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  1. #1
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Thread tematico di tipo storico

    Discussioni basate sulle esperienze novecentesche che, pur non ispirandosi al marxismo-leninismo, hanno cercato di indicare una via socialista "altra".

    PS: Nessun richiamo al terzoposizionismo fascista e tedesco.
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  2. #2
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Interessante articolo (anche se non condivido tutto)

    Un socialismo del XXI secolo?

    [COLOR=rgba(0, 0, 0, 0.701961)]Pubblicato il 14 dicembre 2014 · in AlfaDomenica · 3 Commenti[/COLOR]

    Lelio Demichelis
    Forse la sinistra non ha più il vento della storia che soffia nelle sue vele, come dice il titolo dell’ultimo libro di Franco Cassano. Forse davvero la lotta di classe è finita con il crollo del Muro di Berlino, perché la guerra contro il demos e i diritti dell’uomo e del cittadino, la guerra di posizione per la conquista dell’egemonia l’ha vinta il capitalismo. Forse le sinistre si sono illuse di poter creare un socialismo (magari anche un poco anarchico e libertario) via rete, dove invece trionfa l’ideologia della condivisione di tutti con tutti e con il tutto della rete: rete capitalista all’ennesima potenza.
    Forse l’errore (un errore intellettuale e culturale, prima che politico) di un certo socialismo è stato quello di credere che il capitalismo potesse essere democratizzato, o che bastasse stipulare un soddisfacente matrimonio di interessi tra capitale e lavoro per controllarne gli spiriti animali. Forse l’errore (un altro) della sinistra è stato quello di pensare che si potesse vincere grazie ad una coscienza di classe forte, quando invece il capitalismo ha nella sua logica di funzionamento proprio la dissoluzione, lo scioglimento (attraverso la de-socializzazione, la falsa individualizzazione, i falsi bisogni che continuamente crea, l’industria culturale e del divertimento che incessantemente distrae e diverte) di ogni legame e di ogni coscienza (anche) di classe contraria al proprio funzionamento. Un capitalismo che è ormaiapparato autopoietico: che cioè in se stesso e per se stesso ha la fonte e l’essenza della propria legittimazione e della propria riproducibilità infinita, capace di superare anche le contraddizioni che incessantemente crea, perché il capitalismo è una potentissima macchina di organizzazione ma soprattutto di socializzazione.
    Dunque, dal capitalismo non si esce. La sua pedagogia ha ormai vinto, ha creato il suo uomo nuovo e i nuovi eroi sono gli imprenditori, appunto perché oggi ciascuno non è più persona ma solo capitale umano e imprenditore di se stesso, cioè non deve in alcun modo esseresoggetto capace di individuazione e di soggettivazione, ma solo oggetto economico a produttività crescente e quindi assoggettato/integrato al capitalismo.
    E invece si deve uscire da questa macchina autoreferenziale e bisogna farlo in fretta pena la dissoluzione definitiva della società (e la sua trasformazione in mercato), dell’ambiente naturale, dell’uomo/cittadino capace di saper/poter essere in-comune (non in comunità) con gli altri. Se il socialismo è nato nell’Ottocento, se è arrivato al potere nel Novecento in diverse forme ovvero, e semplificando: totalitarismo comunista o socialdemocrazia e/o welfare state europeo, ma se nel Novecento è forse anche morto, si può immaginare di resuscitarlo nel XXI secolo partendo magari da quella che era una periferia del mondo come l’America Latina? E poi, perché questa morte? A parte la vecchia e politicamente imbarazzante Unione sovietica, la sinistra europea è morta per proprio suicidio politico e culturale, accettando il neoliberismo (da Blair a Matteo Renzi) convinta che flessibilità, rete e globalizzazione fossero sinonimi di modernità e che quello fosse il giusto vento della storia.
    Agli occhi di molti occidentali e di parte delle sue sinistre oggi allo sbando (perché cieche davanti alla realtà), la rivoluzione cittadina di Rafael Correa in Ecuador è sembrata un modello virtuoso, l’ultima speranza a cui aggrapparsi assieme a quella di altri (e comunque non omogenei) spostamenti a sinistra avvenuti in America Latina dall’inizio del nuovo millennio. Salita al potere dopo un ampio lavoro culturale e in forma pacifica e democratica, la rivoluzione ha elaborato una Costituzione detta di Montecristi (dal nome della località dove è stata discussa e approvata) tra le più avanzate del mondo quanto a riconoscimento dei diritti individuali, sociali, ambientali e civili, ma anche dei diritti di identità e di autonomia delle minoranze etniche oltre che di definizione di forme nuove di partecipazione democratica.
    Un modello nuovo, per un socialismo del XXI secolo? Forse la realtà e la verità dei fatti dicono qualcosa di diverso. Carlo Formenti, in questo suo nuovo, documentatissimo e riflessivo libro a confine tra reportage e pamphlet (Magia bianca, magia nera – Jaca Book 2014) – esito di un seminario universitario e di una prolungata permanenza in Ecuador - prova a rompere l’illusione di questa rivoluzione che da subito (ancora!) ha cominciato a divorare i suoi figli e molti suoi padri se hanno ragione le opposizioni di sinistra che contestano il regime di Correa per avere imboccato una via tecnocratica, di preferire la magia nera del petrolio alla magia bianca del buen vivir e di preferire la modernizzazione via capitalismo (sia pure temperato) alla cultura tradizionale indigena fatta di cooperazione e di solidarietà comunitaria e di armonia tra uomo e natura. Scrive Formenti: “Ho dovuto prendere atto che l’etichetta di socialismo del XXI secolo è troppo generosa (perlomeno nel caso ecuadoriano) nei confronti di governi che, nella migliore delle ipotesi, possono essere definiti populisti di sinistra o post neoliberisti”. Con movimenti indigeni e nuovi movimenti sociali che “esprimono oggi un’amara delusione per le promesse non mantenute”.
    Partiamo dal concetto di buen vivir. L’occidente ha creato la società del benessere (ben-essere), in realtà confondendo (Fromm) l’avere con l’essere. E questo sembra essere l’esito inevitabile di ogni via al capitalismo. Replicato in Ecuador dove i ceti medi, un tempo alleati delle culture indigene contro il neoliberismo, sono oggi su posizioni maggioritarie (il consenso populista di Correa) mentre gli indigeni sono tornati emarginati e minoritari. Buen vivir: vivere bene. Concetto affascinante, ma anche concetto passpartout, o sincretista: una vita dignitosa, anche se un poco austera; comunitaria; con forti valenze ambientali e spirituali; avvicinabile per alcuni al concetto occidentale di benessere (pur presentandosene come una variante), o di sviluppo come pure a bene comune e decrescita. Tutto e il contrario di tutto. Ma anche, scrive Formenti “riflesso di un rapporto di forza fra classi sociali, perché la posta dell’egemonia si gioca proprio nel rapporto fra movimenti indigeni e classi medie”. Con nuove élite e nuove classi dirigenti.
    E poi: populismo, cui Formenti dedica pagine importanti. Macchina politica che personalmente consideriamo pericolosissima per la democrazia e la libertà (e la cittadinanza). Populismo: fenomeno di destra, oggi soprattutto di sinistra? Involuzione delle rivoluzioni antiliberiste ma incompiute in America Latina? Ha forse ragione il filosofo franco-argentino Ernesto Laclau a sostenere che il populismo è la sola logica politica possibile nel contesto attuale perché il popolo possa costruirsi in forma egemonica, con una volontà collettiva che trascenda le identità particolari, facendosi (gramscianamente) popolo (e non la classe operaia) che diventa Stato? Quello Stato – ancora Laclau – che, dopo la fase espansiva dei movimenti deve guidare dall’alto i processi per evitare derive corporative? L’idea di Laclau, scrive Formenti con ragione, è insoddisfacente. Come quella di Negri e le sue moltitudini. E dunque?
    Per Formenti non basta tornare ad una visione marxista classica, ma prima occorre procedere ad una analisi dettagliata della composizione di classe che ha consentito lo sviluppo di questi movimenti rivoluzionari. E capire verso dove si sposta l’egemonia: “Se pende dalla parte dell’antagonismo indigeno nei confronti della civiltà capitalista, vince la magia bianca; se viceversa pende dalla parte dell’incivilimento del capitalismo attraverso il rafforzamento dei diritti individuali, vince la magia nera”. Resta il problema se ilcomunitarismo indigeno (o il suo marxiano comunismo primitivo) possa essere davvero anticapitalista e rappresentare una autentica magia bianca; mentre siamo convinti che i diritti individuali, se veri e capaci – come dovrebbero - di produrre soggettivazione e cura di sé e quindi anche degli altri non possano e non debbano essere associati inesorabilmente al capitalismo.
    E dunque? Meglio lasciare l’Ecuador di Correa e andare nella Bolivia di Morales, simile ma molto diversa (ad esempio, per la sua composizione sociale)? Conclude Formenti: “Non intendo eleggere Evo Morales a eroe della rivoluzione mondiale né, tanto meno, voglio presentare il suo regime come un modello universale per la sinistra. Sono consapevole delle contraddizioni che lo caratterizzano (…). Ciò detto, mi pare giusto riconoscere che si tratta di un processo politico che, in ragione della forma che si è dato, appare tuttora aperto a un’evoluzione in senso socialista”.
    Carlo Formenti
    Magia bianca, magia nera
    Jaca Book (2014), pp. 116
    € 12.00

