Quali sono state le motivazioni che hanno spinto Kant a interessarsi di metafisica, dopo aver affrontato argomenti nettamente scientifici, come la matematica, la fisica e l'astronomia?
Kant voleva dimostrare che la teologia non poteva avere nulla di scientifico e pensava che il modo migliore per farlo fosse quello di affrontare la metafisica al suo interno. Fino al 1760 (l'anno della Dissertazione che gli permetterà di diventare docente universitario) Kant era arrivato alla conclusione che la materia è dotata di automovimento, basato sui contrari che si attraggono e si respingono. Ma questo non gli bastava: voleva applicare questa tesi alla metafisica in quanto tale, soprattutto a quella dei razionalisti, per i quali la conoscenza è basata sulle cosiddette "idee innate", che dio ha dato all'uomo.
Già nella Dissertazione aveva detto che non serve parlare di "idee innate": al loro posto è sufficiente parlare di categorie a priori come lo spazio e il tempo, che permettono di formulare dei giudizi scientifici senza dover chiamare in causa spiegazioni religiose.
Tuttavia la metafisica a sfondo religioso viene completamente smontata con la sua opera principale: la Critica della ragion pura(1781). La "ragion pura" è appunto la metafisica religiosa, quella che o presume di non aver bisogno di dimostrazione per essere creduta vera o si avvale di dimostrazioni di tipo tautologico, in quanto si dà per scontato ciò che invece si deve dimostrare.
All'inizio Kant aveva pensato di criticare i razionalisti (Cartesio, Leibniz, Spinoza...) servendosi degli empiristi inglesi (Locke, Hume, Hobbes...), ma poi si rese conto che l'empirismo, facendo dell'uomo una tabula rasa, portava allo scetticismo o al relativismo di ogni conoscenza. Dunque se per i razionalisti era impossibile non essere credenti, a meno che non si fosse ignoranti circa le proprie "idee innate" o in malafede (il che non voleva dire esserlo per forza secondo la teologia ufficiale: i razionalisti sono in genere soltanto "deisti"); per gli empiristi invece, dal punto di vista logico e gnoseologico, si dovrebbe essere atei, in quanto non esistono "idee innate" (lo dimostra che ogni civiltà s'è data una propria rappresentazione di dio), e se anche esistono credenti che lo sono sul piano emotivo, in tutta buona fede, essi non dovrebbe usare la loro religione come un'occasione d'intolleranza verso chi la pensa diversamente, anzi, dovrebbero proporre la loro religione come un fenomeno umanamente accettabile e comprensibile.
Kant cerca una via di mezzo e pensa di averla trovata là dove elabora una sorta di "apriorismo non religioso", secondo cui è possibile formulare giudizi aventi carattere di necessità e di universalità. In tal modo egli vuol far capire che non si può essere credenti o atei senza prima aver fatto un ragionamento elaborato sulle condizioni preliminari che permettono di credere o di non credere.
Dunque questo apriori più che un'idea è una sorta di forma o di funzione trascendentale (in quanto prescinde dall'esperienza), che possiamo semplicemente intuire o percepire (non dimostrare), e che si esplica soltanto rielaborando i dati dell'esperienza.
Le forme trascendentali sono di tre tipi:
- della sensibilità: lo spazio e il tempo, trattate nella sezione dell'estetica trascendentale, su cui si fonda, come scienza, lamatematica (suddivisa in geometria o intuizione di spazio, e aritmetica o intuizione di tempo); e fin qui nulla di diverso dai razionalisti e dagli empiristi (attenzione che "estetica" non vuol dire "scienza del bello" ma "intuizione sensibile");
- dell'intelletto, trattato nell'analitica trascendentale, che si avvale di categorie pure, le quali fondano la fisica come scienza, in accordo coi razionalisti ma in disaccordo con gli empiristi, per i quali non ci può essere corrispondenza tra idee e cose ma solo tra idee e idee (per convenzione);
- della ragione, trattato nella dialettica trascendentale, in cui Kant smonta la pretesa scientificità della metafisica, allineandosi con gli empiristi.
Ma prima di vedere quest'ultima sezione, la più importante, torniamo alla seconda, spiegandola con un esempio. Le categorie pure elaborate da Kant sono dodici, divisibili in quattro gruppi: quantità, qualità, relazione, modalità, ognuna delle quali è ulteriormente suddivisibile. Sono categorie che servono per interpretare i fenomeni, non coincidono esattamente con l'essere, come invece voleva Aristotele (per Kant l'essere resta indefinibile).
