<< (...) La svolta risalirebbe al 2007, quando le gerarchie dichiararono che il Regno di Dio era l’orizzonte (Frankfurter Allgemeine, 20-12-07). La fuga nell’autoritarismo e quella nel passato hanno un’unica origine * l’umiliazione della disfatta sovietica * e sarebbero la nemesi che fa eco a un’offesa caoticamente sofferta. Sofferta caoticamente da Eltsin. Inflitta caoticamente dai trionfatori della guerra fredda. Ma c’è una terza possibilità, cui fa accenno lo studioso Ivan Krastev, presidente del Centro di studi liberali a Sofia, quando sostiene che il Cremlino ha un’ambizione assai meno retrograda e difensiva di quanto sembri.
Nella seconda parte del mandato, Putin ha teorizzato un modello giudicato necessario e vincente non solo in Russia, per fronteggiare la globalizzazione: il modello della democrazia sovrana, pensato per incantare il mondo e non semplicemente difendersene. Per incantare i vicini europei, e l’intera Unione.
È un modello nato in reazione alla babelica democrazia di Eltsin, consolidatosi dopo i movimenti ucraini del 2004. Movimenti che hanno sconvolto Putin e specialmente il suo ideologo, Vladislav Surkov. Il modello Surkov vuol rispondere a una duplice minaccia: le tentazioni populiste-rivoluzionarie della democrazia (Ucraina, Georgia), e la cosiddetta democrazia amministrata. Due soluzioni egualmente teleguidate, che consegnerebbero la sovranità a lontani incontrollati poteri.
In apparenza la democrazia sovrana restaura il passato. In realtà sta ridivenendo, come la felicità di Saint-Just, un’idea nuova e stregante in tutta Europa. La democrazia con il suo pluralismo e i suoi poteri distinti affatica Stati ed élite, soprattutto durante i torbidi: sembra come denudarli, rallentarli. Non così la democrazia sovrana, che al posto della diversità di interessi mette la fusione fra governanti e governati, e antepone tale identificazione alla rappresentanza: le elezioni in quest’ottica non servono a rappresentare il popolo, bensì il potere. Di qui la statalizzazione dell’economia, rovina del liberalismo. Se governanti e governati si fondono nell’identità nazionale, ogni separazione laica vien screditata: tra Stato e economia, Stato-chiesa, Stato-magistratura, Stato-giornali e Tv.
Il conflitto d’interessi è questione non italiana ma globale, altera i più svariati settori. Quanto alla lotta anti-oligarchi, annunciata da Putin nel 2000 e culminata nel 2003 nell’esproprio-arresto di Khodorkovski, capo dell’ente petrolifero Yukos, la menzogna è palese. Non gli oligarchi erano il bersaglio, ma la loro indipendenza. Sotto Putin gli oligarchi si sono moltiplicati immensamente, ma sono oligarchi legati al Cremlino (Medvedev, presidente di Gazprom, ne è esponente).
Questo modello ha le sue seduzioni: ne vediamo tracce in Italia, in Francia. Abolire il classico conflitto fra destra e sinistra è la felicità nuova promessa agli stanchi della democrazia. Riacquista forza l’ideologia, atavica, del Noi: in Russia uno dei movimenti giovanili di Putin si chiama Nash, Noi. Non un noi inclusivo ma esclusivo, xenofobo. Il modello è attraente per le élite, anche in Europa. Xenofobia, identità governanti-governati, fastidio per la pluralità laboriosa di voci: tanti ne sono affascinati. L’influenza del modello russo sarà difficilmente ammessa, anche perché per l’Europa sarebbe una sconfitta: l’idea dell’Unione è basata sul superamento della democrazia sovrana. Nei suoi paesi le sovranità non sono assolute ma suddivise tra Europa, Stati, regioni. Resta la seduzione.
D’altronde il modello sovrano-unilaterale è americano oltre che russo; la vera competizione moscovita non è con Washington ma con l’Europa. È un’autentica «guerra ideologica sulla sovranità», afferma Krastev. La democrazia sovrana è il potere morbido, il softpower russo, e sottovalutarne la moderna malia sarebbe esiziale. Questa malia i vincitori della guerra fredda non la comprendono, e non stupisce. «I vincitori non sono curiosi», in questo Carl Schmitt fu profetico ed è vero che all’Occidente è mancata negli ultimi 18 anni (come ai vincitori del ‘14-‘18) l’attitudine a immedesimarsi nel vinto, a capirlo. >>
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