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  1. #171
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    Predefinito Re: Libia. Una speranza per la Padania?

    Citazione Originariamente Scritto da ventunsettembre Visualizza Messaggio
    Libia, alta tensione: 8 caccia russi trasferiti dalla Siria

    C'era chi dava ormai per spacciato Haftar dato che anche la NATO si è messa con Serraj.
    Adesso inizia il bello.
    Figuriamoci se Putìn molla Haftar e Al Sisi.
    E i suoi interessi nel Mediterraneo.
    L'unica cosa chiara che emerge da tutta lafaccenda Libia è che Erdogan è proprio una gran puttana.
    Che alla fine pagherà.
    Merdogan è una puttana criminale.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #172
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    Predefinito Re: Libia. Una speranza per la Padania?

    Nei giorni scorsi il Parlamento egiziano ha autorizzato l'invio in Libia dell'esercito.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  3. #173
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    Predefinito Re: Libia. Una speranza per la Padania?

    Libia addio
    OPINIONI
    12:01 27.11.2020
    URL abbreviato
    Di Gian Micalessin
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    L’umiliante sconfitta politica, diplomatica e militare dell’Italia. Nell’arco dei due governi guidati da Giuseppe Conte il nostro paese è riuscito a giocarsi il suo ruolo di potenza di riferimento nell’ex colonia riducendosi al ruolo d’inutile spettatore incapace persino di difendere i propri interessi nazionali.

    E così mentre Tripoli diventa un protettorato turco e l’azione diplomatica passa nelle mani della Germania il governo giallo rosso si prepara ad una nuova umiliazione per ottenere la liberazione dei pescatori detenuti dalle forze di Haftar.

    In due anni e due governi l’Italia si è giocata tutto. E così la Libia - uno dei pochi sipari esteri su cui è stata per decenni protagonista - la vede ora retrocessa al ruolo di comparsa inutile e ininfluente perchè incapace di difendere i propri interessi nazionali. I conti son presto fatti. Fino all’aprile del 2019 e all’inizio degli scontri tra il governo di Tripoli e il generale Khalifa Haftar eravamo l’unica nazione straniera a poter rivendicare una presenza militare sul suolo libico. La difesa dell’ospedale militare, aperto all’interno dell’aeroporto di Misurata, giustificava il dispiegamento di 300 uomini, tra cui un distaccamento di Forze Speciali. La base di Abu Sitta, nel porto di Tripoli, ospitava una nave della nostra Marina Militare incaricata di coordinare e seguire le operazione di una Guardia Costiera libica a cui garantivamo addestramento e forniture. E a rafforzare quel dispiegamento contribuivano le quattro o cinque unità della Marina impegnate a presidiare le coste libiche nell’ambito della missione Mare sicuro. Quella presenza militare non poteva e non doveva essere puramente simbolica. Il suo compito era garantirci il controllo dei flussi migratori in partenza dalle coste della Tripolitania, la difesa delle risorse energetiche affidate all’Eni e un ruolo da mediatori all’interno del caotico mosaico libico. Il tutto in vista di una pacificazione che avrebbe restituito alle nostre aziende un ruolo prioritario all’interno del paese. Ma non è andata così.

    Vladimir Putin e Recep Erdogan alla ceremonia di apertura di Turkish Stream
    © SPUTNIK . SERGEY GUNEEV
    L’Italia in Libia: game over?
    Oggi in Libia l’Italia non conta più nulla e rischia di venir messa alla porta alla porta da insalutato ospite. All’origine di tutto c’è l’incapacità dei due ultimi governi, quello giallo rosso e quello giallo verde, entrambi guidati da Giuseppe Conte di esercitare un’effettiva azione politica. A livello diplomatico la prima ad approfittare di questa auto-marginalizzazione è stata una Germania trasformatasi, dopo l’organizzazione della Conferenza di Berlino dello scorso gennaio, nella protagonista dell’azione negoziale in abito europea. Ma la nostra progressiva marginalizzazione è frutto anche della ritrosia, tutta italiana, ad usare navi e soldati come strumento di pressione politica. L’assenza di un appropriato e concreto utilizzo dello strumento militare, anche solo sotto forma di minaccia, è diventato la prova della nostra debolezza trasformandoci in un paese zimbello.

