In questi giorni ricorre il 69° anniversario della coraggiosa scelta politica compiuta nel 1947 da Giuseppe Saragat a Palazzo Barberini. Allora Saragat, un grande uomo al quale il nostro Paese deve davvero molto, fu costretto a dividere la sinistra. Fu osteggiato e combattuto duramente e con lui i suoi seguaci. Era il 1947, i tempi della Russia di Stalin; senza la sua coraggiosa iniziativa l’Italia, quasi certamente, avrebbe potuto avere lo stesso triste destino di fame e miseria dei paesi dell’Est. Ha avuto ragione; eppure il nostro Paese sembra averlo dimenticato, nonostante sia stato il primo Presidente dell’Assemblea Costituente nonché Presidente della Repubblica veramente esemplare. La sua figura è stata messa quasi ai margini della memoria collettiva proprio nel momento in cui alcune sue scelte di fondo trovavano riscontro nei fatti della storia.
Eppure Giuseppe Saragat è uno dei personaggi più significativi dell’Italia repubblicana. Uno dei padri fondatori, appartenente a quella generazione che costruì l’Italia delle libere istituzioni, che dobbiamo difendere gelosamente. Nella chiarezza. Senza esitazioni. L’importanza della scelta di Palazzo Barberini forse ancora non è stata percepita dalla più larga parte degli italiani, ma certamente si è trattato di un gesto decisivo per il nostro Paese. Con quel gesto coraggioso, Saragat entrava davvero da protagonista, sul serio e a buon diritto, nella storia dell’Italia contemporanea.
Uomo di grande cultura, sapeva parlare praticamente di tutto. Era un grande conoscitore di libri rari ed eccezionali, capace di leggere in lingua originale Goethe e Marx. Esemplare per equilibrio, correttezza, onestà. Un protagonista che ha inciso un segno profondo nella nostra storia nel momento più pericoloso e decisivo. La sua forte coerenza politica e morale gli consentì di avere il coraggio dell’impopolarità. Le sue scelte furono subito definitive ed irrinunciabili, con intuizioni al limite della profezia e con una visione della politica che, con la difesa della libertà e della democrazia, doveva realizzare le condizioni materiali della giustizia sociale. Il suo messaggio programmatico (case, scuole, ospedali) è un fondamentale riferimento dal momento che ancor oggi c’è la necessità di difendere la casa, la scuola pubblica e di battersi per una sanità davvero efficiente.
Ma al di là delle questioni programmatiche, la scissione di Palazzo Barberini riguardava soprattutto una diversa dislocazione internazionale.
E la posizione di Saragat era identica a quella dei socialisti e socialdemocratici europei, unanimemente concordi verso la scelta d’occidente.
Va dato quindi risalto all’opzione europeista di Palazzo Barberini, dove Saragat fu motivato dalla convinzione che lo “sbocco europeo” era l’unica necessaria premessa della conquista della democrazia e del socialismo e che l’europeismo dei socialisti riformisti era il baluardo contro il dilagare dello stalinismo.
Saragat fin dall’inizio della sua vita ha scelto di schierarsi per la libertà, questa scelta non ha tradito mai. Mai una volta che un calcolo politico, una questione di rimanere nella maggioranza, un problema di avere posti di potere, mai una volta che quella che viene chiamata la politica spicciola – forse dovrebbe essere chiamata con più sincerità in altro modo- abbia mosso, turbato o posto interrogativi su questa scelta assoluta, precisa, motivata, pagata personalmente. La scelta di libertà.
Ed in effetti i punti fermi di Saragat erano la difesa della democrazia e lo sviluppo nel suo ambito della giustizia sociale.
E, dunque, nei Paesi in cui si tenta di realizzare la giustizia sociale sopprimendo la libertà politica, si distrugge l’una e l’altra.
“A conferma di questa nostra posizione – ammonisce Saragat – è l’esperienza dei Paesi in cui il marxismo – leninismo ha trovato modo di insediarsi in permanenza”.
La rivoluzione di ottobre del 1917 vede l’avvento di Lenin al potere. All’inizio di essa l’Assemblea Costituente liberamente eletta trova i leninisti con il 17% dei voti. Lenin e Trotski sciolgono l’Assemblea e ha inizio così la dittatura.
