Corriere della Sera

Per la prima volta la giustizia in Cina ha accettato di ascoltare il caso di una coppia gay alla quale è negata la possibilità di sposarsi. Sun Wenlin, 27 anni, e Hu Mingliang, 37, si sono conosciuti su una chatline un paio d’anni fa e a giugno hanno fatto un passo rivoluzionario per la società cinese (e non solo). Si sono presentati all’ufficio affari civili della loro città, Changsha nello Hunan, e hanno chiesto di registrare il matrimonio. Il funzionario ha rifiutato: «Ci si può sposare solo tra uomini e donne». I fidanzati hanno pensato di presentare un esposto contro l’ufficio. Il 5 gennaio il tribunale di Changsha ha comunicato la decisione di ascoltare in udienza pubblica il caso «Sun e Hu contro l’ufficio affari civili».

Le pressioni della polizia
Un primo passo, importante, tanto da essere riportato anche dalla stampa cinese. Il percorso per ottenere udienza non è stato (e non sarà facile): i due ragazzi avevano trovato un avvocato, che si è fatto indietro quando ha cominciato a ricevere pressioni. Un secondo legale ha preso a cuore il caso e il 16 dicembre lo ha depositato in tribunale. Il 24 dicembre due poliziotti si sono presentati a casa della coppia (che vive a casa dei nonni di Sun) e hanno cercato di scoraggiarli. Sun e Hu non si sono fatti intimidire. Il 5 gennaio la Corte di Changsha ha accettato di ascoltare il ricorso. Prima udienza fissata per il 26 gennaio, ma improvvisamente rinviata a data da stabilirsi perché un avvocato che deve rappresentare l’ufficio affari civili «è impegnato». Sun ha raccontato agli inviati del New York Times di aver già speso circa 1.200 dollari, il triplo del suo stipendio mensile di impiegato, ma vuole andare avanti.

Pugni e calci in famiglia
Ha già dovuto affrontare la disapprovazione della famiglia. Il padre lo prese a calci quando una sera a cena mentre i parenti insistevano per sapere se aveva una fidanzata, Sun rispose: «Mi piacciono i ragazzi». Al calcio del padre Sun reagì con un pugno e da allora per anni tagliò i ponti con i genitori. I nonni però lo hanno accettato, con il suo compagno. E ultimamente le cose si sono aggiustate anche con la mamma.

In 108 milioni per un video-verità
Fino al 1997 l’omosessualità in Cina era reato e ancora oggi le famiglie di ragazzi gay si sentono tradite e socialmente umiliate. L’anno scorso un’associazione civile ha girato un corto di sei minuti su Fang Chao, un giovane laureato che la notte di Capodanno confida ai genitori di amare un coetaneo. Il padre gli grida: «Tu per noi sei morto». Ma dopo anni di silenzio, proprio in una sera di Capodanno il ragazzo riceve una telefonata da casa: «Torna, sarai sempre nostro figlio». Il video-documentario è intitolato«Huijia», che significa «ritorno a casa». Lo ha girato l’associazione PFLAG China, costituita nel 2008 sul modello del gruppo americano «Parents, Families and Friends of Lesbians and Gays» (PFLAG). Messo online, è stato visto da 108 milioni di cinesi in pochi gorni. Segno che anche in Cina i diritti civili stanno avanzando.