loro che un albergo ove si fermano di passaggio quasi come stranieri.

    Ben diversi, grazie al cielo, siete voi, diletti figli, quando, dopo una bella gara, vi rimettete, agili e con nuovo fervore, al lavoro, quando ritornati a casa, rallegrate tutta la famiglia coi vostri racconti esuberanti ed entusiastici.

    Al servizio della vita sana, robusta, ardente, al servizio di un'attività più feconda nel compimento dei doveri del proprio stato, lo «sport» può e deve essere al servizio di Dio. A questo fine infatti esso inclina gli animi a dirigere le forze fisiche e le virtù morali, che sviluppa; ma mentre il pagano si sottoponeva al severo regime sportivo per ottenere soltanto una corona caduca, il cristiano vi si sottomette per uno scopo più alto, per un premio immortale (Cf. 1Cor. 9,25).

    Avete voi notato il numero considerevole di soldati fra i martiri che venera la Chiesa? Agguerriti nel corpo e nel carattere con gli esercizi inerenti al mestiere delle armi, essi erano per lo meno eguali ai loro commilitoni nel servizio della patria, nella forza, nel coraggio; ma si mostravano a questi incomparabilmente superiori pronti com'erano alle lotte, ai sacrifici nel servizio leale di Cristo e della Chiesa. Animati dalla medesima fede e dal medesimo spirito, siate anche voi disposti a tutto posporre ai vostri doveri di cristiani.

    A che servirebbero infatti il coraggio fisico e l'energia del carattere, se il cristiano ne usasse soltanto per fini terreni, per guadagnare una «coppa» o per darsi delle arie da superuomo? Se non sapesse, quando occorre, ridurre di una mezz'ora il tempo del sonno o ritardare un appuntamento di stadio, piuttosto che tralasciare di assistere alla S. Messa la domenica; se non riuscisse a vincere il rispetto umano per praticare la religione e difenderla; se non si valesse della sua prestanza e della sua autorevolezza per arrestare o reprimere con lo sguardo, con la voce, col gesto, una bestemmia, un turpiloquio, una disonestà, per proteggere i più giovani e i più deboli contro le provocazioni e le assiduità sospette; se non si accostumasse a concludere i suoi felici successi sportivi con una lode a Dio, Creatore e Signore della natura e di tutte le sue forze? Siate sempre consapevoli che il più alto onore e il più santo destino del corpo è di essere la dimora di un'anima, che rifulga di purezza sociale e sia santificata dalla grazia divina.

    Con ciò, diletti figli, è delineato e tracciato lo scopo dello «sport». Andate risolutamente alla sua attuazione, con la coscienza che nel campo della cultura fisica la concezione cristiana non ha nulla da ricevere d'altrui, ma piuttosto da dare. Quel che nelle varie specie e manifestazioni sportive si è dimostrato come veramente buono, voi potete accettarlo e adottarlo non meno degli altri.

    Ma per ciò che riguarda il posto che lo «sport» deve avere nella vita umana, per i singoli, per la famiglia, per tutto il popolo, l'idea cattolica è semplicemente salvatrice e illuminatrice.

    L'esperienza degli ultimi decenni è in questo senso altamente istruttiva; essa ha mostrato come soltanto la valutazione cristiana dello «sport» è capace di opporsi efficacemente a falsi concetti e a tendenze perniciose e di eliderne il malefico influsso; in compenso essa arricchisce la cultura fisica di tutto ciò che concorre ad elevare il valore spirituale dell'uomo e, quel che più conta, la orienta verso una nobile esaltazione della dignità, del vigore e della efficienza di una vita pienamente e fortemente cristiana. In ciò consiste l'apostolato che lo sportivo esercita, quando rimane fedele ai principi della sua fede.

    È assai notevole quanto spesso l'Apostolo Paolo usa l'immagine dello «sport» per significare la sua missione apostolica e la vita di lotta del cristiano sulla terra, massimo nella prima Lettera ai Corinti. «Non sapete - egli scrive - che quelli che corrono nello stadio, corrono bensì tutti, ma uno solo riporta il premio? Correte dunque, affine di riceverlo». E qui aggiunge le parole alle quali abbiamo già fatto allusione: «Tutti quelli che lottano nell'arena, si astengono da tutto; ed essi per conseguire una corona corruttibile, ma noi per una incorruttibile. Anche io dunque corro allo stadio, ma non come alla ventura; fo del pugilato, ma non dando colpi all'aria; tratto duramente il mio corpo e lo riduco in servitù affinché non avvenga che dopo aver provocato gli altri alla lotta, io stesso rimanga soccombente» (1 Cor. 9,24-27).

