Li vado facendo da parecchi anni sotto la scorta di molti nemici e carabinieri dottrinali, in compagnia di pochi eretici amici. Voglio renderne conto qui prima di tutti a me stesso, poi a quei miei compagni di destino che non credono terminate alle Alpi le frontiere del mondo.
Sarò chiaro, semplice, sincero e, poi che i libri mi mancano, procederò per chiaroscuri senza i famosi “abiti professionali” e i non meno famosi “sussidi di note”.
Intanto chi sono.
Sono un socialista.
Un socialista che, malgrado sia stato dichiarato morto da un pezzo, sente ancora il sangue circolar nelle arterie e affluire al cervello. Un socialista che non si liquida né con la critica dei vecchi programmi, né col ricordo della sconfitta, né col richiamo alle responsabilità del passato, né con le polemiche sulla guerra combattuta. Un socialista giovane, di una marca nuova e pericolosa, che ha studiato, sofferto, meditato e qualcosa capito della storia italiana lontana e vicina. E precisamente ha capito:

I. Che il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale, e in secondo luogo trasformazione materiale.

II. Che, come tale, si attua sin da oggi nelle coscienze migliori, senza bisogno di aspettare il sole dell’avvenire.

III. Che tra socialismo e marxismo non v’è parentela necessaria.

IV. Che anzi, ai giorni nostri, la filosofia marxista minaccia di compromettere la marcia socialista.

V. Che socialismo senza democrazia è come volere la botte piena (uomini, non [1] servi; coscienze, non numeri; produttori, non prodotti) e la moglie ubriaca (dittatura).

VI. Che il socialismo, in quanto alfiere dinamico della classe più numerosa, misera, oppressa, è l’erede del liberalismo.

VII. Che la libertà, presupposto della vita morale così del singolo come delle collettività, è il più efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo.

VIII. Che la socializzazione è un mezzo, sia pure importantissimo.

IX. Che lo spauracchio della rivoluzione sociale violenta spaventa ormai solo i passerotti e gli esercenti, e mena acqua al mulino reazionario.

X. Che il socialismo non si decreta dall’alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura.

XI. Che ha bisogno di idee poche e chiare, di gente nuova, di amore ai problemi concreti.

XII. Che il nuovo movimento socialista italiano non dovrà esser frutto di appiccicature di partiti e partitelli ormai sepolti, ma organismo nuovo dai piedi al capo, sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa della libertà e del lavoro.

XIII. Che è assurdo imporre a così gigantesco moto di masse una unica filosofia, un unico schema, una sola divisa intellettuale.

Il primo liberalismo ha da attuarsi all’interno.
Le tesi sono tredici.
Il tredici porta fortuna.
Chi vivrà vedrà.

Carlo Rosselli, Socialismo liberale, introduzione e saggi critici di Norberto Bobbio, nuova edizione, Einaudi, Torino 1997.

[1] Socialismo senza democrazia significa fatalmente dittatura, e dittatura significa uomini servi, numeri e non coscienze, prodotti e non produttori, e significa quindi negare i fini primi del socialismo.