    FONTE: https://www.alfabeta2.it/2014/12/14/...o-impossibile/


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  3. #3
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Il PERONISMO (o Giustizialismo)

    Il justicialismo è un sistema di pensiero politico formatosi in Argentina negli anni ’40 ad opera del generale Juan Domingo Perón (1895-1974): quand’era ancora colonnello era stato in Italia ed era rimasto colpito dagli esperimenti e dalla dottrina sociale fascisti.
    Juan Domingo Peron

    Il fenomeno nasce nel 1943, con il colpo di stato che dà luogo alla formazione di un governo militare in cui Peron ricopre la carica di Ministro del Lavoro. Ma le sue origini vanno ricercate più indietro: nella struttura della società argentina, retta da un’oligarchia di cui fanno parte i grandi allevatori e i commercianti di carne con un proletariato rurale impiegato nell’allevamento, un proletariato urbano in crescita e una classe media urbana, nel quadro di un’economia fortemente caratterizzata dalla presenza di capitali britannici e nord-americani (circa il 50% delle industrie è in mano a capitali stranieri) e con fenomeni di migrazione interna e dall’Europa, che ne arricchiscono la complessità e ne mettono in discussione, insieme alla grande crisi del 1929, gli equilibri interni.Lo scontro politico storico è quello tra i conservatori, espressione dell’oligarchia, e i radicali, espressione dei ceti medi urbani. L’industrializzazione e l’immigrazione hanno però favorito lo sviluppo, soprattutto nelle aree urbane, del partito socialista e di un movimento sindacale che si esprime in tre centrali sindacali: una anarchica, una anarco-sindacalista, e una socialista. Esiste fin dal 1915 anche un partito comunista che ha una propria organizzazione operaia la cui influenza si sviluppa soprattutto tra i lavoratori edili.
    Nel settembre 1930 il colpo di stato del gen. Uriburu, aveva già messo fine allo stato liberale. Il modello è quello di una società corporativa e autoritaria con venature populistiche, ispirato al modello fascista italiano. Il golpe è ispirato dall’oligarchia, ma segna comunque la fine dell’equilibrio tra questa e i ceti medi radicali.
    Il ritorno alla democrazia avviene nel 1932 a vantaggio dei conservatori e a spese degli altri partiti.
    Il golpe militare del 1943 sostenuto da ufficiali progressisti, di cui lui faceva parte, destituì un governo argentino che era controllato dall’oligarchia conservatrice borghese e che mirava ad un atteggiamento favorevole alle potenze alleate nella guerra che era in corso. Ricordiamo che quelle stesse potenze detenevano il 50% del mercato argentino. Avendo avuto nel nuovo regime la responsabilità delle politiche del Ministero del Lavoro, avviò una serie di significative misure a difesa della classe lavoratrice: creazione dei tribunali del lavoro, stipula di contratti collettivi di lavoro, aumenti salariali, indennità di licenziamento, statuti del bracciante agricolo e del giornalista, regolamentazioni delle associazioni professionali, unificazione del sistema di previdenza sociale, pensioni, creazione dell’ospedale per i ferroviari, scuole tecniche per operai, proibizione di agenzie di collocamento private.
    Nondimeno l’Argentina è in una situazione di forte crescita economica favorita dal fabbisogno di carne delle nazioni europee sconvolte dal conflitto e dallo spostamento della produzione industriale in aree pacifiche. Una situazione che sviluppa le richieste operaie e consente risposte positive da parte dei poteri economici. In questa veste Peron si lega alla C.G.T. 2 (il sindacato autonomista), con una politica di discriminazioni verso i settori sindacali incontrollati e di concessioni verso quelli più addomesticati. Ma complessivamente i lavoratori ottengono nel periodo 1943-1945 quanto avevano richiesto nelle lotte degli anni precedenti: la giornata diotto ore, le ferie pagate, l’indennizzo in caso di incidenti, l’estensione del sistema pensionistico, lo statuto dei giornalieri e miglioramenti retributivi.
    Le condizioni della classe operaia e bracciantile argentina cambiarono a tal punto che a causa della sua popolarità il governo allarmato, e spinto dall’oligarchia, lo fece arrestare nell’ottobre del ’45 (allora era vicepresidente della repubblica, ministro della difesa, segretario al lavoro).
    La colossale mobilitazione di popolo promossa dai sindacati peronisti costrinse la dittatura a rimettere in libertà Perón ed a garantire libere elezioni. Perón scelse quindi di correre da solo alle elezioni formando un partito Laburista. Una marea di Argentini davanti alla Casa rosadain Plaza de mayo a Buenos Aires gridava a ripetizione: «Queremos a Perón!!!». Il quale il 17 ottobre (celebrato nel peronismo come el día de la lealtad) parlò dal balcone del palazzo presidenziale rassicurando tutti. Le elezioni si tennero nel febbraio del ’46 (il sistema amministrativo argentino ricalca quello statunitense): a suffragio maschile vinse Perón, senza brogli, per circa 1.500.000 voti contro 1.200.000. Aveva avuto contro uno schieramento di partiti che andava dalla sinistra alla destra, sostenuto dagli USA e dagli Inglesi che perderanno il controllo economico e politico dell’Argentina.
    A questi fenomeni si accompagna la sapiente gestione dell’immagine di Peron, imperniata sul ruolo della moglie Evita Duarte, già intrattenitrice radiofonica di umili origini, dotata di carisma e di capacitàcomunicativa che ne fanno la Madonna dei “descamisados”, la sua fondazione: laFUNDACIÓN EVA PERÓN, diretta da Evita stessa, operò meritevolmente su vasta scala persollevare gli indigenti dal bisogno producendo molto: costruzione di ospedali, asili, scuole, colonie di vacanza, abitazioni, strutture di accoglienza per bambini, donne nubili, impiegate, anziani; promozione della donna, scuole per infermiere; borse di studio, sport per i giovani; aiuti alle famiglie più povere; etc. Tra l’altro, la fondazione fornisce aiuti economici al neonato stato d’Israele, e la visita ufficiale del ministro del lavoro israelianoGolda Maier nel 1951 dimostra che l’Argentina non abbia mai avuto politiche antisemite, nonostante abbia accolto ex nazisti in fuga che però non hanno dato nessun condizionamento al peronismo.
    Eva Péron

    Perón continuò ad attuare un programma che diede tanti risultati: nazionalizzazioni di servizi pubblici (ferrovia, telefonia, servizi del gas, etc.) e gestione statale del commercio estero in modo da liberarsi da condizionamenti stranieri; nazionalizzazione della banca nazionale e divieto di esportare i capitali per difendere lo sviluppo economico interno; case, infrastrutture (reti idriche e fognarie, etc.);politiche sanitarie (assistenza gratuita, aumento dei posti letto, campagne mediche contro malattie); diminuzione della mortalità infantile ed innalzamento del periodo medio di vita; comparsa della televisione, gratuità dell’istruzione, abolizione delle tasse universitarie, creazione dell’Università operaia, aumento del tasso di scolarizzazione; aumenti salariali, partecipazione agli utili d’impresa da parte dei lavoratori, periodi di vacanza per le loro famiglie a carico dello Stato; riforma agraria; politiche contro la disoccupazione; pensioni; etc.
    Nel justicialismol’economia è strumento del benessere collettivo e perciò deve sottostare al controllo ed alla regolamentazione pubblici pur rimanendo in una condizione di libero mercato. Questa si proponeva come una terza via tra il capitalismo ed il socialismo, proprio sul modello del fascismo italiano che Juan Domingo Peron conobbe mentre prestava servizio in Italia negli anni ’30 e i cui principi fondamentali da lui scelti furono:
    • giustizia sociale, impostata non sulla lotta di classe, bensì sulla collaborazione tra le classi sociali all’interno del corpo statale;
    • indipendenza economica del paese dai monopoli internazionali;
    • terzaposizionismo in politica estera, inteso come un atteggiamento neutrale nei confronti dei due grandi blocchi che, durante gli anni del suo governo, si fronteggiavano nella guerra fredda.