    Queste poche parole gettano sullo «sport» raggi di mistica luce. Ma ciò che all'Apostolo importa, è quella realtà superiore, di cui lo «sport» è l'immagine del simbolo: il lavoro incessante per Cristo, il raffrenamento e l'assoggettamento del corpo all'anima immortale, la vita eterna premio di questa lotta. Anche per lo sportivo cristiano, anche per voi, diletti figli, lo «sport» non ha da essere l'ideale supremo, lo scopo ultimo, ma deve servire a tendere verso quell'ideale, a conseguire quel fine. Se un esercizio sportivo riesce per voi di ricreazione e di stimolo ad adempiere con freschezza ed ardore i vostri doveri di lavoro o di studio, può ben dirsi che esso si manifesta nel suo vero significato e nel suo reale valore, ed ottiene felicemente l'intento suo proprio. Che se, oltre a ciò, lo «sport» è per voi non solo immagine, ma in qualche modo anche esecuzione del vostro più alto dovere, se cioè voi vi adoperate mediante l'attività sportiva a rendere il corpo più docile e obbediente allo spirito e alle vostre obbligazioni morali, se inoltre col vostro esempio contribuite a dare all'attività sportiva una forma più rispondente alla dignità umana e ai precetti divini, allora la vostra cultura fisica acquista un valore soprannaturale, allora voi attuate nello stesso tempo e in un solo atto il simbolo e la cosa simboleggiata di cui parla S. Paolo, allora vi preparate a poter esclamare un giorno come il grande lottatore apostolico: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Del resto mi è serbata la corona di giustizia, che il Signore giusto Giudice renderà a me in quel giorno; né solo a me, ma anche a coloro che desiderano la sua venuta» (2 Tim. 4,7-8).

    Affinché l'Onnipotente, creatore dei vostri corpi e delle vostre anime, lo Spirito Santo, di cui il vostro corpo è tempio, Maria, la Vergine potente e Madre intemerata, vi custodiscano, vi proteggano, vi concedano di «godere sempre sanità di spirito e di corpo». Noi, mettendovi sotto la loro egida, impartiamo di tutto cuore a voi, ai vostri compagni, alle vostre famiglie, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

    Agli Sportivi italiani (25 maggio 1945) | PIO XII
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  2. #2
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    Predefinito Re: Sport e religione cattolica

    DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
    AI PARTECIPANTI AL
    CONGRESSO SCIENTIFICO NAZIONALE ITALIANO
    DEDICATO ALLE ATTIVITÀ GINNICO-SPORTIVE

    Sabato, 8 novembre 1952




    Ai partecipanti
    al Congresso scientifico nazionale
    dedicato alle attività ginnico-sportive.

    Di gran cuore vi diamo il benvenuto, illustri Signori, da un medesimo nobile ideale convocati nella Città eterna, ed oggi da uno stesso filiale sentimento guidati alla Nostra presenza per recarCi il vostro omaggio e in pari tempo per rinnovare in Noi l’alto godimento che sempre proviamo nell’intrattenerCi in mezzo ad elette schiere di specialisti in tutti i rami del sapere, che hanno per oggetto l’« uomo».

