" Il problema che mi sono posto è se esiste un'alternativa alla violenza. Il marxismo entra nella mia relazione unicamente in quanto può essere considerato come una dottrina che giustifica, in determinate circostanze, la violenza rivoluzionaria. Sino a che noi non avremo riconosciuto che esiste un'alternativa alla violenza, non avremo nessun argomento per invalidare la giustificazione della violenza. Parto da questa considerazione: la violenza suscita orrore, e in particolare quella forma di violenza più estesa, durevole, micidiale, che è la guerra, ma la guerra e la violenza non solo sono sinora sempre esistite ma non possiamo cancellarle dalla storia perchè la storia è in gran parte un prodotto della violenza.
Ciò che è ancora più stupefacente, molte delle conquiste civili, che noi consideriamo benefiche per il progresso umano, sono state partorite
attraverso la violenza. Esempi: gli umanisti si consideravano eredi di una grande civiltà, la civiltà di Roma, che era stata fondata su una serie di guerre atroci.
I nostri padri liberali si consideravano eredi della Riforma, cioè di un periodo di lotte religiose che avevano insanguinato il mondo per decenni. Noi ci consideriamo figli della rivoluzione francese che per la prima volta ha instaurato un regime di terrore e della rivoluzione sovietica che è finita nelle stragi di Stalin. Oggi di fronte alle sollevazioni del Terzo Mondo, ci battiamo il petto in segno di contrizione; eppure possiamo immaginare una storia diversa, una storia in cui i grandi imperi dell'America centrale, o i vecchi stati o gli ancora più vecchi gruppi tribali africani, non fossero mai stati toccati dall'influenza europea, non mai assoggettati col ferro e col fuoco da altri popoli? Per finire con un esempio che ci tocca da vicino: la nostra costituzione repubblicana che bene o male ci regge da trent'anni, non è venuta dopo un dei periodi più tragici della nostra storia, e sarebbe venuta se non fosse stata preceduta da quella storia di lacrime e sangue? [...] Chiunque abbia meditato sul problema della giustificazione della violenza in generale sa benissimo che il modo più comune, e anche più convincente, di giustificare la violenza è quello di affermare che la violenza propria è una risposta, l'unica risposta possibile in date circostanze, alla violenza altrui. In altre parole, la liceità della violenza dipende dal fatto che in certe situazioni la violenza è il solo rimedio possibile alla violenza.
Ma chi decide quale sia la violenza originaria e quale sia la violenza derivata? Questo è il problema." Tertium non datur.

-- Dunque, a mio avviso, Bobbio affrontando il problema della guerra e della violenza, sostiene che quest'ultima sia una condicio sine qua non per il perseguimento di obiettivi tesi alla ricerca dell'utilità pubblica e quindi della collettività.
Teorizza in estrema sintesi, due forme di violenza: una legata ad una concezione conservatrice e una connessa ad una concezione rivoluzionaria. Secondo la prima, la violenza serve per ristabilire un ordine violato, la seconda per creare un nuovo ordinamento giuridico,
potenzialmente più valido del precedente. Chiara conseguenza è che NON è decaduto il concetto di guerra giusta, ma il criterio di valutazione della stessa. Quando si nega questa prospettiva, per me si scade sempre nel generico. Anche coloro che si reputano realisti ( i marxisti ad esempio), se arrischiano qualche ipotesi sulla società futura dicono cose vaghe come qualsiasi utopista; si parla della società in cui vi sono sempre le stesse parole e pseudo virtù dal suono dolce e gradevole come libertà, liberazione, popolo, autogestione, ma nessuno si preoccupa poi di prospettare un iter concreto. Pertanto, la violenza trova ampi margini di attuazione poichè storicamente proficua.
Risulta possibile trovare soluzioni alternative alla violenza? Da ciò che si deduce dal testo di Bobbio, credo che le alternative siano due:
_ creazione di un super-stato rispetto alle guerre esterne tra Stati sovrani.
_attuazione del metodo democratico rispetto a guerre interne.
Tuttavia, l'attuale condizione dell'assetto europeo ed il fallimento dell'affermazione del metodo democratico all'interno degli Stati, riconduce a sostenere che una totale condanna alla violenza non è realizzabile nè auspicabile.