    Un’assemblea costituente, nel 1949 elaborò una nuova costituzione che incorporava i principi del giustizialismo. Questo che segue è il manifesto del Partido justicialista con i suoi venti punti così come furono enunziati nel 1950 da Perón:1 – La vera democrazia è quella in cui il governo compie la volontà del popolo e difende un solo interesse: quello del popolo.2 – Il peronismo è essenzialmente popolare. Ogni fazione politica è antipopolare e pertanto non è peronista.3 – Il peronista lavora per il movimento. Colui che in nome del partito serve una fazione o un caudillo è peronista soltanto di nome.4 – Per il peronismo c’è soltanto una classe di uomini: quella degli uomini che lavorano.5 – Nella nuova Argentina il lavoro è un diritto che dà dignità all’uomo, ed è un dovere perché è giusto che produca almeno quanto consuma.6 – Per un peronista non vi può essere niente di meglio di un altro peronista.7 – Nessun peronista deve sentirsi di più di quello che è, né meno di quello che può essere. Quando un peronista comincia a sentirsi superiore a quello che è, sta già trasformandosi in un oligarca.8 – Nell’azione politica, la scala dei valori di ciascun peronista è la seguente: prima la patria, poi il movimento ed infine gli uomini.9 – Per noi la politica non è un fine ma soltanto un mezzo per il bene della patria che è costituito dalla prosperità dei suoi figli e dalla sua grandezza nazionale.10 – Le due braccia del peronismo sono la giustizia sociale e l’assistenza sociale. Con esse diamo al popolo un abbraccio di giustizia e di amore.11 – Il peronismo aspira all’unità nazionale e non alla lotta. Desidera eroi ma non martiri.12 – Nella nuova Argentina gli unici privilegiati sono i bambini.13 – Un governo senza dottrina è come un corpo senz’anima. Perciò il peronismo ha una sua propria dottrina politica, economica e sociale: il giustizialismo.14 – Il giustizialismo è una nuova concezione della vita, semplice, pratica, popolare, profondamente cristiana e profondamente umanista.15 – Il giustizialismo, come dottrina politica, realizza l’equilibrio dell’individuo con quello della comunità.16 – Il giustizialismo, come dottrina economica realizza l’economia sociale, mettendo il capitale al servizio dell’economia e quest’ultima al servizio del benessere sociale.17 – Il giustizialismo, come dottrina sociale, realizza la giustizia sociale che dà a ciascuno il suo diritto in funzione sociale.18 – Vogliamo un’Argentina socialmente giusta, economicamente libera e politicamente sovrana.19 – Costruiamo un governo centralizzato, uno Stato organizzato e un popolo libero.20 – In questo paese ciò che abbiamo di meglio è il popolo.Il secondo mandato presidenziale di Perón terminò anticipatamente per via del golpe del ’55: egli se ne andò spontaneamente in esilio per allontanare il pericolo di una guerra civile. In quel periodo 1952-55 erano venuti a galla i contrasti tra Chiesa e peronismo: la prima cercava un proprio braccio di manovra politica in un partito democristiano a danno del Partito giustizialista, il secondo non tollerava l’ingerenza ecclesiastica negli affari pubblici.
    Le dittature post-peroniste avevano dichiarato fuorilegge il Partito giustizialista, revocata la Costituzione del ’49 e riaperto il carcere di Ushuaia (chiuso nel 1947 a causa delle sue pessime condizioni) per detenervi nemici politici, inoltre (cose non fatte nel 1946-55) messo al bando il Partito comunista e reintrodotta la pena capitale.
    Nel 1973 si torna alle elezioni e Peron prende il 62% dei voti tornando così alla guida del paese, l’anno seguente però morirà ed i governi che seguiranno saranno nuovamente spazzati via da un altro golpe nel
    Soldati argentini catturati dagli inglesi sulle isole Falkland

    1976, quello di Jorge Rafael Videla. Le nuove dittature filo-americane termineranno nel 1983 dopo la sconfitta nella guerra delle Falkland-Malvinas e saranno seguite da un periodo (quello degli anni ’90) caratterizzato da una sperimentazione neoliberista nell’economia del paese, anche grazie al Fondo Monetario Internazionale che utilizzerà l’Argentina come laboratorio sperimentale per le dottrine di Milton Friedman e di Friedrich von Hayek. Questo portò al ritorno di una svendita del settore pubblico, alla privazione della moneta sovrana nazionale (il peso argentino venne legato al dollaro con rapporto di 1 a 1) e ad uno spaventoso indebitamento che culminò con il default del 2000. Il popolo scese in piazza e, cacciato il presidente argentino (che fuggì in elicottero), tornò a preferire i partiti peronisti.
    Oggi tutti i partiti, sia di destra che di sinistra, hanno preso spunto dal movimento peronista. Benché d’ispirazione fascista, il peronismo non disprezza il comunismo, tant’è che l’attuale presidentessa Cristina Fernández de Kirchner ha aperto il partito Giustizialista all’Internazionalismo socialista.
    Alberto Fossadri


    https://azioneprometeo.wordpress.com/2012/11/25/il-peronismo-o-giustizialismo/
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  4. #4
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Socialismo siriano
    15/07/12

    Nel 1954 una coalizione formata dall'allora forte Partito Comunista Siriano (PCS), dall'allora piccolo Partito Baath e dal blocco nazionale giunse al potere.

    Da febbraio del 1958 al 1961 la Siria si unisce con l'Egitto di Nasser nella Repubblica Araba Unita (R.A.U.), applicando una riforma agraria che segue il modello egiziano. La borghesia conservatrice tornò al potere, ma nel marzo 1963 i baathisti e i nasseriani lo riconquistarono con l'appoggio del PCS, che aveva subito persecuzioni durante il periodo della R.A.U. L'elemento chiave baathista fu la creazione di un comitato militare nel 1959 che unì alti ufficiali militari e che, nel momento opportuno, gli ha consentito di prendere il potere.

    Il governo applica il piano quinquennale 1965-1970 dando la priorità alle nazionalizzazioni e agli aiuti sovietici. Nel 1964 la Costituzione provvisoria assegna la funzione legislativa al Consiglio del Comando Rivoluzionario. Nel 1965 l'industria tessile è nazionalizzata e riorganizzata in 13 imprese di Stato, inaugurando così il processo di nazionalizzazione.

    Nel 1966 giunge al potere un gruppo chiamato "neo baathista" con forte inclinazione filo-sovietica, formato dal generale Salah Jadid, il Presidente della Repubblica Nuredin al Attasi e Ibrahim Makhos. Dopo l'espulsione del fondatore Michel Aflak, l'ideologo di riferimento del Baath siriano è Arsuzi Zaki, uno alawita di Alexandrette.

    Nel Dicembre del 1970 un ramo considerato di "destra" del Baath, guidato dal generale Hafed Al Assad, prende il potere e incarcera il gruppo precedente che creerà in opposizione il Movimento 23 Febbraio (1966), che si richiama al Baath. Non è così di "destra" visto che si apre alla collaborazione dei comunisti e di altre forze di sinistra, mantiene un forte settore pubblico dell'economia, liquida il latifondismo feudale e nel 1980 firma un trattato di cooperazione con l'URSS. Riteniamo che l'imperialismo manipoli la realtà presentando il Baath siriano come espressione di una setta religiosa minoritaria, gli alawiti. I contadini poveri musulmani, le minoranze religiose storicamente emarginate, gli intellettuali, progressisti e i sindacati sono la base storica del potere siriano ancora oggi dove è cresciuta l'influenza della borghesia nazionale. A dirigere il Baath siriano vi sono stati alatiti, come anche sunniti e cristiani.