    Il vostro Congresso scientifico nazionale, dedicato alle attività ginnico-sportive, risponde senza dubbio ad una necessità del tempo presente, opportunamente rilevata dalla sensibilità della vostra coscienza, la quale ben sa ciò che lo sport e la ginnastica significano specialmente per un popolo moderno: quanto la loro pratica sia diffusa in ogni ceto, quanto vivo sia l’interesse che essi suscitano dappertutto, quanto importanti e molteplici i riflessi che ne promanano sia alle persone sia alla società. Basta accennare alle svariatissime forme, che l’esercizio dello sport abbraccia nella sua vasta estensione: ginnastica da camera, ginnastica scolastica, esercizi a corpo libero, esercizi agli attrezzi, corsa, salto, arrampicate, ginnastica ritmica, marcia, equitazione, sci ed altri sport invernali, nuoto, canottaggio, scherma, lotta, pugilato e molte altre ancora, tra cui quelle tanto popolari del calcio e del ciclismo. L’interesse con cui è coltivata e seguita tanto intensa attività è dimostrato dalla stampa. Non vi è più, si può dire, alcun giornale che non abbia la sua pagina sportiva mentre non pochi sono i fogli destinati esclusivamente a questo argomento, senza parlare delle frequenti radio-trasmissioni che informano il pubblico sugli avvenimenti sportivi. Inoltre lo sport e la ginnastica non sono soltanto praticati individualmente; vi sono altresì apposite associazioni, gare e feste, talune locali, altre a carattere nazionale o internazionale, e finalmente i risorti Giuochi Olimpici, le cui vicende sono attese con viva ansia dal mondo intero.

    Qual fine perseguono gli uomini con una così ampia e diffusa attività? L’uso, lo sviluppo, il dominio — mediante l’uomo e al servizio dell’uomo — delle energie racchiuse nel corpo; la gioia che da questo potere e fare deriva, non dissimile da quella che prova l’artista, quando adopera, dominando, il suo istrumento.

    Che cosa ha voluto il vostro Congresso? Investigare e mettere in evidenza le leggi, a cui lo sport e la ginnastica debbono conformarsi, affinché conseguano il loro scopo; leggi che vanno desunte dall’anatomia, dalla fisiologia e dalla psicologia, secondo le più recenti conquiste della biologia, della medicina e della psicologia, come il vostro programma ampiamente dimostra.

    Ma voi avete desiderato altresì che Noi aggiungessimo una parola sopra i problemi religiosi e morali derivanti dall’attività ginnico-sportiva, e indicassimo le norme atte a regolare una così importante materia.



    AVVERTENZA PRELIMINARE


    Qui, come in altri casi, per procedere verso chiare e sicure deduzioni, deve porsi a fondamento il seguente principio: tutto ciò che serve al conseguimento di un fine determinato, deve trarre la regola e la misura dal fine stesso. Ora lo sport e la ginnastica hanno, come fine prossimo, di educare, sviluppare e fortificare il corpo dal lato statico e dinamico; come fine più remoto, l’utilizzazione, da parte dell’anima, del corpo così preparato per lo sviluppo della vita interiore od esteriore della persona; come fine anche più profondo, di contribuire alla sua perfezione; da ultimo, come fine supremo dell’uomo in generale e comune ad ogni forma di attività umana, avvicinare l’uomo a Dio.

    Stabilite così le finalità dello sport e della ginnastica, ne consegue che si deve in essi approvare tutto ciò che giova al conseguimento degli scopi indicati, naturalmente nel posto che a loro conviene; si ha invece da respingere quanto non conduce a quegli scopi o da essi distoglie o esce dal luogo a loro assegnato.

    Volendo ora discendere alle applicazioni concrete dei princìpi enunciati, stimiamo opportuno considerare separatamente i principali fattori che intervengono nelle attività ginnico-sportive, e che si possono paragonare, come già abbiamo accennato, e nonostante le numerose differenze, a quelli che concorrono nell’esercizio dell’arte. In questo si deve distinguere l’istrumento, l’artista, l’utilizzazione dell’istrumento. Nella ginnastica e nello sport l’istrumento è il corpo vivente; l’artista è l’anima, che forma col corpo una unità di natura; l’azione è l’esercizio della ginnastica e dello sport. Consideriamoli dunque sotto l’aspetto religioso e morale, e vediamo quali insegnamenti se ne possono trarre per il corpo, per l’anima e per la loro attività nel campo ginnico-sportivo.