    © FOTO : GUARDIA COSTIERA/TWITTER
    Operazione Mare sicuro 2020, Guardia Costiera: 2.500 persone salvate e 750 natanti soccorsi
    Nonostante le navi di Mare Sicuro, i 300 soldati dell’ex- operazione Ippocrate (oggi Miasit - Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia) e gli oltre 22 milioni di euro stanziati dalla firma, nel 2017, del Memorandum d’intesa per il sostegno alla Guardia Costiera il nostro paese non ha giocato alcun ruolo nello scontro tra il governo di Tripoli del premier Fayez Al Serraj e le armate del generale Khalifa Haftar. Avremmo potuto scegliere di difendere Tripoli. E vista la necessità di controllare i flussi di migranti in partenza per l’Italia e le risorse energetiche gestite dall’Eni le buone ragioni non ci sarebbero mancate. In alternativa, anche per non contrapporci a degli alleati di Haftar, come Emirati Arabi, Egitto e Russia, con cui abbiamo interessi comuni, avrenno potuto proporci come capofila d’una forza d’interposizione Onu garantendoci un peso diplomatico e un ruolo interlocuorio.
    Invece entrambi i governi del premier Giuseppe Conte hanno scelto di assistere passivamente alle offensive di Haftar e all’intrusione della Turchia. Un’intrusione che ha finito con l’estrometterci non solo dalla Libia, ma dall’intero Mediterraneo. I droni, le forniture militari e le milizie jihadiste coordinate da ufficiali turchi oltre a fermare l’avanzata del generale Khalifa Haftar hanno trasformato l’esecutivo di Serraj in un governo fantoccio nelle mani del presidente turco Recep Tayyp Erdogan. E così la firma, a novembre 2019 del trattato sul Mediterraneo imposto a Serraj in cambio dell’aiuto militare ha trasformato l’ex-“Mare Nostrum” in un protettorato dove la fine delle acque territoriali libiche coincide con l’inizio di quelle turche.
    Luigi Di Maio alla cerimonia inaugurale della 31ª edizione di Milano Unica
    © FOTO : EVGENY UTKIN
    Di Maio apre MED 2020 con un richiamo alla Turchia: "si astenga da iniziative unilaterali"
    L’accordo, firmato nel silenzio dell’Italia, oltre a consegnare all’arbitrio turco Cipro e molte isole greche mette a rischio i pozzi off shore gestiti dall’Eni davanti alla Libia e regala ai turchi la scusa per impedire a noi e ad altri la ricerca di giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale. Ma quello è solo l’inizio della debacle italiana. A metà agosto di quest’anno, nel silenzio del nostro premier e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, i responsabili della difesa turco Halusi Akar e quello del Qatar Khalid al Attyha han fatto firmare al premier di Tripoli Fayez Al Serraj l’accordo per la trasformazione di una sezione del porto di Misurata in una base navale turca garantita da una concessione di 99 anni. Grazie allo stesso accordo il Qatar gestisce assieme ad Ankara l’organizzazione e l’addestramento del nuovo esercito libico mentre l’aviazione militare turca s’è installata nella base aerea di al-Watya nella Tripolitania Occidentale. La conseguenza immediata per l’Italia è stato l’allontanamento dall’aeroporto di Misurata dell’ospedale militare italiano e dei nostri soldati trasferiti alla periferia della città.
    Migranti africani in Libia
    © AFP 2020 / MAHMUD TURKIA
    Libia, Bellanova: "Un fallimento gli accordi, bisogna eliminare la guardia costiera libica"
    A metà ottobre è arrivato invece l’umiliante colpo di mano con cui Ankara ha assunto il controllo della Guardia Costiera libica formata, addestrata e finanziata dall’Italia. Uno scippo consacrato dal tweet con cui il ministero della difesa turco ha esibito le foto del proprio personale a bordo delle motovedette Ubari e Fezzan donate alla Libia nel 2018 dal nostro paese. Ancor più serie di quell’umiliazione sono però le sue possibili conseguenze. Perdere il controllo della Guardia Costiera equivale a perdere il controllo dei flussi migratori o, peggio, lasciarli nelle mani di una Turchia pronta ad usarli come nel 2015 per ricattare l’Italia e l’Europa. Ma il peggio deve forse ancora arrivare. Il 23 ottobre una nota della Farnesina ha salutato “con grande favore” la ratifica del cessate firmato a Ginevra dai rappresentanti militari di Haftar e del governo di Tripoli. Peccato che quell’accordo preveda il ritiro entro tre mesi di tutti i militari stranieri presenti sul territorio libico.
    Roma, la manifestazione dei familiari dei due armatori dei pescherecci Medinea e Antartide sequestrati in Libia
    © FOTO : MARCO MARRONE
    Pescatori trattenuti in Libia, Salvini incontra familiari: perché il governo non si muove?
    Ma mentre il ministro della Difesa di Tripoli ha già detto di non voler rinunciare alla presenza delle truppe e delle milizie turche non una sola voce si è levata in difesa della permanenza italiana. Del resto a provare l’inutilità delle nostre truppe concorre la triste vicenda dei pescatori detenuti dalle forze di Haftar dai primi di settembre. Nonostante le navi e i soldati distaccati sul quadrante libico il governo italiano non è riuscito ne a impedirne la cattura ne a ottenerne un’immediata liberazione. E così dopo aver ammesso la propria impotenza escludendo un blitz armato per liberarli si ritrova costretto ad un negoziato che comunque finisca rappresenterà una nuovo cedimento. Soprattutto se richiederà, come sembra, l’uscita dalle nostre carceri di quattro trafficanti di uomini condannati in via definitiva a pene tra i venti e i trenta anni per aver sprangato il boccaporto di un barcone affondato con 49 migranti rinchiusi in stiva. Un orrore che risale al 2015 e viene ricordato come «la strage di ferragosto». Un orrore pronto a trasformarsi nell’ennesima umiliazione dell’Italia.
    https://it.sputniknews.com/opinioni/202011279836567-libia-addio/

