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    ___La Causa del Popolo___
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    Predefinito Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    L'Intellettuale Dissidente / Esteri

    Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    La portata di Lava Jeto è epocale, ma altrettanto significativa è la strumentalizzazione delle inchieste per biechi fini politici. E nuovamente da questo punto di vista grandi responsabilità gravano su un sistema informativo nettamente schierato, pronto a condizionare l’opinione pubblica attraverso servizi orientati a senso unico, destinati a fomentare ancor di più la conflittualità sociale che nel corso dei mesi si è saldata con la netta polarizzazione politica del panorama pubblico brasiliano.

    L’operazione restauratrice in America Latina sta conoscendo in questi ultimi mesi una ventata di rinnovata baldanza. Prima la vittoria del candidato anti-kirchnerista Mauricio Macrì in Argentina e subito dopo la débâcle del Partito Socialista Unito Venezuelano alle elezioni di dicembre avevano avviato il processo controrivoluzionario volto a scalzare i sistemi di governo venutisi a creare nel corso di un decennio abbondante di governi ispirati all’ideologia del “socialismo del XXI secolo” in diversi paesi della regione; ora, a tentare il colpo grosso sono gli esponenti del mondo politico, mediatico e giudiziario brasiliano a tentare il colpo grosso, cercando di sfruttare il dilagare continuo dell’inchiesta Lava Jeto per arrivare non solo alla destituzione della presidentessa Dilma Rousseff ma addirittura alla condanna definitiva dell’intera esperienza governativa del Partido dos Trabalhadores (PT), iniziata nel 2003 con l’ascesa alla presidenza del suo leader storico Lùla Iniacio da Silva. Proprio Lùla è in questi giorni nell’occhio del ciclone: la convocazione quale testimone informato sui fatti nell’ambito dell’indagine sugli episodi di corruzione interni al sistema di rapporti clientelari costruitisi attorno ai vertici della compagnia petrolifera statale Petrobras e le voci di una possibile incriminazione di Lùla nell’inchiesta hanno anticipato di poche ore la sua nomina a Ministro della Casa Civil, delicatissima posizione che gli offrirà un ruolo esecutivo altamente importante nelle future politiche del governo, rendendolo responsabile della programmazione dell’azione di lungo respiro dell’esecutivo.

    continua
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  2. #2
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    L'Intellettuale Dissidente / Esteri

    Caccia a Dilma

    Nonostante sia evidente la volontà politica di rimuovere Dilma rendendola il capro espiatorio dei problemi che affliggono il Brasile, la presidentessa non è certo esente da responsabilità e paga numerosi errori di valutazione e incertezze accumulati nel corso di entrambi i suoi mandati.