    Il 7 Marzo del 1972 il Baath crea il Fronte Nazionale Progressista in alleanza con il PCS, l'Unione Socialista Siriana (USA) di Jamal Atasi e Fai al-Kayyali, una scissione del Baath chiamata Movimento Socialista Unitario Arabo di Abd al Ghami Qannut e il Partito Unitario Socialista Democratico di Ahmad As'ad. Il Baath è maggioritario e dominante e la Costituzione del 1973 gli consente di essere l'unica forza politica presente nelle università e nelle forze armate.

    I sovietici e il campo socialista apportarono un aiuto significativo alla modernizzazione del paese: costruirono il complesso idroelettrico del fiume Eufrate, la diga del fiume Kabir del Nord, la raffineria di Homs, la fabbrica di cementi di Hama, l'industria d'estrazione petrolifera, fabbriche di cotone, di calzature e di concerie ed altre, hanno disteso migliaia di chilometri di ferrovie, come le ferrovie Kamishli-Latakia, Akkari-Tartus, la Hama Maharda e altre ancora. L'Unione dei Contadini (Ittihad al fallahin) controlla la rete di cooperative agricole.

    Alla caduta del campo socialista la Siria progressista e laica rimane orfana e realizza modeste riforme pro-capitaliste, come la legge 10 del 1991 sugli investimenti. Dal 2000 al 2007 la parte privata nella produzione di PIL industriale passa dal 52, 3% al 60, 5%. Si liberalizzano il settore bancario e assicurativo. La Costituzione del 2012 rimuove l'articolo 13 del 1973 che prevedeva che "l'economia dello Stato è una economia socialista pianificata che cerca la fine dello sfruttamento". Ciò che resta del socialismo in Siria non è poco: i sindacati degli operai e dei contadini intervengono nelle decisioni economiche delle imprese, l'istruzione e l'assistenza sanitaria sono gratuite e buone, i prezzi sono controllati dallo stato, i prodotti di base sono sovvenzionati, regge la pianificazione economica e lo Stato dirige il commercio estero, il governo afferma di voler rafforzare il settore pubblico dell'industria, operano depositi dello Stato. Ci sono 104 industrie statali tra cui la GECI, industria chimica pubblica, l'Organizzazione generale per il cemento e i materiali di costruzione, la compagnia generale di fertilizzanti di Homs legata alla Geci. Il settore pubblico contribuisce per il 30% del PIL e impiega il 42, 5% della forza lavoro.

    Una vittoria controrivoluzionaria privatizzerebbe questi settori, distruggerebbe i diritti sociali e rafforzerebbe la borghesia locale convertendola in agente commerciale degli imperialisti, che trasformeranno il paese in colonia economica come l'Iraq e la Libia.

    www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicg17-011413.htm
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  5. #5
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Le tre esperienze citate, spero sia un caso, sembrano ai nostri giorni segnare il passo, anzi mi pare proprio che a parte l'indigenismo latino americano, che si trova comunque in una situazione di forte crisi, le altre due esperienze citate siano oramai quasi defunte, ed il quasi è un eufemismo ottimistico vista la situazione. Il nasserismo, o socialismo nazionalista arabo, è oramai pressoché scomparso travolto da una parte dal fondamentalismo islamico e dall'altro dalle rivoluzioni arancioni di matrice occidentale. Eliminati Gheddafi e Saddam, il socialismo arabo rimane solo in Siria nella situazione che conosciamo tutti. Il peronismo è messo anche lui malissimo, superato nella stessa Argentina dal kirchnerismo e ridotto oramai nell'ufficialità ad essere oramai allineato con il tradizionale schieramento D/S tipico della politica occidentale. E che dire del bolivarismo?
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  6. #6
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Citazione Originariamente Scritto da Ultima legione Visualizza Messaggio
    Le tre esperienze citate, spero sia un caso, sembrano ai nostri giorni segnare il passo, anzi mi pare proprio che a parte l'indigenismo latino americano, che si trova comunque in una situazione di forte crisi, le altre due esperienze citate siano oramai quasi defunte, ed il quasi è un eufemismo ottimistico vista la situazione.
    Cosa intendi per indigenismo? Il modello politico di Morales e del MAS?


    Il nasserismo, o socialismo nazionalista arabo, è oramai pressoché scomparso travolto da una parte dal fondamentalismo islamico e dall'altro dalle rivoluzioni arancioni di matrice occidentale.
    Su questo punto ti devo dare ragione. Ma non è defunto certo ieri il nasserismo.
    Eliminati Gheddafi e Saddam, il socialismo arabo rimane solo in Siria nella situazione che conosciamo tutti.
    Infatti è dovere degli anticapitalisti sostenere l'ultimo avamposto laico e socialista rimasto: la Siria baathista.

    Il peronismo è messo anche lui malissimo, superato nella stessa Argentina dal kirchnerismo e ridotto oramai nell'ufficialità ad essere oramai allineato con il tradizionale schieramento D/S tipico della politica occidentale. E che dire del bolivarismo?
    Il peronismo è un movimento con mille sfaccettature. Si va dai parafascisti, ai liberali finendo con i cattolici e gli eredi dei monteneros (di tendenza guevarista).