    IL CORPO


    Ciò che è il corpo umano, la sua struttura e la sua forma, i suoi membri e le sue funzioni, i suoi istinti e le sue energie, è luminosamente insegnato dalle scienze più diverse: l’anatomia, la fisiologia, la psicologia e l’estetica, per non menzionare che le più importanti. Queste scienze ci sono ogni giorno più larghe di nuove cognizioni e ci conducono di maraviglia in maraviglia, mostrandoci la stupenda struttura del corpo e l’armonia delle sue parti anche minime, la immanente teleologia, che manifesta al tempo stesso la rigidezza delle tendenze e la estesissima capacità di adattamento; scoprendoci centri di energia statica accanto all’impulso dinamico di mozione e di impeto verso l’azione; svelandoci meccanismi, se così può dirsi, di una finezza, di una sensibilità, ma anche di una potenzialità e di una resistenza, quali non si riscontrano in nessuno dei più moderni apparecchi di precisione. Per ciò che riguarda l’estetica, i geni artistici di tutti i tempi, nella pittura e nella scultura, benché siano riusciti ad avvicinarsi superbamente al modello, hanno essi stessi riconosciuto l’inesprimibile fascino di bellezza e di vitalità che la natura ha elargito al corpo umano.

    Il pensiero religioso e morale riconosce ed accetta tutto ciò. Ma va ben più innanzi: insegnando a ricollegarlo alla sua prima origine, gli attribuisce un carattere sacro, di cui le scienze naturali e l’arte non hanno per se stesse alcuna idea. Il Re dell’universo, a degna corona della creazione, formò, in una maniera o nell’altra, dal limo della terra l’opera meravigliosa del corpo umano e gli spirò in volto un soffio di vita, che fece del corpo l’abitazione e lo strumento dell’anima, val quanto dire, innalzò con esso la materia al servizio immediato dello spirito, e con ciò accostò ed unì in una sintesi difficilmente esplorabile dalla nostra mente, il mondo spirituale a quello materiale, non solo con un legame puramente esteriore, ma nella unità della natura umana. Così innalzato all’onore di essere abitazione dello spirito, il corpo umano era pronto a ricevere la dignità di tempio stesso di Dio con quelle prerogative, anzi anche superiori, che spettano ad un edifizio a Lui consacrato. Infatti, secondo la espressa parola dell’Apostolo, il corpo appartiene al Signore, i corpi sono «membra di Cristo ». « Non sapete voi — egli esclama — che le vostre membra sono tempio dello Spirito, il quale è in voi, che vi è stato dato da Dio, e che non appartenete a voi stessi?… Glorificate e portate Dio nel vostro corpo » [1].

    È ben vero che la sua presente condizione di corpo mortale lo accomuna al flusso generale degli altri viventi che corrono irrefrenabili verso il disfacimento. Ma il ritorno alla polvere non è il destino definitivo del corpo umano, poiché dalla bocca di Dio apprendiamo che sarà chiamato nuovamente alla vita — questa volta immortale — allorché il disegno sapiente e misterioso di Dio, che si svolge simile alle vicende dei campi, avrà compimento sulla terra. «Si semina (il corpo) corruttibile, sorgerà incorruttibile. Si semina ignobile, sorgerà glorioso: si semina inerte, sorgerà robusto: si semina un corpo carnale, sorgerà un corpo spirituale » [2].

    La rivelazione dunque c’insegna intorno al corpo dell’uomo eccelse verità, che le scienze naturali e l’arte sono incapaci da se stesse di scoprire, verità che al corpo conferiscono nuovo valore e più elevata dignità, e quindi maggior motivo a meritare rispetto. Certamente lo sport e la ginnastica nulla hanno da temere da questi princìpi religiosi e morali rettamente applicati; occorre tuttavia escludere alcune forme che contrastano col rispetto or ora indicato.

    La sana dottrina insegna a rispettare il corpo, ma non a stimarlo oltre il giusto. La massima è questa: cura del corpo, invigorimento del corpo, sì; culto del corpo, divinizzazione del corpo, no, come neanche divinizzazione della razza e del sangue e dei loro presupposti somatici o elementi costitutivi. Il corpo non occupa nell’uomo il primo posto, né il corpo terreno e mortale, com’è ora, né quello glorificato e spiritualizzato, come sarà un giorno. Non al corpo tratto dal limo della terra spetta il primato nel composto umano, ma allo spirito, all’anima spirituale.

    Non meno importante è un’altra norma fondamentale contenuta in un altro passo della Scrittura. Nella Lettera di S. Paolo ai Romani infatti si legge: «Vedo nelle mie membra un’altra legge, che si oppone alla legge della mia mente, e mi fa schiavo della legge del peccato, la quale è nelle mie membra » [3]. Non si potrebbe descrivere più al vivo il quotidiano dramma, di cui è intessuta la vita dell’uomo. Gl’istinti e le forze del corpo si fanno valere e, soffocando la voce della ragione, preponderano sulle energie del buon volere dal giorno in cui la loro piena subordinazione allo spirito andò perduta col peccato originale.

