Come trasformare la Grecia nel lager d?Europa
Come trasformare la Grecia nel lager d’Europa
La triste parabola di Tsipras: da paladino della sinistra a kapò al servizio di Berlino
di Alvise Pozzi - 26 gennaio 2016
Spinti da un inverno particolarmente mite e dai fatti di Colonia, i ministri dell’Interno dell’Unione Europea si sono incontrati ad Amsterdam per cercare un’intesa nella gestione del flusso dei migranti. L’ennesimo vertice però è iniziato con un piglio diverso dai precedenti dove, dopo giravolte lessicali e accordi inconcludenti, tutto rimaneva esattamente come prima: ora si vuole agire. Ma come? La Merkel ha fretta di risolvere la situazione al più presto; l’ascesa di Pegida e lo scricchiolio interno alla CDU (per non dire proprio l’opposizione degli alleati bavaresi all’accoglienza indiscriminata) le impongono un repentino ripensamento, in vista delle prossime elezioni amministrative. È ora di smettere di mostrare il volto buono – per intendersi quello che l’ha fatta finire sulla copertina di Time – e ritornare a imporre ai partner europei l’interesse tedesco. Il tutto però deve apparire come necessario, quasi automatico, e condiviso, in modo tale da non mettere la Germania in cattiva luce. Il lavoro sporco dovrà ricadere su altri soggetti. La spiegazione deve quindi presentarsi facile: “occorre salvaguardare la più grossa conquista dell’integrazione europea” (ovvero Schengen); ma poiché questa è messa in crisi proprio dai flussi di migranti, significa che qualcuno non sta facendo il proprio dovere. Non c’è possibilità di errore o di autocritica per l’elite di Bruxelles: l’aver foraggiato le “primavere arabe” e spalancato le porte ai profughi che queste hanno provocato, è stata un’azione lecita alla quale non si può porre (seppure tardivo) rimedio. Le colpe invece sono da ascriversi a quei Paesi che hanno la sfortuna di trovarsi in prima linea con gli sbarchi e a quelli che hanno osato trincerarsi dietro un muro prima di finire travolti dall’esodo. Così, non c’è neppure bisogno di dirlo, ma il primo imputato diventa la povera Grecia incapace di gestire a dovere il flusso, mentre la Turchia che è rimasta impassibile a guardare il massacro di Kobane e con le frontiere aperte per ogni jihadista in procinto di raggiungere la Siria, deve essere generosamente aiutata con un bel gruzzolo di tre miliardi. “Noi eserciteremo pressione sulla Grecia affinché faccia i suoi compiti” ha subito tuonato Thomas de Maiziere, ministro degli interni tedesco. La minaccia neppure troppo velata è quella di sospendere Atene da Schengen, trasformandola di fatto nel nuovo lager europeo dove bloccare tutti i migranti che arrivano dalla Turchia. Un centro di stoccaggio a cielo aperto a costo zero; dopotutto l’esecutivo commissariato di Tsipras, sotto perenne ricatto del memorandum firmato, cosa può opporre? Se apre i famigerati hot spot per l’identificazione dei migranti è poi costretto dal regolamento di Dublino a tenerseli – fino e se le altre nazioni concedano loro diritto all’asilo -; se non li apre, verrà escluso da Schengen trasformandosi in un kapò al servizio di Berlino. Triste fine per l’uomo e il movimento che avrebbe rilanciato la sinistra europea. Purtroppo per i greci che, oltre la miseria e l’austerità, devono pure subire una media di 2.000 violazioni annue dello spazio aereo da parte dei velivoli turchi, stando zitti e vedendo omaggiare il neo-sultano Erdogan di fondi europei per la gestione dei profughi a loro invece negati. Triste destino per un popolo orgoglioso che alla fine ha capitolato. Eppure anche l’Italia è pronta per finire sul banco degli imputati. De Maiziere, infatti, parlava a suocera perché nuora intenda e anche Roma è nel mirino per gli hot spot insufficienti. Certo l’Italia – seconda industria manifatturiera d’Europa – non può essere minacciata di sospensione da Schengen; eppure la chiusura in un modo o nell’altro della rotta balcanica, ci lascerebbe soli come unico punto di approdo del Mediterraneo. E sarebbero dolori per l’esecutivo. Questa è la vera causa dei recenti dissapori tra Renzi e Juncker. Non illudiamoci che l’opposizione nostrana al finanziamento turco abbia però motivazioni ponderate e prosegua in un sussulto d’interesse nazionale; è un semplice mercanteggiare per ottenere un minimo di flessibilità in più sulla legge di stabilità, a uso e consumo interno. La “battaglia con l’Europa” mediaticamente funziona e sarebbe inoltre un ottimo maquillage per i conti pubblici. Non ci ricordiamo più come finì a dicembre la discussione sulle sanzioni alla Russia? Ecco appunto: zitti e jawohl.