    Diciamo che il peronismo ha conosciuto una seconda giovinezza grazie a Nestor Kirchner e a sua moglie Cristina. L'impero statunitense, però, ha deciso di mettere fine a questa coraggiosa esperienza.
    Ultima modifica di LupoSciolto°; 21-03-16 alle 22:57
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  7. #7
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    Cosa intendi per indigenismo? Il modello politico di Morales e del MAS?
    https://forum.termometropolitico.it/...digenismo.html
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  8. #8
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    John W. Cooke e il peronismo rivoluzionario | Fondo Magazine di Miro Renzaglia

    John W. Cooke e il peronismo rivoluzionario

    By miro
    – 15 feb '10Posted in: Storia
    Romano Guatta Caldini

    L’operato di John William Cooke, punto d’incontro fra peronismo e castrismo, ha rappresentato, senza dubbio alcuno, la migliore commistione fra l’esperienza socialista nazionale di Peron e le spinte rivoluzionarie cubane. Una tradizione, quella dell’antimperialismo latino americano, che ha visto fra i suoi protagonisti eminenti figure di militanti politici del peronismo rivoluzionario, fra questi ricordiamo: Rodolfo Walsh, Ricardo Masetti e l’ex falangista spagnolo, poi militante peronista, Emilio Javier Iglesias. Questi ultimi sono stati i fautori di un interessante incontro ideologico, una sorta di mutuo soccorso inter-nazionalista visto in chiave antimperialista.
    Del resto, che peronismo e castrismo avessero, per certi versi, una radice comune, lo aveva già fatto notare, a suo tempo, Saverio Paletta su Diorama: «Mentre l’ideologia politica del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco è sorta nel contesto di due paesi di grandi tradizioni storico-politiche, con tutto ciò che ne è derivato in termini di confronto, di suggestioni e di possibili radici, lo stesso non può ovviamente dirsi per esperienze quali, ad esempio, il castrismo, certe forme di socialismo nazionale africano o la maggior parte di quelle dittature di sviluppo sorte nel dopoguerra in seguito al processo di decolonizzazione e che A. James Gregor tende a considerare come eredi, in certo qual modo, del fascismo storico» – . In tal senso, al pari di Maurice Bardèche e delle sue intuizioni sul nasserismo, Gregor aveva individuato nel castrismo, ma anche in certe forme di volontarismo guevariano, il logico approdo di una teoria che aveva mosso i suoi primi passi nell’Europa degli anni trenta e quaranta.
    Per ciò che concerne il rapporto fra peronismo e rivoluzione cubana, sintomatica dello stretto legame fra i due movimenti è la dichiarazione di Peron relativa alla fratellanza ideologica delle due rivoluzioni: «La Revolucion cubana tiene nuestro mismo signo» – dirà il Generale in merito alla lotta contro il comune nemico nord-americano. Oppure: «L’evolversi della situazione cubana può trovare il suo riscontro con la Grande Patria latino-americana se questa, prescindendo dalle vecchie formule marxiste, rialzerà di nuovo la bandiera del nazionalismo rivoluzionario tercerista del castrismo iniziale. La fine dell’impero comunista anticipa la crisi di quello capitalista. Ogni popolo deve lottare per la propria emancipazione nazionale e, al tempo stesso, stabilire relazioni solidaristiche con le altre nazioni oppresse dall’imperialismo, dall’ingiustizia e dalla reazione» – ha ricordato Nando De Angelis nel suo Peròn e la rivoluzione cubana. Ma significativa più di tutte è la nota auto-biografica di Cooke: « Sono tre mesi che vivo all’Avana (…) Questa è la Mecca rivoluzionaria e tutti vengono a bere alla sorgente».
    Dal canto suo, Fidel Castro invitò Peron a stabilirsi a Cuba durante l’esilio e intermediario fra i due fu proprio John William Cooke. Designato dallo stesso Peron, come suo erede, Cooke aveva iniziato la sua militanza nell’Unión Universitaria Intransigente. Dal ’55 in poi, il compito di Cooke fu quello di preparare la resistenza peronista all’imminente golpe militare. Arrestato e confinato nella prigione di Río Gallegos, nonostante l’isolamento, Cooke divenne, oltre che l’ideologo di riferimento dei gruppi armati, anche l’organizzatore della fusione fra i movimenti studenteschi e quelli operai. Dopo una fuga rocambolesca dal centro detentivo, Cooke fece la spola fra l’Uruguay e il Cile, infine, aggregatosi a un gruppo di argentini, si trasferì a Cuba per seguire i moti insurrezionalisti guidati dal connazionale, Ernesto Guevara. La foto di Cooke nella Sierra Maestra, mitra in mano e camicia da miliziano, diverrà un’icona per tutti i guerriglieri peronisti.