    La crisi del Brasile sembra non conoscere requie e ha vissuto il suo momento di massima tensione nella nottata di domenica, quando il Parlamento ha dato il via libera al procedimento di impeachment contro la presidentessa Dilma Rousseff, al centro oramai da mesi della tempesta politico-giudiziaria legata alla scoperta di un sistema capillare di corruzione e clientelismo all’interno delle istituzioni pubbliche brasiliane, nel quale è stato dimostrato il coinvolgimento di numerosi esponenti dei maggiori partiti brasiliani, compreso il Partido dos Trabalhadores (PT) a cui appartiene la stessa Dilma. Ora il destino di Dilma è appeso a un filo e vincolato al voto del Senato, che si riunirà per discutere dell’impeachment il prossimo 11 maggio: se vi sarà un ulteriore semaforo verde, Dilma verrà sospesa per sei mesi dalle sue funzioni in attesa del verdetto definitivo su una sua eventuale destituzione, sulla quale dovrà esprimersi nuovamente il Senato, dopo aver verificato le prove fondanti della messa in stato d’accusa della presidentessa. Nonostante il complicato iter costituzionale previsto in Brasile per la procedura di destituzione del Capo di Stato, che dovrà definitivamente essere validato da un parere favorevole del Tribunale Supremo, il suo stesso sussistere rappresenta una spada di Damocle posta al di sopra di Dilma, dell’ex presidente Lùla e, in generale, del sistema costruito dal PT nei suoi tredici anni di governo del paese. Le voci circa un possibile coinvolgimento diretto dell’ex Capo dello Stato nella vicenda giudiziaria Lava Jato che sta sconquassando il panorama politico e l’opinione pubblica del Brasile ha dato un’accelerazione non indifferente al progetto di impeachment, dato che su Dilma hanno finito per essere addossate una serie di responsabilità propriamente non imputabili né alla figura singola della presidentessa né esclusivamente al suo partito, ma bensì accollabili più in generale a tutto il sistema politico brasiliano. La lotta di potere causata dal deflagrare dello scandalo ha infatti consentito alle opposizioni di affilare le armi e, in diversi casi, di cavalcare la marea montante di un dissenso sempre crescente nella società per poter volgere in arma politica la generale disaffezione conosciuta dai brasiliani verso il loro mondo istituzionale. A testimonianza di ciò, è bene ricordare che le motivazioni ufficiali della richiesta di impeachment non riguardano Lava Jato, nella quale Dilma non è direttamente imputata, ma bensì una presunta falsificazione di conti pubblici, una contraffazione del bilancio del 2014; accuse che sono state definite dal professor Rodolfo Colalongo, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Bogota, “per certi aspetti ridicole o comunque poco significative” in un’intervista rilasciata a Agensir. Massimo Cavallini, giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, ha eloquentemente definito la vicenda dell’impeachment a Dilma come una “corsa dei peccatori a scagliare la prima pietra”, rivelando la triste ironia insita in quanto sta succedendo nel gigante sudamericano: è paradossare, infatti, rilevare il coinvolgimento in Lava Jato o comunque la sospetta collusione con diversi accusati dello scandalo di numerosi fustigatori della presidentessa e di fautori della sua rimozione dall’incarico. Tra questi figurano anche numerosi esponenti del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), ex alleato di governo del PT che ha ritirato il sostegno all’esecutivo lo scorso 29 marzo, sebbene il suo membro di spicco Michel Temer continui a mantenere la carica di vice presidente e rappresenti, in questo momento, il legittimo successore di Dilma nel caso di una sua rimozione dall’incarico. La presidentessa ha accusato i vertici del PMDB di un vero e proprio tradimento, rovesciando ingiuriose accuse contro Temer e i suoi, che hanno compiuto una giravolta politica ai limiti della legittimità, perseguendo l’obiettivo di portare a compimento la legislatura sotto una nuova guida presidenziale e scongiurando un ritorno anticipato alle urne. Tale ipotesi è aborrita anche dagli altri schieramenti, timorosi in primis di una possibile discesa in campo del giudice federale Sérgio Moro, il responsabile e più attivo promotore di Lava Jato, che oggigiorno è la figura più popolare in Brasile, capace di sbaragliare qualsiasi rivale nel caso in cui optasse per l’avvio di una campagna elettorale da indipendente. I peccatori corrono a scagliare pietre prima che il fiume in piena li avvolga completamente: la vittoria momentanea di Temer e del PMDB, che stanno gestendo con impassibilità e cinismo la paradossale condizione in cui è precipitata la politica brasiliana, potrebbe essere rovesciata da nuove indiscrezioni sullo scandalo Petrobras, riguardanti i vertici dell’ex alleato di governo di Dilma. Pochi giorni fa, infatti, un gruppo di parlamentari ha avviato un procedimento analogo a quello riguardante Dilma nei confronti dello stesso vicepresidente che, nei prossimi mesi, rischia di ritrovarsi a sua volta coinvolto nel centro della tempesta se nuovi elementi cambieranno le carte in tavola. Temer tira dritto sulla sua strada, e pregusta l’ascesa alla presidenza: l’11 aprile è stato rilevato un file audio divulgato da numerose reti televisive brasiliane contenente la prova generale per un discorso di insediamento del vice di Dilma, costruito in maniera ben architettata per giustificare il più possibile la procedura di impeachment e, dunque, la legittimità del percorso che porterebbe alla sua nomina. Una sola cosa è certa: il Brasile vive in questi giorni il periodo più delicato e drammatico dal ritorno alla democrazia. La stessa spaccatura insanabile tra la massima carica dello Stato e il suo vicepresidente è emblematica della degenerazione della conflittualità nel paese, le cui prime avvisaglie erano state riscontrate già ai tempi delle ultimi elezioni presidenziali, al termine delle quali lo scenario presentava una nazione polarizzata e aspramente divisa. Nonostante sia evidente la volontà politica di rimuovere Dilma rendendola il capro espiatorio dei problemi che affliggono il Brasile, la presidentessa non è certo esente da responsabilità e paga numerosi errori di valutazione e incertezze accumulati nel corso di entrambi i suoi mandati. Tra i più macroscopici, al di là degli scandali di cui si è già diffusamente parlato, si può segnalare la gestione poco organizzata della mole di grandi eventi che hanno coinvolto il Brasile durante la sua presidenza: le spese eccessive sostenute per la costruzione degli stadi destinati a ospitare i Mondiali di calcio e la Confederations Cup, i problemi di sicurezza rilevatisi in maniera allarmante nelle grandi città e ampiamente documentati durante la Giornata Mondiale della Gioventù 2015 nonché i grandi punti di domanda che riguardano le imminenti Olimpiadi di Rio de Janeiro hanno contribuito a affossare la popolarità di Dilma davanti agli occhi dei suoi connazionali e a screditarla a livello internazionale. Inoltre, la crisi economica deflagrata verso la fine del 2014 continua a destare preoccupazioni sempre maggiori: nel 2015 il calo del PIL è stato vicino ai 4 punti percentuali, e il trend negativo sembra destinato a durare anche nell’anno in corso. L’esecutivo ha tergiversato molto prima di individuare i settori nei quali fosse necessario intervenire in maniera più massiccia: in particolare, a trascinare verso il basso gli indicatori economici brasiliani sono state le forti flessioni nel settore industriale (-6,4% di output nel 2015) e nel compound minerario (-6,6%), entrambi causati in parte dal sensibile calo della domanda cinese. Inoltre, un’inflazione consistente (10,7%) erode qualsiasi possibilità concessa al governo di far fronte alla crisi con opportune politiche monetarie. Il quadro generale del Brasile è oggigiorno fosco. Da qui al voto in Senato sull’impeachment c’è da aspettarsi un ulteriore incremento della tensione, e sicuramente questo contenzioso assolutamente politico e solo in minima parte giudiziario altro non fa se non intorbidire ulteriormente le acque, dilazionando nel tempo il ritorno alla normalità e a un sistema istituzionale stabile. Sebbene, come visto, Dilma abbia pesanti responsabilità, è sempre bene pensare all’incoerenza di fondo di molti suo persecutori. La caccia alla presidentessa si è aperta prima che i PM possano scoperchiare ulteriori vasi di Pandora, rendendo i censori di oggi gli imputati di domani. Sebbene il PT sia rimasto in larga misura infetto del sistema clientelare di corruzione generalizzata, esso non è unico responsabile degli scandali che sono seguiti all’avvio dell’inchiesta Lava Jato. Se coloro che propugnano l’impeachment l’avranno vinta, si rischia di vedere la grande avventura del Brasile progressista cancellata con un solo colpo di spugna, lasciando il problema di fondo (cioè la forte frattura che divide e paralizza la società) irrisolto. L’incertezza generale rende possibili molti scenari; l’unico elemento certo è, oggi giorno, una diffusa instabilità che il Brasile non conosceva da decenni. Il paese si trova di fronte a una prova di maturità di capitale importanza, il cui esito è incerto: dalla guerra interna all’esecutivo alla sempre maggiore pervasività di Lava Jato, molte variabili riservano molte imprevedibilità. Una previsione degli scenari futuri è, allo stato attuale delle cose, molto difficile da fare: imprevisti e colpi di scena non mancano infatti di cambiare la situazione con cadenza quasi giornaliera.

