di Leo Valiani – “Nuova Antologia”, a. 121, Fasc. 2160, Ottobre-Dicembre 1986
Questo articolo di Leo Valiani per la “Nuova Antologia” segue il filo della relazione introduttiva tenuta da Leo Valiani, alla sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, il 7 ottobre 1986, per il convegno dedicato congiuntamente dalla Fondazione Nenni e dall’Istituto Ugo La Malfa al tema: “Ugo La Malfa e Pietro Nenni: passato e futuro della democrazia in Italia”.
Pietro Nenni e Ugo La Malfa si conobbero a Roma nella drammatica estate del 1943. Mussolini era stato licenziato e Badoglio, che il re aveva nominato alla testa del governo, doveva far uscire l’Italia dalla guerra disastrosamente perduta. La libertà di stampa e di riunione non era stata ripristinata, ma i partiti antifascisti ricominciavano ad operare senza essere perseguitati come sotto la dittatura fascista. Nel Comitato che, essendosi coalizzati un po’ già alla vigilia e ancor più dopo il 25 luglio, i partiti antifascisti, ricostituitisi ancora nella clandestinità, avevano formato, Nenni, tornato dal confino di polizia di Ponza, rappresentava il partito socialista, La Malfa il partito d’azione.
L’uno e l’altro avevano in comune di essere, da sempre, militanti antifascisti e fautori convinti, accesi, della soluzione repubblicana della crisi politica aperta dalla sconfitta del regime. Il fascismo era andato nel 1922 al governo su chiamata del sovrano – che aveva rifiutato di opporre lo stato d’assedio alla marcia su Roma delle squadre fasciste – e rimase al potere per vent’anni con l’avallo dello stesso re, firmatario di tutta la legislazione liberticida e totalitaria, non escluse le leggi razziali, e delle dichiarazioni di guerra.
Per il partito socialista e per il partito d’azione era evidente che le radici del fascismo non si sarebbero potute estirpare, neppure dopo l’auspicata disfatta della Germania nazista, che per intanto – come gli antifascisti prevedevano – si preparava ad occupare militarmente l’Italia, nel momento in cui questa avesse concluso l’armistizio con gli anglo-americani. La riconquista delle libertà democratiche non sarebbe stata salda e durevole qualora la monarchia, dietro la quale si sarebbero raggruppate tutte le forze reazionarie del paese, non fosse stata eliminata con libera decisione del popolo italiano.
Il partito socialista e il partito d’azione si distinguevano dagli altri partiti della coalizione antifascista (alla quale lo storico partito repubblicano, ricostituitosi in ritardo, non volle prender parte, per non trovarsi insieme a partiti che potevano avere legami con la monarchia) precisamente perché della lotta per il mutamento istituzionale facevano una questione irrinunciabile di principio. Il partito comunista mirava anch’esso all’avvento della repubblica, ma non faceva una pregiudiziale. Gli altri partiti dell’alleanza antifascista – la democrazia cristiana, il partito liberale e la democrazia del lavoro (che esisteva, di fatto, solo a Roma, ma non nel resto del paese) – non si erano ancora pronunciati sulla questione istituzionale.
Il repubblicanesimo che Nenni e La Malfa incarnavano con particolare ardore nei loro rispettivi partiti (unanimi su questo punto, al di là delle altre divergenze che li travagliavano) aveva naturalmente origini diverse e, in parte, anche prospettive diverse. Nato nel 1891, cresciuto in condizione di povertà affittiva, Nenni aveva aderito giovanissimo al partito repubblicano che nella sua terra – le Romagne – non solo aveva tradizioni rivoluzionarie mazziniane, ma continuava a propugnare una rivoluzione politica, all’occorrenza violenta, contro la permanenza della monarchia. Nenni stesso aveva attivamente partecipato, salendo sulle barricate, a questa lotta rivoluzionaria, al fianco dei socialisti di sinistra, capeggiati allora da Mussolini e dagli anarchici, nel 1911 in opposizione all’impresa libica e nel ’14 durante la settimana rossa.
Anche l’interventismo del 1914-15, da lui condiviso al pari della grande maggioranza dei repubblicani, il servizio militare in guerra e l’antibolscevismo dell’immediato dopoguerra non attenuarono la sua dura intransigenza nei confronti della monarchia. Convertitosi al socialismo classista, Nenni aderì nel 1921, come risposta alla reazione politica e poliziesca che si serviva già del nascente fascismo, al partito socialista e, allorché esso si scisse di nuovo dell’ottobre 1922, rimase col suo tronco maggioritario, massimalista, che aveva espulso l’ala riformista colpevole di essersi pronunciata per l’ingresso in un governo democratico che – illudendosi – lo stesso Filippo Turati sperava che il re avrebbe potuto nominare per la difesa delle libertà statutarie minacciate dal fascismo.