    Durante il soggiorno cubano, Cooke gettò le basi per la costruzione di un ampio fronte di liberazione nazionale che, irradiandosi dall’isola caraibica, avrebbe dovuto colpire i centri nevralgici della struttura politico-militare argentina. Ed è proprio in quest’ottica che vanno collocati i legami con i dirigenti Montoneros: Fernando Abal Medina e Norma Arrostito, entrambi, all’epoca, presenti nell’isola. Con i due connazionali, nel ’67, Cooke partecipa alla OLAS (Organización Latinoamericana de Solidaridad): organizzazione di tutti i movimenti anti-imperialisti latino americani. Tra gli esponenti argentini intervenuti ricordiamo: Alcira de la Peña in rappresentanza del Partito Comunista, Ismael Viñas del Movimiento di Liberazione Nazionale, Abel Latendorf dell’Avanguardia Popolare e Carlos Laforgue della Gioventù Peronista. In questa sede, diverranno espliciti i riferimenti alla guerra di guerriglia teorizzata da Guevara. A farsi carico della lotta di liberazione nazionale, per quanto riguardava l’Argentina, fu il peronista Jorge Ricardo Masetti che, fedele ai principi fochisti, abbandonò Cuba e fece ritorno in patria, organizzando la guerriglia ai confini della Bolivia e coordinando le forze rivoluzionarie della sinistra peronista presenti in zona: dall’Ejército Guerrillero del Pueblo alle FAP (Fuerzas Armadas Peronistas).
    Per comprendere gli stati d’animo e le circostanze che portarono molti giovani peronisti ad abbracciare la lotta armata, è utile la testimonianza del giornalista italo-argentino ed ex-mlitante Montonero, Miguel Bonasso: «In Argentina l’oligarchia dominante si è legata al capitale multinazionale (…) per cui, lo sfruttamento nel mio paese si identificava con la presenza prima inglese e poi statunitense. Il nazionalismo, quindi, è sempre stato sinonimo di liberazione e i due termini, se presi separatamente, non avrebbero avuto senso. Il fenomeno peronista costituiva un’unione variegata: i delusi del Partito Comunista, i settori cattolici più radicali, i militanti che avevano conosciuto il Che, i sottoproletari delle villas miseria, le baraccopoli di Buenos Aires, ma anche una parte consistente della piccola borghesia. Dal 1975 iniziò l’adesione operaia in massa, unendosi al movimento studentesco che lottava soprattutto contro l’eccessiva invadenza statunitense. Il peronismo, dunque, è nato come movimento politico di massa. Più tardi, il ricorso alla lotta armata, non è stata una scelta, ma l’unica forma di resistenza possibile. »Non a caso, riguardo la natura antimperialista del nazionalismo argentino, lo stesso Cooke, nel suo «Apuntes para la militancia», scriveva: «Tutta la nostra lotta deve partire dall’auto-consapevolezza di vivere in un paese semi-coloniale, paese che è, a sua volta, membro di un continente anch’esso semi-coloniale. (…) Il nazionalismo è possibile solo se inteso come una politica conseguente all’anti-imperialismo».
    Movimento fondamentalmente anti-dogmatico, il peronismo, al pari del fascismo, si presentava come un fenomeno di mobilitazione di massa ma, a differenza del comunismo sovietico e del capitalismo nord-americano, la massa non era un ente amorfo e passivo nè era soggiogato alle politiche predatorie padronali. Citando sempre Cooke, il Peronismo era stato: «un’esperienza di vita, il punto più alto dell’auto-coscienza della classe operaia, come dei settori meno abbienti della società. » Con simili premesse, era quasi inevitabile che Cooke venisse tacciato di cripto-comunismo, ma non erano di certo le etichette a preoccupare l’ideologo. Ben più preoccupante era la divisione interna al fronte peronista, infatti, settori consistenti del peronismo rivoluzionario vennero fagocitati dalla spirale settaria di movimenti e gruppuscoli d’ispirazione più o meno trotskista: come avvene, ad esempio, nel caso del Partido Revolucionario de los Trabajadores di Mario Roberto Santucho. Sta di fatto che, se andiamo a misurare l’incidenza di tali gruppi, rispetto ai movimenti di dichiarata fede peronista, vediamo che i secondi hanno raggiunto successi di gran lunga superiori rispetto ai primi, anche in termini di seguito e consenso popolare.
    Naturalmente, durante gli anni della lotta armata, il numero di desaparecidos crebbe in modo esponenziale. A cadere nelle mani dei militari, anche Alicia Eguren; poetessa, dirigente peronista, nonché compagna di Cooke. Alicia era stata una stretta collaboratrice, sia di Guevara che del Comandante Segundo (Ricardo Masetti) ; con loro, come anche con il marito, aveva partecipato alla fondazione cubana del Fronte Antimperialista per il Socialismo. Quando il Che decise di estendere la lotta nel continente sud-americano, Alicia e Cooke furono protagonisti attivi, nei piani guevariani per la lotta di liberazione in Bolivia. Masetti e Guevara trovarono la morte in combattimento, mentre Cooke terminerò la sua parabola esistenziale e politica il 19 settembre del ’68, a causa di un cancro.
    Fra i testi fondamentali, per avvicinarsi al pensiero di Cooke, ricordiamo: «Apuntes para la militancia » e «Peronismo y Revolucion». Certo, rivoluzione è un termine che torna spesso negli scritti dell’ideologo e forse non è un caso, soprattutto a fronte degli insegnamenti di Evita: «El peronismo será revolucionario o no será nada!».
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  9. #9
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    IL SOCIALISMO DI VELASCO ALVARADO


