Lungi da me l'idea di contestare i tuoi principi, ma allo stesso modo in cui posso rispettali pur non condividendoli trovo corretto che la cosa sia reciproca.
Prendiamo ad esempio le terapie antidolorifiche alle quali hai accennato.
Esse possono avere una efficacia relativa, sia nella capacità di lenire un dolore atroce sia nella durata nel tempo di tale efficacia.
Non è una critica ma una constatazione che ho provato sulla mia pelle, e ne avrei volentieri fatto a meno.
Tre mesi senza chiudere occhio per il dolore nonostante le continue iniezioni di antidolorifici, puoi informarti con qualsiasi ortopedico sul dolore che porta la frantumazione in più pezzi (sette pezzi l'omero sinistro, quattro quello destro) di due articolazioni collegate, e costui si farà il segno della croce o si toccherà i testicoli in gesto di scongiuro oppure toccherà ferro, nove chili persi, impossibilità i afferrare qualsiasi cosa, di vestirsi, di spogliarsi, persino di mangiare o di bere senza qualcuno che ti aiuti, fino all'impossibilità di slacciarsi i pantaloni per andare in bagno o di afferrare la cornetta del telefono.
Sono cose che è difficile comprendere da parte di chi non le ha vissute, si può dare corda alla propria immaginazione, ma la realtà in questi casi è infinitamente peggiore.
Ma la mia era una situazione temporanea, lo sapevo, anche se ogni giorno sembrava durare mesi, invece il tutto è durato poco più di un anno, circa quindici mesi. Quindici mesi durante i quali ho assaporato il dolore, le umiliazioni, le lacrime, le rinunce forzate, e la mia ex mogie che ha lasciato la nostra casa perché non se la sentiva di badare ad un invalido, quindici mesi nei quali non ho potuto vedere la mia bambina.
E se invece fosse durato tutta la vita? Se per i successivi cinque, dieci, venti o più anni avessi dovuto convivere con dolori lancinanti ed impossibilità di movimento?
Prova ad immedesimarti dentro un corpo impossibilito a muoversi, non puoi mangiare quando hai fame, non puoi bere quando hai sete, devi urinare e defecarti addosso senza nessuno che provveda a cambiarti il pannolone, pascere tra i tuoi escrementi per ore roso dalla fame e dalla sete e stretto nella morsa di atroci dolori fisici.
Sarebbe un giorno da incubo.
Prova a moltiplicare questo giorno per mesi e per anni, fino all'ultimo giorno della tua esistenza e dimmi in cosa tale situazione si differenzia da quell'inferno che tanti temono.
Potresti affermare che saresti disposto ad accettare tali sofferenze in nome della tua fede, e questo rientra trai tuoi sacrosanti diritti che non mi permetterei mai di limitare o contraddire.
Ma se fossero altri a vivere tali situazioni?
Se fossero altri a subire quotidianamente tali sofferenze senza speranza alcuna di guarigione?
Potrebbero assumere scelte analoghe a quelle che presumi prenderesti tu (dico che lo presumi solo perché nessuno può avere la certezza delle proprie reazioni senza dove vivere concretamente le situazioni alle quali queste verrebbero applicate, e l'ipotizzare ha sempre dei limiti) così come potrebbero assumere scelte diverse.
Ora, se io fossi un cattolico osservante potrei sentirmi in diritto di imporre i miei dogmi, le mie scelte, le mie convinzioni a chi, pur condividendoli, non ha più la forza o la volontà di accettarne il prezzo?
Il dolore fisico, la sofferenza oltre i limiti della propria sopportazione del dolore sono qualcosa che solo chi li prova sulla propria pelle può ben comprendere, ed oltre un certo limite ogni azione diventa lecita, dall'omicidio dettato dall'esasperazione, come accaduto in vari casi di coppie di coniugi in crisi permanente, all'antropofagia, come accaduto negli anni settanta ai sopravvissuti di quell'aereo precipitato sulle Ande. Possiamo realmente comprendere ciò che non conosciamo in prima persona fino al punto di poterlo anche giudicare?