Non sono una grande tifosa della maternità e detto schietto trovo che sia sacrosanto evitare che i bambini entrino in alcuni locali, anzi, ad alcuni bambini non dovrebbe proprio essere concesso mettere piede fuori dalla propria casa, per dirla tutta.
Si, è un problema di educazione, ma anche di spazio, e di giusto desiderio di non vedersi scorrazzare dei nani urlanti in luoghi che non sono adatti a loro.
Sinceramente entrereste mai al Ritz in ciabatte e accappatoio di spugna? O al Carlton in braghette di tela e barba di tre giorni? No, perché non è luogo, non è il caso, non si fa.
E i bambini non sono da meno: sono la barba di tre giorni, sono le braghette di tela, sono le ciabatte della vita. Roba che non va bene per tutti i posti.
Non c’è nulla che li elegga a individui meravigliosi, nulla.
Nei Croods, un cartone della Disney, c’è una frase geniale che recita:Animali che non si mangiano? Noi li chiamiamo bambini.È così. Nulla di più. Sono animali che non si mangiano, ma che fagocitano la tranquillità. Fanno casino, è un dato di fatto. A tavola resistono si e no una quindicina di minuti e relegarli a una sedia è come metterli seduti su una stufa. Prima o poi si accende la miccia.
Un locale che non vuole bambini è semplicemente un posto che vi dice la verità: non sono i benvenuti.
Quando hai figli piccoli spesso finisci a cercare luoghi spaziosi, ti sinceri prima di prenotare che abbiano seggioloni in abbondanza e posteggi carrozzine larghi come un intero silos della Coop. Ci sono locali fatti apposta con intere aree gioco attrezzate dove annegarli tra palline di plastica e scivoli ripidi.
Hanno a disposizione un armamentario di giochi per suicidi assistiti in gommapiuma. Posti meravigliosi dove noi genitori riprendiamo fiato e riusciamo a sfamarci chiacchierando addirittura – pensa un po’ – con gli altri al tavolo con noi.
Uno che non ha figli entrerebbe mai in un cordiale girone dell’inferno fatto così? No.
È selezione naturale all’ingresso.
Io come madre sarei la prima cliente di un locale che non vuole bambini. Ci pensate? Un approdo felice dove non sentir dire mamma nemmeno una volta. Niente pianti, niente capricci, niente parole smozzicate, giocattolini o passeggini. Niente bambini. Per due ore, il tempo di un buon pasto, la pace assoluta.
Perché anche se non ci portiamo i nostri di figli, automaticamente ci viene da assistere quegli degli altri. Lo butti sempre un occhio per vedere che i nani sguinzagliati da altre coppie non si conficchino una forchetta nel bulbo oculare. È un fattore di responsabilità acquisita. Di ansia indotta. Di orrenda abitudine genitoriale. Fai tu quello che gli altri non fanno. Il controllo del branco. Finisci a passare la serata in ansia a guardare i bambini che gli altri non guardano.
È un istinto malsano. Te ne liberi solo se non ci sono. O meglio: se non ce n’è nessuno.
Quindi non urlate al mostro se trovate i locali che dicono schiettamente che non sono adatti ai vostri figli. Ai nostri figli.
E se mi dite che sbaglio, allora entrate al Carlton in braghette e ciabatte. Voglio proprio vedere come vi accolgono. E con che faccia infilerete la porta.
I locali childfree e il sacrosanto diritto di odiare i bambini - Valentina Maran