Resistenza di “classe”
Dinanzi allo scenario di smantellamento dei diritti sociali e di indifferenza generale nei confronti della situazione odierna, vi è chi lotta per la sopravvivenza e per la conservazione di ciò che resta della dignità conquistata: l’Ilva di Genova ha saputo impartire un’antica lezione di conquista democratica.
Negli ultimi giorni, il Senato ha dato il via libera a un decreto sull’Ilva, con 157 voti favorevoli, 95 contrari, e 3 astenuti, il quale consiste nella privatizzazione e conseguente vendita dello stabilimento a privati, mettendo a rischio il cosiddetto accordo di programma, firmato nel 2005. Questa soluzione prevedeva che, a fronte della chiusura del settore della lavorazione a caldo, i redditi e le risorse occupazionali rimanessero intatte, non pregiudicando così le sorti di migliaia di lavoratori. L’ultima decisione parlamentare, tuttavia, sembra porre un forte punto interrogativo sul noto accordo, il quale potrebbe essere tranquillamente messo in discussione dai nuovi manager dell’azienda genovese. E’ per questa motivazione che, a Genova, circa duemila lavoratori sono scesi in piazza per tre giorni, tra il 25 e il 27 Gennaio, per difendere i propri diritti e impedire che la propria vita lavorativa venisse condizionata o stroncata da un semplice e manageriale “NO”. Quanto alla discussione inerente all’accordo, è stato fissato un incontro per il 4 Febbraio, presso la sede del Ministero dello Sviluppo Economico. Il sindacato Fiom ha dunque preteso la partecipazione in sede di un esponente o rappresentante di governo, il quale potesse chiarire la situazione e l’esito delle ambigue manovre discusse in Senato. La richiesta dei quadri sindacali sarebbe caduta nel vuoto se i lavoratori non avessero opposto una notevole capacità di mobilitazione e una grande determinazione nelle istanze di dialogo orizzontale con la classe dirigente. La protesta dei lavoratori genovesi ha avuto inizio nella giornata del 25 con l’occupazione della fabbrica, nonostante la metà dei dipendenti fosse entrata a svolgere, quotidianamente, il proprio dovere. Il segretario della Cisl, Marco Bentivogli, ha criticato l’azione reputandola poco incline a criteri democratici, dal momento che, secondo lo stesso dirigente sindacale, gli operai attivi avrebbero ricevuto intimidazioni dai contestatori. Bentivogli, così parlando, svilisce il significato stesso del concetto di “lotta”, la quale certamente non è stata mai portata avanti a colpi di margherite e martelli di gomma. I famigerati strumenti democratici si rivelano frequentemente inefficaci, soprattutto in una fase quale quella attuale: il potere finanziario e manageriale ha privato i lavoratori di qualsiasi potere contrattuale attraverso la legislazione dei singoli governi europei (es. abolizione dell’articolo 18 in Italia), accettando unicamente una tipologia di contestazione superficiale e di facciata, non abbastanza forte e non del tutto tesa al perseguimento delle battaglie e i relativi diritti. A questo punto, al segretario della Cisl verrebbe da domandare quale possa essere il senso di un’organizzazione sindacale, se non il raggiungimento, con la massima priorità, degli obiettivi per cui essa è stata costituita? Non si tratta di giustificare la violenza, bensì di affermare che viviamo in un contesto nel quale azioni brusche, al limite della legalità, talvolta si rivelano necessarie per il bene collettivo. Di fatto, i lavoratori hanno dimostrato un notevole coraggio nel riuscire a portare avanti le proprie istanze, senza tra l’altro il minimo spargimento di azioni violente e sangue. Essi hanno tuttavia bloccato l’intera città, come avvenuto nel secondo giorno di protesta, (26 gennaio), scatenando panico e caos (giustificati) alla circolazione e nel lavoro di ordinaria amministrazione dei dirigenti locali. Un’azione più che necessaria quella dei dipendenti Ilva, i quali hanno letteralmente occupato il lungomare di Genova con i propri mezzi blindati. Gli atti dimostrativi, i numerosi cortei e i presidi nelle diverse zone del tessuto urbano, hanno instillato forte preoccupazione nelle autorità genovesi, le quali hanno temuto che, come avvenuto il giorno precedente, la situazione potesse nuovamente degenerare con l’infittirsi del disagio di circolazione nelle strade. Ebbene, al terzo giorno di mobilitazione, (27 gennaio), gli stessi agenti anti-sommossa, dimostratisi solidali alla causa degli operai, hanno autorizzato il corteo a proseguire verso la Prefettura, luogo nel quale il prefetto Fiamma Spena ha ricevuto i manifestanti. La lettera del governo, sulla garanzia di presenza di un proprio esponente per l’incontro del 4 febbraio, arriva poco dopo, generando soddisfazione e un senso di rivincita fra i lavoratori dell’Ilva. Il delegato Fiom, Bruno Manganaro, afferma: «L’obiettivo è stato raggiunto. Tuttavia, l’incontro costituisce solo l’inizio della trattativa, non la fine. È una vittoria soprattutto per i lavoratori dell’Ilva, ma anche per i metalmeccanici della Fiom e tutta la città di Genova». Effettivamente, sebbene si tratti di un piccolo traguardo, nonostante si sia rivelata un’azione “poco democratica” (per dirla con sfumature “very liberal” e moderate, gradite alla classe dirigente nostrana), questa mobilitazione rappresenta un simbolico segnale di speranza e resistenza per il mondo lavorativo, il quale può ancora gridare e inneggiare alla propria esistenza e alla propria sopravvivenza, attraverso la lotta.
Resistenza di ?classe?