    Caccia a Dilma
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  3. #3
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    Andre Vltchek, Global Research, 24 aprile 2016

    Ha pianto abbastanza! L’America Latina ha pianto incessantemente, continuamente, per anni, decenni e secoli. Il suo popolo fu derubato di tutto fin dai tempi di Colombo e del Potosi. A decine di milioni, forse centinaia di milioni furono massacrati negli ultimi cinque secoli; prima dai conquistatori, poi dai loro discendenti e servi e infine dall’Impero delle menzogne, nonché dai traditori delle élite locali. Si è pianto abbastanza, compagni! E’ il momento di usare la forza. Ogni volta che il popolo si oppone, ogni volta che i veri eroi latino-americani liberano le proprie terre, con la ragione o la forza, il bagno di sangue seguiva quasi immediatamente, dal mare o dal Nord. Carri armati per le strade e le piazze ed aerei da combattimento ed elicotteri sganciavano bombe e proiettili sui palazzi presidenziali così come sulle campagne. Persone venivano braccate come animali, trascinate negli stadi e nelle fabbriche, nei sotterranei, per essere violentate, torturate e massacrate. Questo è la loro democrazia! Grazie, ma mai più. Perché avvengono tali orrori? Perché c’era sempre il chiaro consenso tra i governanti di Washington, nelle capitali europee e le classi dominanti nei Paesi dell’America Latina: i Latinos servono l’occidente, vanno governati dal Nord. Se qualche Paese latino sceglieva di agire ‘irresponsabilmente’ (parafrasando Henry Kissinger), gli si ricordava a chi apparteneva: andava distrutto, massacrato e completamente umiliato. Tale trattamento fu inflitto in innumerevoli occasioni, ed è successo praticamente dappertutto, dalla Repubblica Dominicana al Cile, dal Brasile al Nicaragua.

