Se la scienza cancella la filosofia | l'Unità TV
Secondo Corbellini la filosofia “oltre a produrre, insieme alla religione o alla letteratura o all’arte, suoni rassicuranti per chi ha paura del buio, può far capire meglio come funziona la scienza”
È vero che quest’anno ricorre il quattrocentesimo anniversario dalla morte dell’uomo che scrisse: «Ci sono più cose tra cielo e terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia». Ma forse nemmeno William Shakespeare avrebbe mai immaginato che un giorno l’intera storia della filosofia, così come religione, arte e letteratura, sarebbero state giudicate, al confronto delle indubitabili verità della scienza, come paragonabili all’atto di «fischiare nel buio per farsi coraggio».
Con questa citazione dello scienziato Francis Crick, infatti, Gilberto Corbellini ha spiegato ieri sul Domenicale del Sole 24 Ore la sua personale, ma niente affatto isolata, visione della filosofia e della cultura in generale. Più precisamente, secondo Corbellini la filosofia «oltre a produrre, insieme alla religione o alla letteratura o all’arte, suoni rassicuranti per chi ha paura del buio, può far capire meglio come funziona la scienza, togliendo di torno illusioni e autoinganni che ostacolano una comprensione critica e una disponibilità psicologica verso le conoscenze più affidabili che produciamo, cioè quelle scientifiche». E già qui saremmo tentati di interrompere il ragionamento, domandando come sia possibile che le conoscenze più affidabili vengano chiarite da quelle meno affidabili, ma soprassediamo perché quello che più ci interessa è il seguito del discorso, che è questo: «…Un aiuto prima di tutto per i giovani, che invece di perdere tempo sul pensiero di tanti filosofi che hanno detto cose sbagliate, potrebbero acquisire salutari elementi di storia della scienza e di epistemologia scientifica, senza i quali non si capisce il mondo in cui viviamo».
Sfortunatamente Corbellini non fa il nome di nessun filosofo in particolare, dunque non possiamo dire con certezza se, tra i tanti filosofi che si studiano a scuola, intendesse polemizzare proprio con Platone o invece con Hegel, se ce l’avesse con Spinoza o magari con Karl Marx, e di conseguenza non sappiamo neanche a che genere di «cose sbagliate» si riferisse (la trasmigrazione delle anime? La caduta tendenziale del saggio di profitto?). Una cosa però la sappiamo con certezza, vorremmo dire, scientifica. Ed è che togliendo dalla storia, da qualsiasi storia, le “cose sbagliate” pensate in passato, si capisce ben poco del passato e ancor meno del presente. Ma soprattutto si capisce ben poco di quel concetto squisitamente filosofico che chiamiamo «metodo scientifico». Metodo che si basa non per niente sull’attento esame di tutte le «cose sbagliate» pensate fino al momento della loro verifica sperimentale, e sulla ferma consapevolezza di come ogni risultato raggiunto sia valido sempre e soltanto fino a prova contraria. E questa consapevolezza della provvisorietà e della parzialità di ogni conoscenza umana non è una ragione per diffidare della scienza, ma proprio il contrario: è la ragione per cui a Einstein non è toccata la stessa sorte di Galileo. È cioè un principio di laicità, che si concilia peraltro assai meglio con un sistema democratico e pluralista. Anche se forse meno con quella impostazione «scientista» limpidamente rivendicata da Corbellini, convinto che l’unica posizione filosofica «ragionevole» sia quella secondo cui non esiste «niente di quel che accade che non possa essere compreso usando procedure empiriche controllate, se le nostre strutture cognitive riescono a concettualizzare e a interrogare sperimentalmente i processi che lo producono». Un quadro da cui, obiettivamente, resta fuori un bel po’ di roba, a cominciare da quella tarda evoluzione di ominide che circa quattrocento anni fa fu capace di scrivere l’Amleto.