  4. #174
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    Predefinito Re: Libia. Una speranza per la Padania?

    https://www.voltairenet.org/article212441.html
    ....
    Non è un caso che la guerra Nato per la demolizione dello Stato libico inizi nemmeno due mesi dopo il vertice dell’Unione Africana che, il 31 gennaio 2011, aveva dato il via alla creazione entro l’anno del Fondo monetario africano. Lo provano le email della segretaria di Stato dell’Amministrazione Obama, Hillary Clinton, portate alla luce successivamente da WikiLeaks: Stati uniti e Francia volevano eliminare Gheddafi prima che usasse le riserve auree della Libia per creare una moneta pan-africana alternativa al dollaro e al franco Cfa (moneta imposta dalla Francia a 14 ex colonie). Lo prova il fatto che, prima che nel 2011 entrino in azione i bombardieri, entrano in azione le banche: esse sequestrano i 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, di cui sparisce la maggior parte. Nella grande rapina si distingue la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari statunitense, di cui Mario Draghi è stato vicepresidente.
    ....
    Cose già dette, ma che sarà bene ripetere all'infinito.
    Vero Super Mario?
    ....
    Di tutto questo è responsabile anche il Parlamento italiano che, il 18 marzo 2011, impegnava il Governo ad «adottare ogni iniziativa (ossia l’entrata in guerra dell’Italia contro la Libia) per assicurare la protezione delle popolazioni della regione».

    A me par di ricordare, ma sicuramente mi sbaglio, che ci fu un unico responsabile in itaglia.
    E si chiama Napolitano.
    Responsabile di questo e di molto altro.

  5. #175
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    Predefinito Re: Libia. Una speranza per la Padania?

