non voglio provocare e ovviamente non voglio legare i due fenomeni.
ricordo però che il fascio si riteneva erede del risorgimento e "dio, patria, famiglia" sono comuni
non voglio provocare e ovviamente non voglio legare i due fenomeni.
ricordo però che il fascio si riteneva erede del risorgimento e "dio, patria, famiglia" sono comuni
A mio parere, l’affermazione del titolo è, per usare un eufemismo, una forzatura… all’ipotesi secondo la quale l’eredità di Mazzini sia stato il fascismo, solo perché quest’ultimo lo ha usato e citato a proprio uso e consumo, non credo affatto… è vero, il fascismo si richiamò spesso ad alcuni aspetti del pensiero mazziniano… ma è altrettanto vero che ne "tagliò" altri non proprio irrilevanti…
…tra l’altro, si richiamava a Mazzini anche quella parte dell’antifascismo che faceva capo a Carlo Rosselli e a “Giustizia e Libertà”…
Ultima modifica di Frescobaldi; 08-01-16 alle 13:32
Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...
…bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa
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«Io non capisco come si possa passare davanti a un albero e non essere felici di vederlo» - Fëdor Dostoevskij
Mazzini era contro i clericali.Mussolini pure diceva di esserlo.Però uno dei due firmò i Patti Lateranensi.
Non si può cogliere appieno l’influenza di Mazzini nella storia d’Italia se non si avverte che taluni storici hanno scorto nei suoi scritti un desiderio di “autoglorificazione nazionale” e una “svalutazione degli altri popoli”. Tale accusa vale soltanto per una minoranza dei suoi discepoli, alcuni dei quali finirono per appoggiare Crispi, Medici e il Partito Nazionalista Italiano. In seguito, alcuni sedicenti mazziniani andarono anche più in là, e lo esaltarono come precursore dell’imperialismo e del totalitarismo fascista; e lo stesso fece – a parte l’esaltazione – il comunista Togliatti. Il filosofo fascista Giovanni Gentile, che in un primo tempo aveva ostentato disprezzo per Mazzini, utilizzando la singolare argomentazione che egli avrebbe in qualche misterioso modo ostacolato l’unificazione italiana, in seguito passò all’estremo opposto, e si profuse in altrettanto curiosi elogi di un “Mazzini fascista” di sua invenzione. Anche Mussolini fece negli ultimi anni di vita un voltafaccia del genere. Nel tentativo di conquistarsi una maggiore rispettabilità intellettuale, tentò di collegare il fascismo con i grandi nomi della storia d’Italia; e cercò di convincere il popolo del suo entusiasmo dicendo di essere uno dei pochissimi che erano riusciti a leggere tutti i cento volumi degli scritti di Mazzini.
La leggenda di una “Mazzini fascista” veniva fondata su alcune osservazioni incidentali in merito a quello che veniva chiamato “imperialismo culturale”; e inoltre Mazzini aveva ricordato che l’impero romano aveva fatto del Mediterraneo il “Mare nostrum”. Innegabilmente – e lo disse a Stansfeld – Mazzini “aveva, per la sua patria, immense ambizioni; era orgoglioso di essa quale l’avrebbe voluta, e nutriva per essa, sempre e anche così com’era, un amore che non conosceva confini”. Credeva anche che, gradatamente, si stessero imponendo, in Africa, la cultura e le concezioni politiche europee, come avveniva nel Marocco ad opera della Spagna e in Algeria ad opera della Francia. L’Italia aveva, prima di tutto, la “missione” di assumere la guida nel processo di trasformazione dell’Europa in una comunità di stati, e poi quella di contribuire a estendere la civiltà europea in Tunisia e in Libia, oltre che di unirsi alla Russia e alla Gran Bretagna per “riportare all’Asia la civiltà sviluppata da quei germi sulle proprie terre privilegiate”.