    Juan Francisco Velasco Alvarado (Piura, 16 giugno 1910Lima, 24 dicembre1977) è stato un generale e politico peruviano.

    Guidò il Perù dal 3 ottobre 1968 al 30 agosto 1975 con il titolo di "Presidente del governo rivoluzionario".


    Infanzia e carriera militare[modifica | modifica sorgente]

    Figlio di Manuel Velasco Gallo, assistente medico, e di Clara Luz Alvarado Zevallos, aveva altri dieci fratelli. Frequentò la scuola primaria e la secondariarispettivamente al Centro Escolar N° 21 e al Colegio San Miguel, entrambi nella sua città natale; quando non andava a scuola lavorava come lustrascarpe.[1]
    Nel 1929, mentendo sulla sua vera età, s'imbarcò su una nave diretta a Lima, dove il 5 aprile si arruolò nell'esercito; lì frequentò la scuola militare di Chorrillos, dove fu promosso sottotenente di fanteria, conseguendo il primo posto tra i promossi e ricevendo per questo la spada d'onore.[1] Nel 1944 andò a studiare alla Scuola Superiore di Guerra, dove due anni più tardi divenne professore di Fanteria, Tattica e Stato maggiore. Nel 1952 con il grado di tenente colonnello tornò alla scuola militare di Chorrillos per dirigerla; in seguito occupò una carica simile alla scuola di fanteria, fino a diventare capo della IV Divisione del Centro d'istruzione militare del Perù (1955-1958).
    Promosso generale di brigata sotto il governo di Manuel Prado Ugarteche nel1959, prestò servizio tre anni dopo all'ambasciata peruviana a Parigi, e nel 1965divenne generale di divisione. Nel gennaio del 1968 assunse il Comando generale dell'esercito e la presidenza del Comando Congiunto delle Forze Armate del Perù, quest'ultima carica istituita dal governo Ugarteche.
    Governo[modifica | modifica sorgente]

    Politica interna[modifica | modifica sorgente]

    In qualità di comandante generale dell'esercito, guidò la giunta militare che il 3 ottobre 1968 depose il presidente Fernando Belaúnde Terry. Pochi giorni dopo espropriò la International Petroleum Company, compagnia petrolifera statunitense che lavorava nel paese; il 9 ottobre, giorno in cui avvenne l'esproprio, fu dichiarato da allora e fino alla fine del suo governo festa con il nome di "giorno della dignità nazionale".
    Un momento della visita di stato del Presidente della Romania Nicolae Ceaușescuin Perù nel settembre 1973. I due presidenti sono affiancati dalle rispettive mogli