Resta per tutti -ricorda Saragat- il giudizio implacabile e definitivo dell’eroica rivoluzionaria Rosa Luxembourg, assassinata a Berlino dagli ufficiali tedeschi nel gennaio del 1919, dopo il fallimento della rivolta spartachista, il cui cadavere fu gettato nella Sprea: “Il rimedio inventato da Lenin e Trotski, la totale soppressione della democrazia, è peggiore del male che essi supponevano di guarire”.
La libertà fu, quindi, sempre il punto di riferimento fondamentale di Giuseppe Saragat.
Giovane studioso, nato a Torino nel 1898, laureato in scienze economiche, riconobbe in Claudio Treves il suo maestro e si iscrisse al partito socialista per attivare la lotta contro la dittatura.
Nel 1926, dopo l’entrata in vigore delle leggi eccezionali e la revoca del mandato parlamentare ai deputati di tutti i gruppi dell’opposizione, Saragat con Claudio Treves passa il confine con la Svizzera, camminando lungo il sentiero che fiancheggia il lago di Lugano in burrasca.
“E’ come un prigioniero che volesse liberarsi dalle catene” dice rivolto al suo più anziano compagno. E Treves gli risponde “il lago ha ragione”. Il loro pensiero è rivolto al Paese che stanno lasciando, caduto sotto un regime negativo di ogni libertà.
I due esuli sono diretti a Zurigo, dove si dividono. Treves prosegue per Parigi, Saragat per Vienna, dove stringe un sodalizio durato vari anni con il leader della socialdemocrazia austriaca Otto Bauer, che arricchirà la sua capacità di intuizione politica.
Dopo che Saragat aveva lasciato Vienna per stabilirsi a Parigi, fu pubblicato appunto in Francia il suo libro “L’Umanesimo marxista”, un testo che rivelerà ai socialisti di tutta Europa l’importanza della elaborazione dottrinaria saragattiana, condotta sulla lettura nella lingua originaria delle opere di Marx, di cui è rivendicato, in termini di estrema chiarezza, il significato umano contro le arbitrarie interpretazioni leniniste e contro le aberranti applicazioni staliniste.
Durante l’occupazione nazista Saragat è a Roma. Sono con lui Nenni, Pertini e Buozzi. Saragat e Pertini vengono arrestati e tradotti nel carcere di Regina Coeli. Saragat verrà condannato a morte dal tribunale militare tedesco.
Allo scrittore siciliano Ettore Patti, compagno di prigionia che gli confida il suo terrore di essere fucilato dai tedeschi, Saragat risponde: “E se anche avvenisse ? Per due di noi che cadessero, ve ne sarebbero cento altri che prenderebbero il nostro posto per continuare la lotta per la libertà”. Un abile stratagemma, un ordine di scarcerazione con firma falsa, consente di liberare sette detenuti tra cui Saragat e Pertini.
A Palazzo Barberini, nel 1947, Saragat ha portato con sé in questa nuova battaglia la sua visione umanistica del marxismo, la traccia profonda delle convinzioni di Otto Bauer che non vi è socialismo senza democrazia, il patrimonio ideale per il quale ha scelto l’esilio e la lotta contro il totalitarismo. A distanza di anni possiamo dire che il seme gettato nel gennaio ’47 ha dato i suoi frutti nella storia del Paese. Oggi, ancor più dopo la caduta del muro di Berlino, è chiaro che Saragat politicamente e storicamente ha avuto l’intuizione vincente.
Il Paese gli ha manifestato il suo tributo di riconoscenza quando il Parlamento nel 1964 volle eleggerlo Presidente della Repubblica.
Come un segno fatale e significativo nel ribadire la continuità storica del pensiero riformista, è morto nel 1988 nello stesso giorno ed alla stessa ora in cui morì 55 anni prima il suo maestro, Claudio Treves.
Ci ha insegnato che la cosa più importante nella vita è avere degli ideali.
Gian Franco Schietroma
Coordinatore Segreteria nazionale PSI
Saragat e i 69 anni passati dalla scissione di Palazzo Barberini | Avanti!