    Narrazione e realtà della crisi libica
    di Manlio Dinucci
    RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 4 GENNAIO 2022
    FRANÇAIS

    La Nato si dichiara preoccupata per la crisi in Libia, che «ha dirette implicazioni per la stabilità regionale e la sicurezza di tutti gli Alleati». Assicura quindi che «resta impegnata a fornire consiglio alla Libia per la difesa e la sicurezza». I governi di Usa, Francia, Germania, Italia e Regno Unito dichiarano che «elezioni libere permetteranno al popolo libico di rafforzare la propria sovranità» e di essere «pronti a chiedere conto a coloro che minacciano la stabilità della Libia». Riaffermano quindi «il pieno rispetto e impegno per la sovranità e l’indipendenza della Libia».

    Solenni parole pronunciate dalle stesse potenze che, dopo aver demolito negli anni Novanta la Jugoslavia disgregandola dall’interno e attaccandola dall’esterno, con la stessa tecnica demolirono nel 2011 lo Stato libico. Prima finanziarono e armarono all’interno settori tribali e gruppi islamici ostili al governo, e infiltrarono forze speciali in particolare qatariane, per far divampare gli scontri armati. Quindi lo attaccarono dall’esterno: in sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuò 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con oltre 40 mila bombe e missili. Alla guerra – diretta dagli Stati uniti, prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa – partecipò l’Italia con 7 basi aeree, cacciabombardieri e una portaerei.

    Veniva così demolito quello Stato africano che – documentava nel 2010 la Banca Mondiale – aveva «alti livelli di crescita economica e sviluppo umano», Vi trovavano lavoro circa due milioni di immigrati, per lo più africani. Grazie all’export energetico, lo Stato libico aveva investito all’estero circa 150 miliardi di dollari. Gli investimenti libici in Africa erano determinanti per il progetto dell’Unione Africana di creare propri organismi finanziari, un mercato comune e una moneta unica dell’Africa. Le email della segretaria di Stato dell’Amministrazione Obama, Hillary Clinton, portate alla luce successivamente da WikiLeaks, dimostrano che Stati uniti e Francia volevano eliminare Gheddafi prima che usasse le riserve auree della Libia per creare una moneta pan-africana alternativa al dollaro e al franco Cfa (moneta imposta dalla Francia a 14 ex colonie). Prima che entrassero in azione i bombardieri, entrarono in azione le banche: sequestrarono i 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, di cui poi è sparita la maggior parte, bloccando in tal modo l’intero progetto africano.

    Tutto questo viene cancellato nella narrazione politico-mediatica della crisi libica, permettendo ai principali responsabili della catastrofe sociale provocata dalla guerra alla Libia di presentarsi come suoi salvatori. Oggi in Libia gli introiti dell’export energetico vengono accaparrati da milizie e multinazionali. Grandi quantità di petrolio libico vengono vendute a paesi dell’Unione europea, tramite società maltesi che le riciclano camuffandone la provenienza. Il tenore di vita della popolazione è crollato. La Libia è divenuta la principale via di transito di un caotico flusso migratorio che ha provocato più vittime della guerra del 2011. Secondo i dati dell’Oim, sono annegati nel Mediterraneo nel 2021 circa 1.500 migranti, ma certamente sono di più dato che molti casi non sono segnalati.

    Circa 30 mila migranti, nel 2021, sono stati intercettati in mare e riportati in Libia dalla Guardia costiera «libica», creata, addestrata e finanziata dall’Italia con 33 milioni di euro. Molti sono finiti in centri di detenzione sia del «governo» di Tripoli che delle milizie. Sono oggi intrappolati in Libia oltre 600 mila migranti di circa 45 nazionalità, praticamente ridotti in stato di schiavitù, costretti a lavorare senza paga e picchiati. Sempre più numerosi sono quelli che chiedono non di essere portati in Europa, ma di tornare nei propri paesi per sfuggire a tale condizione. Particolarmente drammatica è quella delle giovani donne, vendute all’asta, violentate e costrette alla prostituzione.

    Tutto questo grazie all’operazione «Protettore Unificato» che, informa il Ministero della Difesa, fu effettuata dalla Nato nel 2011 per «la protezione dei civili in Libia».
    https://www.voltairenet.org/article215207.html
    Ultima modifica di Eridano; 04-01-22 alle 20:23

 

 
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