    Velasco formò un governo composto da ministri sia militari che civili, il quale nazionalizzò l'intero settore petrolifero. Impose forti restrizioni alla libertà di stampaconfiscando diversi quotidiani e televisori, promulgò una riforma agraria con l'obiettivo di fermare lo strapotere deilatifondisti. In seguito tentò di nazionalizzare i settori chiave dell'economia tramite misure protezioniste e interventiste. Allo scopo di organizzare e meglio controllare la mobilità sociale fu creato il Sistema Nazionale d'Appoggio per la Mobilità Sociale (SINAMOS).
    In ambito internazionale, il governo di Velasco si fece promotore del non allineamento, seguendo lo slogan "né con il capitalismo né con ilcomunismo". Nei fatti però la rottura con gli Stati Uniti lo portò ad allearsi con i paesi comunisti.
    A seguito della statalizzazione dell'attività peschiera, fu istituito il Ministero della pesca. Grazie a ciò fu migliorata l'alimentazione del popolo, in special modo degli abitanti delle zone andine, che fino ad allora non avevano mai potuto avere pesce fresco e che invece ora arrivava loro grazie a camion termici mandati dallo Stato. Per distribuire gli alimenti prodotti dalle cooperative agricole create dal governo, fu istituito il Ministero dell'alimentazione, il quale promulgò leggi restrittive sull'importazione dei prodotti alimentari.
    Nel 1972 il governo promosse una riforma dell'istruzione che prevedeva tra l'altro l'insegnamento bilingue per coloro che parlavano le lingue indigene, che costituivano circa metà della popolazione. Nel 1975 il quechua divenne lingua ufficiale accanto allo spagnolo; in tal modo, il Perù fu il primo degli stati dell'America Latina ad ufficializzare una lingua indigena. Tuttavia, questa legge non fu mai applicata e cessò di essere valida quando entrò in vigore la costituzione del 1979, secondo la quale il quechua e l'aymara sono ufficiali solo dove sono prevalenti, come previsto dalla legge, legge che però non è stata mai emanata.[2]
    Politica estera[modifica | modifica sorgente]


    Oltre alle riforme economiche e sociali, tra gli obiettivi della politica di Velasco c'era anche la riconquista dei territori perduti a favore delCile nella guerra del Pacifico.[3]
    È stato calcolato che dal 1970 al 1975 il Perù spese fino a 2 miliardi di dollari in armamenti sovietici.[4] Secondo diverse fonti il governo peruviano avrebbe acquistato tra i 600 e i 1200 carri armati T-55, APC, dai 60 ai 90 cacciabombardieriSukhoi Su-22, 500 000 fucili d'assalto, e prese perfino in considerazione l'acquisto della portaerei britannica HMS Bulwark.[4]
    L'ingente quantitativo di armi acquistato dal Perù spinsero nel 1976 l'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger e il dittatore cilenoAugusto Pinochet a tenere una riunione.[4] I piani militari di Velasco consistevano nell'invadere il Cile per via aerea, marina e terrestre.[4] Al tempo il Cile era sull'orlo del fallimento finanziario e nel 1999 Pinochet rivelò addirittura che se nel 1975 il Perù avesse attaccato il Cile, le forze peruviane avrebbero potuto penetrare in profondità in territorio cileno arrivando a Copiapó, città situata a metà strada da Santiago.[3]Per difendersi le forze armate cilene avevano preso in esame di scatenare una guerra preventiva, ipotesi a cui Fernando Matthei, generale della forza aerea cilena, si opponeva rispondendo che: "Posso assicurare che i peruviani annienterebbero la forza aerea cilena nei primi cinque minuti di guerra".[3]
    Alcuni analisti ritengono che il timore da parte degli ufficiali cileni e statunitensi di un'invasione peruviana fosse in gran parte ingiustificato, sebbene fosse per loro logico da pensare tenendo conto che Pinochet era salito al potere grazie a un colpo di Stato contro Salvador Allende, presidente democraticamente eletto. Stando alle fonti, i presunti piani d'invasione potrebbero essere stati percepiti dal governo cileno come una sorta di contrattacco da parte delle forze di sinistra.[5]
    Deposizione e ultimi anni[modifica | modifica sorgente]

    Il 30 agosto 1975, il generale Francisco Morales Bermúdez, allora Presidente del Consiglio dei ministri e che si diceva sarebbe succeduto a Velasco, partì dalla città di Tacna alla guida di un colpo di Stato che depose Velasco; il golpe, dal nome della città in cui ebbe inizio, è passato alla storia con il nome di Tacnazo. Per la realizzazione del golpe il generale prese a pretesto la difficile situazione economica e la salute del presidente, al quale il 10 marzo del 1973 era stata amputata la gamba destra a seguito di una gangrenadegenerata in un aneurisma dell'aorta addominale che lo aveva condotto quasi alla morte.
    La tomba di Velasco Alvarado, situata nel Cementerio del Ángel aLima

    Velasco visse gli ultimi due anni della sua vita in una sorta di reclusione volontaria. Morì all'ospedale militare di Lima il 24 dicembre 1977; al suo funeraleparteciparono molte persone e terminò in una forma di protesta contro il governo di allora. I suoi resti riposano alCementerio del Ángel di Lima. Nel 1980 la sua tomba fu oggetto di una delle prime azioni terroristiche di Sendero Luminoso: fu infatti fatta esplodere con la dinamite.
    Eredità[modifica | modifica sorgente]

    Quella di Velasco restò per il riformismo militare peruviano un'importante figura a cui fare riferimento: alcuni suoi luogotenenti infatti, ispirandosi all'opera di Velasco, fondarono il Partito Socialista Rivoluzionario. Due mesi dopo dalla sua fondazione però i principali esponenti del partito furono costretti a fuggire in Panamá e inMessico; fu permesso loro di tornare solo alle elezioni per l'assemblea costituente, alle quali ottennero il 7% dei voti. Il PSR fece poi parte della Sinistra Unita, alleanza fra le formazioni politiche peruviane di stampo socialista che si ponevano a sinistra dell'APRA.

    FONTE: Juan Velasco Alvarado - Wikipedia
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  10. #10
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    Predefinito Re: Terza via (nasserismo, baathismo, peronismo, bolivarismo)

    Citazione Originariamente Scritto da LupoSciolto° Visualizza Messaggio
    IL SOCIALISMO DI VELASCO ALVARADO


    Juan Francisco Velasco Alvarado (Piura, 16 giugno 1910Lima, 24 dicembre1977) è stato un generale e politico peruviano.

    Guidò il Perù dal 3 ottobre 1968 al 30 agosto 1975 con il titolo di "Presidente del governo rivoluzionario".
    Figura sicuramente da conoscere meglio e rivalutare.
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
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