Il made in Italy sposa l'Islam, Governo sostiene progetto 'Halal'
Roma, 30 giu. (Adnkronos Salute) - Il made in Italy sposa l'Islam, e cerca di cogliere una nuova sfida che passa per l'halal, ovvero ciò che è lecito, concesso: un vero e proprio must per chi segue i dettami della legge islamica. Qualche esempio? Niente carne di maiale o derivati e, naturalmente, alcol bandito. Non solo a tavola, però. L'Haram, ovvero ciò che è tassativamente proibito dalla sharia, è 'regola' che va oltre il cibo: anche una boccetta di profumo o un farmaco possono essere vietati. Nonostante la crisi economica, l'Halal si trasforma in un business che fa gola e che continua a crescere "al trend del 15% l'anno" a livello planetario, "con un business mondiale stimato in 500 miliardi di euro", spiega il ministro degli Esteri Franco Frattini, nel corso della conferenza stampa a Roma dove è stata presentata una Convenzione interministeriale di sostegno, appunto, al progetto 'Halal Italia'.
Si tratta di un'iniziativa che conta sul gioco di squadra dei ministeri degli Esteri, della Salute e delle Politiche agricole, e che intende sostenere un marchio italiano di qualità 'Halal', che certificherà la conformità alle leggi coraniche dei prodotti made in Italy dei settori alimentari, cosmetico e farmaceutico.
A far da apripista un progetto pilota realizzato dalla Camera di Commercio di Milano lo scorso anno, e che ha visto l'istituzione di un apposito organo, con marchio registrato, che rilascia su scala nazionale certificazioni 'Halal', "garantite da un elevato grado di serietà e trasparenza - spiega Frattini - in totale conformità con la normativa italiana ed europea in materia sanitaria". Attraverso il progetto di iniziativa della Coreis (Comunità religiosa islamica), si mira dunque anche a offrire alle aziende italiane la possibilità di ampliare l'export in nuovi mercati meno influenzati dalla crisi economica. Per giungere alla certificazione 'Halal Italia', "da un punto di vista giuridico islamico - spiega Chiara Ferrero, segretario generale della Coreis - è stato necessario elaborare un disciplinare tecnico che tenesse in considerazione il più ampio consenso di sentenze delle quattro scuole giuridiche sunnite e di quella sciita".
Un lavoro certosino, dunque, "per recepire tutte le indicazioni - prosegue Ferrero - sugli alimenti non ammessi, in modo da coprire le esigenze più ampie della comunità islamica mondiale. Contemporaneamente - assicura - si è cercato di fissare delle regole che consentissero alle aziende italiane di mettere in atto le linee guida per la certificazione senza stravolgimenti nei processi produttivi e nell'organizzazione del personale". E se stamattina alla Farnesina si è parlato molto di export, "non dimentichiamo la presenza di un mercato interno che in Italia conta oltre un milione di musulmani e in Europa circa 40 milioni. Ma qui è richiesto - secondo Ferrero - anche un lavoro di informazione su principi etici e religiosi dell'Islam. Non vorremmo, infatti, che l'etichetta 'Halal' diventasse un nuovo ghetto in cui confinare i musulmani con le loro regole o - conclude - da parte islamica si rivendicasse una nuova religione della purezza ritrovata".