La tabella proposta da Kant è la seguente:
- quantità: universali, particolari, singolari
- qualità: affermativi, negativi, infiniti
- relazione: categorici, ipotetici, disgiuntivi
- modalità: problematici, assertori, apodittici.
L'esempio è questo: "la ruggine corrode il ferro". Ebbene qui si esprime un giudizio universale per la quantità, in quanto qualunque ferro, a prescindere dal peso, dal volume, dallo spazio e dal tempo, se viene attaccato dalla ruggine, si corrompe; èaffermativo per la qualità, poiché sicuramente il ferro si corrompe se viene attaccato dalla ruggine (cosa che non succede con l'oro o con l'argento); è ipotetico per la relazione, poiché è solo il rapporto esistente tra ferro e ruggine che rende il ferro corrompibile, ma la cosa potrebbe essere evitata usando sostanze proteggenti; è assertorio per la modalità, in quanto se la ruggine intacca il ferro lo rende inevitabilmente corrompibile (il giudizio è assertorio in quanto esprime una verità di fatto, mentre la verità di diritto è espressa dal giudizio apodittico). Bisogna dunque vedere su quale dei tre termini: "ruggine, corrode, ferro", si vuole soffermare la propria attenzione.
Ma com'è possibile emettere dei giudizi così precisi su ogni fenomeno? Lo fa l'uomo col suo cervello, definito "io penso" o "appercezione trascendentale". E' l'uomo il legislatore della natura, perché dà ordine e senso alle cose.
Tuttavia, proprio su questo punto Kant fa un'ammissione che costituisce il suo agnosticismo di fondo, che vuole porsi come "terza via" fra il teismo dei razionalisti e l'ateismo degli empiristi. Egli afferma che l'io penso è in grado di conoscere e interpretare tutti i fenomeni, ma questo non vuol dire che non esista una sorta di "cosa in sé" (detta anche "noumeno"), esterna all'uomo, e che, in certo senso, va al di là della molteplicità dei fenomeni. Ebbene, se anche questo "noumeno" esiste ed è persino possibile identificarlo con dio, va detto tuttavia che di esso non possiamo avere alcuna esperienza sensibile, per cui resta razionalmente inconoscibile e non possiamo quindi definirlo scientificamente.
Quindi in sostanza quando Kant dice che è possibile l'esistenza di una "cosa in sé" esterna all'uomo (a lui indipendente), appare empirista o materialista, ma quando paragona questa "cosa in sé" a dio o, in ogni caso, quando dice ch'essa è inconoscibile, in quanto la si può soltanto intuire, diventa in un certo senso "idealista", anche se nella forma "agnostica", quella in cui il giudizio viene "sospeso", in quanto il "noumeno" è solo un concetto-limite, oltre il quale non è possibile andare.
Ora torniamo alla dialettica trascendentale. Per smontare la pretesa scientificità della metafisica religiosa, Kant prende in esame le tre fondamentali "prove teologiche" elaborate nel corso della storia della chiesa e che i razionalisti condividono:
- l'idea psicologica che postula l'esistenza di un'anima all'interno di un corpo, facendola coincidere con la facoltà del pensare, secondo Kant è un paralogisma (un falso ragionamento), in quanto si passa arbitrariamente da un ordine logico a uno ontologico;
- l'idea cosmologica, secondo cui l'infinità dell'universo porta a credere nell'esistenza di un dio onnipotente, non ha senso poiché dell'universo possiamo dire tutto e il suo contrario, cioè p.es. che ha avuto un inizio ed è limitato nello spazio, ma anche che è eterno e infinito; che i suoi oggetti, se si scompongono, si riducono a cose semplici, ma anche che la scomposizione è infinita; che nell'universo possono esistere aspetti casuali o frutto di libertà, ma anche assolutamente determinati da leggi di natura; che esiste una causa originaria del tutto, ma anche che può esistere l'autocreazione della materia;
- l'idea teologica, secondo cui si può dimostrare l'esistenza di un dio assoluto attraverso le tre classiche prove:
a) argomento ontologico, secondo cui dio è ciò di cui non si può pensare esista nulla di più grande: Kant lo considera arbitrario in quanto si vuole passare dalla gnoseologia all'ontologia in maniera logica, quando in realtà si può avere il concetto di qualunque cosa senza per questo poter sostenere che sia effettivamente esistente (p.es. un ippogrifo o un minotauro);
b) argomento cosmologico, secondo cui da un effetto così enorme come l'universo si deve per forza passare a una causa prima che gli sia adeguata, e quindi a un dio: Kant lo considera illogico in quanto non si può arrivare a sostenere con certezza l'esistenza di qualcosa che per noi umani non ha avuto alcun inizio e che ha fatto iniziare tutto; al massimo si può ipotizzarne la presenza, ma senza poter avere la certezza della sua esistenza, che va al di là delle facoltà umane;
c) argomento fisico-teleologico, secondo cui le cose nell'universo non potrebbero coesistere in maniera così ordinata tra loro, secondo leggi necessarie, se qualcuno non le avesse create così. Questa conclusione - dice Kant - non è dimostrabile, poiché non si può dedurre con certezza che dalle leggi dell'universo si possa passare a un legislatore. L'universo non necessariamente va visto come un orologio costruito da un orologiaio. Nulla ci vieta di credere che in realtà esso sia sempre esistito.