    Nell’intensivo uso ed esercizio del corpo occorre tener conto di questo fatto. Come vi è una ginnastica e uno sport, che con la loro austerità concorrono a raffrenare gl’istinti, così si hanno altre forme di sport che li risvegliano, sia con forza violenta, sia con le seduzioni della sensualità. Anche dal lato estetico, col piacere della bellezza, con l’ammirazione della ritmica nella danza e nella ginnastica, l’istinto può insinuare il suo veleno negli animi. Vi è inoltre nello sport e nella ginnastica, nella ritmica e nella danza, un certo nudismo, che non è né necessario né conveniente. Non senza ragione, or sono alcuni decenni un osservatore del tutto imparziale ebbe a dire: «Ciò che in questo campo interessa la massa, non è la bellezza del nudo, ma il nudo della bellezza ». Dinanzi ad una tale maniera di praticare la ginnastica e lo sport il senso religioso e morale oppone il suo Veto.

    In una parola, lo sport e la ginnastica debbono non comandare e dominare, ma servire e aiutare. È il loro ufficio, e in ciò trovano la loro giustificazione.



    L’ANIMA


    In realtà, a che cosa gioverebbe l’uso e lo sviluppo del corpo, delle sue energie, della sua bellezza, se non fosse al servizio di qualche cosa più nobile e duratura, qual’è l’anima? Lo sport, che non serve l’anima, non sarà che un vano agitarsi di membra, una ostentazione di caduca avvenenza, una effimera gioia. Nel grande discorso di Cafarnao, volendo strappare i suoi ascoltatori dai loro sentimenti bassamente materialistici e condurli a una intelligenza, più spirituale, Gesù Cristo formulò un principio generale: «Lo spirito è quello che vivifica, la carne a nulla giova! » [4]. Queste divine parole, che racchiudono una massima fondamentale della vita cristiana, valgono anche per il giuoco e lo sport. L’anima è il fattore determinante e definitivo di ogni esterna operazione, allo stesso modo come non il violino determina lo sprigionarsi delle melodie, ma il tocco geniale dell’artista, senza il quale l’istrumento, anche più perfetto, resterebbe muto. Alla stessa guisa dei movimenti armonici delle membra nella ginnastica, degli spostamenti agili e avveduti nei giuochi, delle strette potenti dei muscoli nella lotta, il fattore principale e determinante non è il corpo, ma l’anima; se questa lo abbandonasse, esso cadrebbe come qualsiasi altra massa inerte. Ciò è tanto più vero quanto più stretto è il legame che li unisce: nell’uomo è unione di sostanza, per cui ambedue fanno una sola natura; ben diversa dal rapporto di associazione, come tra l’artista e il suo violino. Nello sport e nella ginnastica, dunque, come nel suono dell’artista, l’elemento principale, dominante, è lo spirito, l’anima; non l’istrumento, il corpo.

    Fondata su tali princìpi, la coscienza religiosa e morale esige che nella estimazione dello sport e della ginnastica, nel giudicare la persona degli atleti, nel tributare l’ammirazione alle loro imprese, venga assunta, come criterio fondamentale, l’osservanza di questa gerarchia dei valori, così che il maggior pregio non sia attribuito a colui che possiede i più forti ed agili muscoli, ma a chi dimostra anche più pronta capacità di sottometterli all’impero dello spirito.

    Una seconda esigenza dell’ordine religioso e morale, fondata sulla stessa scala dei valori, vieta, in caso di conflitto, di sacrificare a vantaggio del corpo gl’intangibili interessi dell’anima. Verità e probità, amore, giustizia ed equità, integrità morale e naturale pudore, doverosa cura della vita e della sanità, della famiglia e della professione, del buon nome e del vero onore, non debbono essere subordinati all’attività sportiva, alle sue vittorie e alle sue glorie. Come in altre arti ed offici, così nello sport, è legge immutabile che il felice successo non è una sicura garanzia per la sua rettitudine morale.

