Ogni tanto si legge in questa o quest'altra sezione, qualche articolo trovato sull'Intellettuale dissidente.
Ma questo di Lorenzo Vitelli, non mi pare che abbia avuto l'attenzione che merita.
Lo spettro di Bianciardi si aggira per l’Italia
di Lorenzo Vitelli, 7 gennaio 2016
“No, Tacconi, ora so che non basta sganasciare la dirigenza politico-economico-social-divertentistica italiana. La rivoluzione deve cominciare in interiore homine. Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha. [...]. Cessato ogni rumore metalmeccanico, suonerà dovunque la voce dell’uomo e dellabestia [...]. Non esistendo la famiglia, i rapporti sessuali saranno liberi, indiscriminati, ininterrotti e frequenti, anzi continui. [...]. Nell’attesa che ciò avvenga, e mentre vado elaborando le linee teoriche di questo mio neocristianesimo a sfondo disattivistico e copulatorio, io debbo difendermi e sopravvivere.” (Luciano Bianciardi, La vita agra)
Dimenticatevi degli startupper che vendono composte di papaya bio online. Ora hanno la meglio i giovani néné. Non hanno né cercano un lavoro, non studiano, non apprendono un mestiere, non seguono corsi professionali. Sono i giovani nullafacenti, gli ultimi romantici eredi dei Vitelloni, i “selvaggi” che nel mondo dell'eccesso e dell'abbondanza lottano per sopravvivere. E se la trasvalutazione di tutti i valori (efficienza, produttività, competizione, profitto, globalizzazione) passasse anche per il tramite di un fancazzismo generalizzato?
Li chiamano i “néné”: né studio, né lavoro. Ma oltretutto non apprendono un mestiere e non seguono corsi professionali, i 2,5 milioni di italiani della cosiddetta generazione Neet (dall’inglese: Not in Education, Employment, or Training) che rappresentano il 26% dei giovani tra i 15 e i 29 anni (in Germania solo l’8%). Questa fetta di popolazione in crescita esponenziale raccoglie a sé una schiera di giovani disillusi tanto importante da incidere sul Pil per 6,8 punti percentuali. C’è chi li colpevolizza, i nullafacenti frequentatori della birreria del quartiere, gli assidui consumatori di punk ipa e marijuana. C’è chi, invece, parla di mancata integrazione e fallimento del sistema scolastico. Ma noi qui vediamo i primi volontari di un esercito che l’anarchico a Milano Bianciardi nel 62′ aveva soltanto fantasticato. Ecco una generazione improduttiva, infeconda, marginale, completamente estranea alle logiche di produzione capitaliste – non per scelta, certo – ma comunque liberata dal giogo renziano del “fare per il fare”, del fare a tutti costi, del lavoro come “obbligo morale” nella società della produttività e dell’efficienza.
La gioventù preconfezionata dagli atenei universitari e dalle solite facoltà, gli startupper col risvolto che vendono succo di papaya bio online, i ragazzi che si sono identificati nella generazione Bataclan “creativa, poliglotta, amante del viaggio, interdisciplinare” dei “giovani in festa, aperti, cosmopoliti”, sono tutte sfaccettature di un modello antropologico perfettamente allineato alla necessità del sistema (assenza di punti di riferimento geografici, identitari, linguistici, disponibilità allo spostamento, alla flessibilità, al precariato). I Neet, al contrario, questi Vitelloni felliniani, rappresentano la sedentarietà, la lentezza, la misura, la più alta espressione del pensiero meridiano che confondere con la rassegnazione è fin troppo riconciliante. E seppure rassegnazione ci fosse, dovrebbe invece diventare fierezza, dovrebbe trasformarsi da inconsapevole accettazione di una condizione drammatica, a secco rifiuto – il “no” del Bartleby di Melville – delle logiche capitalistiche e dei suoi parametri.
Dove la società parla di “analfabeti lavorativi” noi vediamo una sacca di resistenza all’espansione totale dell’archetipo di job anglosassone. E se dall’ufficio tecnico del Ministero di Sacconi, si fa chiaro il bisogno di “favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro”, noi speriamo che questi incorrotti continuino a portare avanti la battaglia bianciardiana finché non cesserà l’ultimo rumore metalmeccanico. Essi rappresentano le forze vive dell’anti-progressismo, sono i veri fuoriusciti dagli spazi onnipervasivi della produzione, del consumo, del ciclo capitalista dello spreco, non sono gli equilibristi di Ivano De Matteo, ma gli immobili che vivono alla giornata con qualche lavoretto in nero e la paghetta, gli ultimi romantici paradossalmente alle prese, in questa società dell’abbondanza, con la sopravvivenza: sono i selvaggi, gli eretici, le bestie oniriche che compaiono nei sogni della cattiva coscienza del Capitale. E se la trasvalutazione di tutti i valori (efficienza, produttività, competizione, profitto, globalizzazione) passasse anche per il tramite di un fancazzismo (preferiremo consapevole) generalizzato.
FONTE
Bravo Lorenzo Vitelli.
Non so chi sei, mi sembri un ragazzo giovane e intelligente. Vedi di lavorare con Fusaro che è anche lui una bella promessa della teoria critica italiana, ma vedi pure di non spostarti a destra e lascia stare la vuota geopolitica che è la roba di chi non ha più nulla da dire sul capitale.
Ma torniamo al contenuto:
Tutto il problema, ovviamente, sta in quel "preferiremo consapevole" sul quale finisce la chiosa vitellina.
Che parte della gioventù sia di troppo, cioè inutile alla riproduzionce capitalistica, è un fatto ormai indiscutibile. Che, di fronte al problema della propria sopravvivenza, questa gioventù arrivi a formare il sogno di una esistenza piena, degna, e di fatto politica, è nell'ordine delle cose.
Ma qui viene il difficile: quali sono le risorse filosofiche per passare dal sogno al progetto?
La difficoltà, a livello soggettivo, risiede infatti in questo che ormai la definizione di una vita riuscita coincide con la realizzazione di sé, e che tale realizzazione non solo presuppone il primato dell'individuo sulla comunità, ma che si confonde con l'integrazione economica - cioè con quel "fare per il fare".
Di contro possiamo dire che chi è nullafacente - per quanto arrivi a superare la vergogna che il sistema gli vuole infilare nella mente e nel corpo - ha più tempo a disposizione per popolare il proprio mondo, per metterci le radici, formare una catena di complicità, una rete in cui la compagnia nella sopravvivenza potrebbe costituire infine una compagnia di vita senza e/o contro il capitale. Il destino politico delle forze vive dell'anti-progressismo è di vedersi considerate dalle polizie del sistema come mafiose e terroristiche.
E possiamo aggiungere che la contraddizione nel sistema genera poco a poco una massa sempre più grossa di nullafacenti, e quindi problemi sempre più gravi nella gestione dell'insieme del territorio.
Per ora il nullafacente entrato in politica è in cerca di avventura esotica, dato che in loco c'è poco o niente di buono. Ma confidiamo nella capacità del capitale di produrre il proprio disastro. Ogni volta che un lavoratore è buttato fuori, che una famiglia è rovinata, che un giovane trova una porta chiusa cercando lavoro, ogni volta cambia la vita, e poi ci si fa le idee di questa vita, e poi una politica sulla base di questa, e alla fine è il capitale che diventa di troppo per l'umanità.