Oggi si evita di dire che dio esiste sulla base di "prove", poiché si è capito che queste prove, di per sé, non dimostrano nulla in senso logico-razionale. Venuta meno questa pretesa, si è smesso di argomentare in senso contrario, al fine di smontare quelle pseudo-prove: semplicemente si vive come se dio non esistesse. Il problema della sua eventuale esistenza o inesistenza viene rimandato a data da destinarsi, per cui non è indispensabile interpretare la realtà a partire da un'ipotesi religiosa (nessun filosofo illuminista l'avrebbe mai fatto), né stabilire dei comportamenti sulla base di tale ipotesi.
Ovviamente la posizione ateistica vera e propria resta opposta a quella teistica, per cui un ateo non solo non potrebbe posticipare la soluzione del problema dell'esistenza o inesistenza di dio, ma pretende, da subito, di sostenere che non può esistere alcun dio onnipotente e onnisciente in grado di condizionare l'esistenza umana e la libertà di cui è dotata. Se nell'universo esiste qualcosa di cui ancora non conosciamo tutte le caratteristiche, essa non può essere qualitativamente superiore all'essenza umana, poiché qualunque cosa le fosse qualitativamente superiore, finirebbe col negarla.
Resta comunque strano che Kant non abbia visto alcuni aspetti di ateismo nello stesso razionalismo e persino nella stessa scolastica (i primi indizi sono rinvenibili nella discussione accademica sulla questione degli "universali", laddove i cosiddetti "nominalisti" appaiono come degli "empiristi" ante-litteram). L'inizio dell'ateismo moderno (borghese) va fatto risalire a Cartesio, con la sua stessa definizione Cogito, ergo sum. Sostanzialmente non aveva capito che le concessioni fatte dai razionalisti alla teologia erano più che altro formali: servivano da paravento per poter continuare a sviluppare le proprie idee agnostiche o addirittura ateistiche. Probabilmente Kant ha evitato di affrontare l'argomento in termini diretti per non essere espulso dall'insegnamento universitario, come già era successo a Wolff prima di lui e come succederà a Fichte dopo di lui. Lui stesso, assumendo un atteggiamento più possibilista che radicale, sapeva di potersi sottrarre più facilmente a provvedimenti di tipo disciplinare, che comunque, nell'arco della sua carriera, non mancarono (vedi l'ammonizione del re Federico Guglielmo per il volume La religione dentro i limiti della pura ragione).
Fonti
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- Kant Immanuel, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, 2009, Carabba
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- Kant Immanuel, La religione entro i limiti della sola ragione, 2004, Laterza
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- Kant Immanuel, Il metodo nel pensiero, 2002, Canova Ediz. Scuola e Cultura
- Kant Immanuel, Per la pace perpetua, 2004, Armando Editore
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- Kant Immanuel, Antropologia pragmatica, 2009, Laterza
- Kant Immanuel, Scritti di filosofia della religione, 1989, Mursia (Gruppo Editoriale)
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- Kant Immanuel, Annotazioni alle osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, 2002, Guida
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