    Una terza esigenza riguarda il grado d’importanza che spetta allo sport nell’insieme delle attività umane. Non si tratta dunque più qui di considerare e di valutare il corpo e l’anima entro i limiti dello sport e della ginnastica, ma di porre questi ultimi nella ben più vasta cornice della vita, e di esaminare allora qual valore convenga loro riconoscere. Sotto la guida della sana ragione naturale, e molto più della coscienza cristiana, ognuno può giungere alla norma certa che l’allenamento e la padronanza del corpo esercitata dall’anima, la gioia per la consapevolezza della forza che si possiede e per le riuscite imprese sportive, non sono l’elemento né unico né principale dell’agire umano. Sono aiuti ed accessorî certamente da stimarsi; ma non valori di vita indispensabili, né assolute necessità morali. Elevare la ginnastica, lo sport, la ritmica con tutti i loro annessi, a supremo scopo della vita, sarebbe in verità troppo poco per l’uomo, del quale ben più elevate aspirazioni, tendenze e doti formano la primaria grandezza.

    È perciò ufficio di tutti gli sportivi di conservare questa retta concezione dello sport; non già per turbare o diminuire la gioia che traggono da esso, ma per preservarli dal pericolo di trascurare doveri più alti concernenti la loro dignità e il rispetto verso Dio e verso se stessi.

    Non vogliamo conchiudere questa considerazione senza rivolgere una parola ad una particolare categoria di persone, il cui numero si è pur troppo accresciuto dopo le due immani guerre che hanno funestato il mondo; a coloro, cioè, che deficienze fisiche o psichiche rendono inabili alla ginnastica e allo sport, e i quali pertanto spesso, specialmente i più giovani, amaramente ne soffrono. Mentre ci auguriamo che l’antico adagio « Mens sana, in corpore sano » divenga sempre più largamente la sorte della presente generazione, è dovere di tutti soffermarsi con speciale e pietosa attenzione su quei casi, in cui il destino terreno è diverso. Tuttavia la dignità umana, il dovere ed il suo adempimento non sono legati a quel detto. Numerosi sono gli esempi che presenta la vita di ogni giorno, oltre a quelli disseminati lungo il corso della storia, i quali dimostrano come nulla vieta che un corpo infermo o minorato possa albergare un’anima sana, talvolta grande, perfino geniale ed eroica. Ogni uomo, per quanto malato, e perciò inetto ad ogni sport, è tuttavia un vero uomo, che esegue, anche nei suoi difetti fisici, un particolare e misterioso disegno di Dio. Se egli abbraccerà di buon animo questa dolorosa missione, portando la volontà del Signore e da essa portato, sarà in grado di percorrere più sicuramente il cammino della vita, per lui tracciato su sentiero sassoso e intricato di spine, tra cui non ultima la forzata rinunzia alle gioie dello sport. Sarà suo particolare titolo di nobiltà e magnanimità il lasciare senza invidia gli altri godere della loro forza fisica e delle loro membra, ed anzi di prendere generosamente parte alla loro gioia, come, dall’altro lato in fraterno e cristiano contraccambio, le persone sane e robuste debbono esercitare e dimostrare al malato una intima comprensione e un cuore benevolo. L’infermo «porta il peso» degli altri, e gli altri, che nella maggior parte dei casi, se non in tutti, hanno non solo le membra sane, ma anche — non ne dubitiamo — la loro croce, godano di mettere le loro energie al servizio del fratello malato. « Portate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo » [5]. «E se un membro soffre, soffrono insieme tutte le membra; se un membro è onorato, godono insieme tutte le membra » [6].



    LA PRATICA DELLO SPORT


    Resta a dire una parola intorno alla pratica dello sport, cioè sui mezzi concreti, affinché la vostra attività consegua gli scopi, mantenga i pregi, bandisca gli abusi che abbiamo testé indicati.

    Tutto quanto concerne l’aspetto igienico e tecnico, le esigenze derivanti dall’anatomia, dalla fisiologia, dalla psicologia e da altre scienze speciali biologiche e mediche, rientrano nella vostra competenza, e sono state oggetto delle vostre profonde discussioni.

