Il valore dei soldi lo insegnano a scuola, in Lussemburgo - Limes

Venerdì 18 marzo finisce in Lussemburgo la “settimana dei soldi”. Non che le altre settimane i soldi manchino. Ma questi giorni sono dedicati all’educazione monetaria, per spiegare ai bambini come gestire le banconote. A scuola si insegna a non spendere troppo.
Sì, perché in un paese dove il pil pro capite è di 96 mila dollari a persona e dove confluiscono i capitali di tutte le multinazionali del mondo, il problema non è come fare entrare soldi, ma come evitare che escano.
L’associazione delle banche e dei banchieri del Lussemburgo ha organizzato la seconda edizione della Settimana dei soldi per «sviluppare le competenze finanziarie dei giovani per prepararsi all’età adulta, quando dovranno prendere decisioni economiche».
Ottocento studenti tra i 10 e i 12 anni impareranno dunque come distinguere tra una voglia e un bisogno, come gestire le banconote, come funziona un prestito. Anche perché in Lussemburgo l’età minima per aprire un conto è di soli 12 anni.
Il materiale pedagogico è stato preparato dal Sics, un ente destinato a prevenire l’indebitamento eccessivo e mediare soluzioni per debitori gravi. Così gli istituti di credito si tutelano dall’accusa di voler introdurre valori capitalistici e consumistici tra i giovani.
Fuori dalle scuole, però, le banche seguono una politica che certo non favorisce l’oculatezza. Il Lussemburgo è uno dei paesi che stampa più banconote da 500 euro, anche se la maggior parte dei cittadini europei non ne hai mai vista una.
Più in generale, i lussemburghesi stampano moneta per un valore pari a due volte il loro pil, quando la maggior parte degli Stati Ue emette in contanti solo il 10% della ricchezza nazionale.
Tutti questi soldi servono in teoria ad alimentare un settore finanziario di dimensioni enormi. Considerato che la maggior parte delle transazioni sono telematiche e non certo in contanti, è ancora un mistero quale sia la vera destinazione di questo denaro.
Igor Angelini, capo del gruppo di intelligence finanziaria di Europol, a questo proposito vorrebbe condurre un’inchiesta insieme alla Bce: «È sorprendente che il Lussemburgo sia un produttore netto di banconote ma che perdiamo le tracce di questo flusso».
Sorprendente fino a un certo punto. Qui, a differenza di quanto previsto in altri grandi economie europee, non è obbligatorio dichiarare le transazioni in contanti superiori ai diecimila euro e i controlli, su richiesta, sono stati fatti solo quindici volte negli ultimi due anni.
Ma il vero business del Granducato, quello che di cui molto probabilmente andranno ad occuparsi da adulti i bambini istruiti oggi a risparmiare il loro denaro, è la gestione dei capitali finanziari delle multinazionali di tutto il mondo. In Lussemburgo hanno sede Skype, il gigante dell’acciaio Arcerlor Mittal, l’industria satellitare Intelsat, la Ferrero, le massime emittenti radio e tv europee, mentre Amazon e Paypal hanno qui la sede continentale.
La città di Lussemburgo è secondo Ubs il principale centro per capacità d’acquisto ed è tra i primi al mondo per capacità di profitto e affidabilità. Tant’è che i suoi 143 istituti di credito hanno in mano titoli per 800 miliardi di dollari, 300 dei quali nel settore coperto da segreto bancario, quello dove la maggior parte dei capitali sono posseduti da soggetti con almeno 20 milioni di dollari.

Il Lussemburgo, infatti, è molto appetibile per chi cerca la riservatezza, col suo 6° posto nella classifica globale dell’indice di segretezza finanziaria (dopo Svizzera, Hong Kong, Usa, Singapore e Isole Cayman) stilato dal Tax justice network.
Eppure, dopo tante resistenze, anche il Granducato sta cominciando ad aprirsi alle nuove regole europee sulla trasparenza. Complice lo scandalo del 2014, quando vennero scoperti accordi segreti (ma legali) tra le autorità del Lussemburgo e trecento grandi aziende che volevano spostare enormi flussi finanziari in una sede dove le tasse fossero minime.

Compagnie come PepsiCo e Ikea erano riuscite a limitare il loro contributo alle casse statali ad appena l’1% dei loro enormi guadagni. Oggi l’Europa sta prendendo provvedimenti e ha intenzione di riportare “a casa” tra i 50 e i 70 miliardi di euro che ogni anno si perdono per elusione fiscale.
L’8 marzo i ministri delle Finanze di tutti i membri dell’Ue hanno approvato la quarta direttiva sulla cooperazione amministrativa che obbliga le multinazionali a fare rapporto su profitti, tasse e numero di dipendenti in ognuno dei paesi in cui operano – un provvedimento su cui si era cominciato a lavorare proprio all’indomani dello scandalo Luxleaks del 2014.
Il Granducato, con la firma su questa direttiva, entra nel club della trasparenza. Ma nell’era in cui il lussemburghese Juncker guida la Commissione europea, c’è sempre il rischio che si tratti solo di un’operazione di facciata.
Oxfam, infatti, denuncia la scarsa utilità del provvedimento: le informazioni date dalle compagnie resteranno per ora nelle mani delle autorità finanziarie dei vari paesi. I cittadini non potranno ancora controllarle.