Tuttavia Mazzini non sviluppò mai quei concetti, né pensò mai a quello che altri chiamavano colonialismo; anzi, condannò sempre i metodi di “brutale conquista” impiegati contro i popoli coloniali. Le nazioni che pensavano semplicemente di accrescere il loro proprio territorio tradivano la “missione dell’Europa” e meritavano una punizione, come avevano imparato a loro spese gli antichi romani e, adesso, gli inglesi. L’ “espansione dell’Europa” era inevitabile, ma giustificata soltanto finché portava l’emancipazione, l’istruzione, i diritti democratici, l’abolizione della schiavitù; e soltanto se aveva per fine la creazione di nuove nazioni. Perciò già nel 1852 Mazzini aveva guardato con soddisfazione a quella che chiamava la graduale emancipazione delle colonie, che era in corso nell’impero britannico; e non per nulla Mazzini era considerato un eroe da Gandhi, da Nehru, da Sun Yat Sen e dai primi sionisti. I doveri dell’uomo fu tradotto un almeno sei lingue indiane, e l’autore era ammirato dal pacifista Tolstoj e dagli anticolonialisti americani.
Avevano un compito molto più facile gli antifascisti italiani che si richiamavano all’eredità di quel Mazzini così diverso: di un Mazzini che credeva nella democrazia, nella libertà, in una morale internazionale; che condannava il militarismo e sosteneva la cooperazione internazionale e il rispetto dei diritti degli altri popoli. È vero che Mazzini esaltava il sentimento nazionale e il patriottismo come fasi necessarie dello sviluppo dell’umanità; ma è vero anche che condannava, costantemente, il “nazionalismo”, in cui vedeva una sgradevole e pericolosa degenerazione del patriottismo; per lui il Mediterraneo non era il “Mare nostrum”, ma un “lago europeo”. Inoltre la nazione, così come la repubblica, non era che un mezzo; e quando si fosse ritenuto che sarebbe stata nell’interesse generale la creazione degli “Stati Uniti d’Europa”, le nazioni avrebbero perso ogni ragione di esistere. Su quel punto Mazzini era d’accordo col suo amico sir John Seeley, anch’egli gran patriota, il quale, oltre ad un famoso libro sull’Expansion of England, scrisse sulla necessità degli “Stati Uniti d’Europa”, con una loro costituzione e una loro legislazione, e con “un potere esecutivo maggiore di quello di ciascuno dei singoli stati”.
Mazzini insisteva anche nell’affermare che le nazioni non dovevano mai calpestare le libertà fondamentali dei singoli cittadini, che erano una garanzia contro l’intolleranza. Per dirlo con le parole di uno dei suoi più acuti studiosi, Charles Vaughan:
[Mazzini] non esalta l’individuo a scapito della nazione come fanno i discepoli di Rousseau; né esalta la nazione a scapito dell’individuo, come tende a fare Hegel; né l’umanità a scapito dell’una o dell’altro, secondo l’incorreggibile aberrazione di Comte. Mentre riconosce a ciascuno di quei momenti una sua particolare funzione, Mazzini allo stesso tempo si rende pienamente conto che nessuno di essi può esprimere tutte le proprie energie senza la partecipazione degli altri; che ciascuno di essi è condizionato, assolutamente, dagli altri; e che solo in misura estremamente ridotta è possibile delimitare la sfera dell’azione di ciascuno […] Allo stesso tempo, Mazzini traccia i confini oltre i quali l’istinto della nazionalità diventa pericoloso, o, anche, dannoso. Negando che quell’istinto sia un principio definitivo e assoluto, lo subordina sempre alle più ampie esigenze dell’umanità; e afferma che il libero sviluppo dello spirito nazionale – un momento essenziale per la vera vita dell’umanità – finché serve a quel fine è solo un bene: non appena contrasta con esso diventa un enorme male.
Da D. Mack Smith, “Mazzini”, Rizzoli, Milano 1993, pp. 309-311.
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