    Per quanto invece riguarda il lato religioso e morale, il principio di finalità, già esposto all’inizio, vi dà la chiave per la soluzione dei problemi, che potranno sorgere nel foro della vostra coscienza. Ma nell’attività, ordinaria vi basti ricordarvi che ogni azione (od omissione) umana cade sotto le prescrizioni della legge naturale, dei precetti positivi di Dio e dell’autorità umana competente: triplice legge che in verità è una sola, la volontà divina in vario modo manifestata. Al giovane ricco del Vangelo il Signore rispose brevemente: «Se brami di arrivare alla vita, osserva i comandamenti ». E alla nuova domanda «Quali »? il Redentore lo rimandò alle ben note prescrizioni del Decalogo [7], Così si può anche qui dire: Volete agire rettamente nella ginnastica e nello sport? Osservate i comandamenti.

    Rendete in primo luogo a Dio l’onore che gli è dovuto, e soprattutto santificate il giorno del Signore, poiché lo sport non esime dagli obblighi religiosi. « Io sono il Signore Iddio tuo» — diceva l’Altissimo nel Decalogo — «Non avere altro Dio di fronte a me » [8], nemmeno cioè il proprio corpo negli esercizi fisici e nello sport: sarebbe quasi un ritorno al paganesimo. — Parimenti il quarto comandamento [9], espressione e tutela dell’armonia intesa dal Creatore in seno alla famiglia, ricorda la fedeltà agli obblighi familiari, i quali debbono anteporsi alle credute esigenze dello sport e delle associazioni sportive.

    Dai divini comandamenti viene altresì protetta la vita propria ed altrui, la sanità propria ed altrui, le quali non è lecito di esporre sconsideratamente a serio pericolo con la ginnastica e lo sport [10].

    Da essi traggono forza anche quelle leggi già note agli atleti del paganesimo, che i genuini sportivi mantengono giustamente come leggi inviolabili nel giuoco e nelle gare, e sono altrettanti punti di onore: schiettezza, lealtà, spirito cavalleresco, per cui aborriscono, come da macchia disonorante, dall’impiego dell’astuzia e dell'inganno; il buon nome e l’onore dell’avversario è a loro altrettanto caro e rispettabile quanto il proprio.

    L’agone fisico diventa così quasi un’ascesi di virtù umane e cristiane; tale anzi deve diventare ed essere, per quanto duro sia lo sforzo richiesto, affinché l’esercizio dello sport superi se stesso, consegua uno dei suoi obiettivi morali e sia preservato da deviazioni materialistiche, che ne abbasserebbero il valore e la nobiltà.

    Ecco in breve ciò che significa la formula: Volete agire rettamente nella ginnastica, nel giuoco, nello sport. Osservate i comandamenti — i comandamenti nel loro senso obiettivo, semplice e chiaro.

    Stimiamo di avervi esposto l’essenziale di ciò che la religione e la morale hanno da dire sul tema generale del vostro Congresso « Età evolutiva ed attività fisica ». Quando si rispetta accuratamente il contenuto religioso e morale dello sport, questo è chiamato ad inserirsi nella vita dell’uomo come elemento di equilibrio, di armonia e di perfezione, e come valido sussidio nell’adempimento degli altri suoi doveri.

    Riponete dunque la vostra gioia nella pratica corretta della ginnastica e dello sport. Recate anche in mezzo al popolo la loro benefica corrente affinché fiorisca sempre più la sanità fisica e psichica e s’invigoriscano i corpi a servizio dello spirito; sopra ogni cosa finalmente non dimenticate, in mezzo alla fremente ed inebriante attività ginnico-sportiva, ciò che di più di tutto vale nella vita: l’anima, la coscienza, e, al vertice supremo, Dio.

    Esprimendo l’augurio che la Provvidenza con la sua grazia protegga, nobiliti e santifichi lo sport e le sue attuazioni, v’impartiamo di cuore, in pegno della Nostra paterna benevolenza, l’Apostolica Benedizione.

    [1] I Cor., 6, 13, 15, 19, 20.

    [2] I Cor., 15, 42-43.

    [3] Rom., 7, 23.

    [4] Io., 6, 64.

    [5] Gal., 6, 2.

    [6] I Cor., 12, 26.

    [7] Matth., 19, 17-20.

    [8] Ex., 20, 2-3.

    [9] Ibidem,12.

    [10] Ibidem,13.


    Ai partecipanti al Congresso Scientifico Nazionale dedicato alle attività ginnico-sportive (8 novembre 1952) | PIO XII
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

 

 

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