Non tenteremo di ricostruire tutta l’attività politica di Nenni nel partito socialista, del quale diventò uno dei capi già nel 1923, opponendosi alla progettata fusione col partito comunista, e il vero capo, dopo alterne vicende, in esilio, con la riunificazione coi riformisti, da lui auspicata sin dal ’25. Ora si può leggere utilmente la ben documentata biografia che Tamburrano ce ne ha dato. Nell’ascesa di Nenni contarono, ovviamente, soprattutto le sue doti politiche, il suo eccezionale fiuto, la sua conoscenza delle masse, le sue grandi capacità di oratore e di giornalista, il suo coraggio e la sua tenacia di combattente. Contò, altresì, la lucidità dell’analisi politica che aveva fatto del periodo 1919-24, con la critica delle occasioni mancate dal movimento operaio e dall’antifascismo.
C’era stata, a giudizio di Nenni, una situazione rivoluzionaria nell’Italia del 1919-20, così come c’era stata in alcuni altri paesi europei, ma il partito socialista italiano aveva reso impossibile ch’essa avesse uno sbocco positivo, mettendo contro la classe operaia tutti gli altri ceti sociali – ivi compresa la grande massa, d’estrazione prevalentemente contadina o piccolo-borghese, degli ex-combattenti – spaventati dall’adozione socialista del modello sovietico di dittatura del proletariato. La via da battere sarebbe potuta essere, invece, quella di una rivoluzione democratica repubblicana, adombrata nella proposta, avanzata dalla Confederazione generale del lavoro nel ’18, di convocazione di una Costituente, alla quale molti ex-combattenti, a cominciare dai repubblicani, ma non essi soltanto, avevano guardato con simpatia. Per quella strada sembrava a Nenni che si sarebbe potuto giungere ad una rivoluzione socialista italiana diversa dall’esempio sovietico di cui cominciavano già ad essere note le conseguenze della dittatura oppressiva di un solo partito, di terrore e di miseria permanente. I massimalisti rifiutarono, però, la Costituente, reputata una soluzione borghese dacché i bolscevichi l’avevano soppressa in Russia. Alcuni dei riformisti politici, a differenza di alcuni dei riformisti del movimento sindacale o vicini ad esso, che non insistettero, comunque, nella loro proposta, erano scettici al riguardo, in partenza, non credendo alla possibilità e in fondo neanche all’importanza dell’eliminazione della monarchia. Durante la crisi provocata dall’assassinio del loro intransigente segretario, Giacomo Matteotti, nel 1924, tutti i riformisti confidarono nel re, che avrebbe dovuto licenziare il capo del governo, visibilmente corresponsabile, in qualche modo, del delitto. In verità, Nenni, direttore in quel momento, a Milano, dell’ “Avanti!”, aveva proposto nel giugno ’24 ai massimalisti e ai comunisti di fare appello ad uno sciopero generale ad oltranza, ma non era stato ascoltato. La disfatta dello sciopero generale antifascista dell’estate del ’22 pesava ancora troppo sugli stessi organizzatori e militanti operai. La mancanza di iniziativa – in tutti i campi – delle opposizioni, ritiratesi sull’Aventino, salvò il governo fascista.
Nell’insistenza sulla necessità di imparare dagli errori e dalle carenze d’un passato recente, Nenni coglieva indubbiamente nel segno. In esilio, il partito socialista riunificato fece propria, col consenso tanto dei riformisti quanto di una parte dei massimalisti, la prospettiva d’una lotta rivoluzionaria al fascismo e dell’avvento di una repubblica democratica, che Nenni, che sin dalla sua collaborazione, nel 1926, con Carlo Rosselli, col quale diresse la rivista “Quarto Stato”, palestra di idee di rinnovamento, aveva delineato fra i primi. I socialisti rimasti attivi in Italia – dal carcerato Sandro Pertini al confinato Giuseppe Romita e al futuro carcerato Rodolfo Morandi – erano sulle medesime o analoghe posizioni.
Per quanto acuta e chiaroveggente possa essere la sua percezione della realtà, chi si batte in una lotta senza quartiere – e questo era il caso dei fuorusciti maggiormente impegnati, fra i quali Nenni figurava in prima fila – è difficile che riesca ad evitare di essere influenzato, nella sua analisi e nelle sue previsioni, dall’andamento, per sua natura sempre pieno di sorprese, della lotta stessa e dal posto che via via vi occupa.
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