    Nel corso degli ultimi venti anni le cose sono cambiate. Il Venezuela si oppose e ruggì, stringendo i pugni e vincendo, suscitando speranza in tutto il mondo. Si poteva fare; in realtà si poteva fare dopo tutto, carajo! Gridò il popolo boliviano con voce chiara, indignata e bella: questa è la nostra terra e questi sono i nostri simboli indigeni; questa è la nostra aria e la nostra acqua! Poi combatté e alcuni morirono, ma la nazione vinse. L’Ecuador s’è sollevato, cambiando la vita di milioni di persone storicamente oppresse. L’Argentina ha rifiutato di pagare debiti iniqui ed ha tentato di costruire una società giusta e socialista. Il Cile, passo dopo passo, avversava l’orrida eredità dell’era Pinochet, gettandone in prigioni molti responsabili del macabro stupro. In tanti modi diversi (da quello tranquillo e lento uruguaiano, a quello rivoluzionario del Venezuela), un continente, una volta afflitto dalle peggiori disparità sulla Terra è gradualmente risorto. Che bel mosaico! Tutto ad un tratto ha rotto le catene e le fuse, gettando altro ferro e acciaio nel crogiolo, avendo aratri ed erigendo potenti fondamenta per nuovi ospedali e scuole.
    E chi potrebbe dimenticare il Brasile! Dilma Rousseff, qualunque cosa i nemici dicano, qualunque cosa l’impero dica con la sua voce tossica e cinica, col Partito dei Lavoratori (PT) ha cambiato assolutamente tutto! Solo pochi mesi fa, lo scorso anno (2015) viaggiai per questa vasta e bella terra: dalla capitale Brasilia alle profondità della foresta tropicale nei pressi di Manaus. Dall’antica città portuale di Belem, a Recife, Fortaleza e Salvador Bahia; passando giorni ad ascoltare le persone di San Paolo, e poi delle campagne. Conoscevo il Brasile di venti e trent’anni fa, ma questa era una terra assolutamente nuova! Mi sono seduto con gli insegnanti delle cosiddette scuole galleggianti in Amazzonia. Parlarono dell’avanzata e della speranza giunta alla maggioranza delle lontane comunità indigene. Parlai con pescatori, ragazze-madri e anche contrabbandieri. Parlai con i bambini. La vita era migliorata da quando Lula prese il potere? Sì, naturalmente! Chi potrebbe dubitarne? Andai nei bassifondi di Salvador Bahia. Come in Venezuela, in tutti i quartieri poveri ci fu un grande progresso, ogni tipo di programma volto ad eliminare povertà e disuguaglianza, grande ottimismo ed attivismo. L’infrastruttura è stata migliorata alla velocità della luce, dai mezzi pubblici agli aeroporti. In molte città l’arte divenne totalmente gratuita. A Manaus assistetti ad un brillante balletto moderno, raffigurante la lotta per salvare l’ambiente dell’Amazzonia. Neanche nella splendida Opera House, dove Caruso cantò nei lontani giorni del bum della gomma, non veniva chiesto alcun biglietto d’ingresso. E a Belem assistetti all’ennesima rappresentazione gratuita, questa volta all’opera Verdi, un teatro comunale splendidamente restaurato. Una volta pericolosa e senza speranza, Belem è diventata una città dai grandi spazi pubblici, passeggiate e continui centri culturali. A Salvador Bahia, vicino al famoso ascensore, m’imbattei in un altro centro culturale che stava per essere occupato da manifestanti vocianti che chiedendo il miglioramento delle cure mediche in Brasile. chiesi: “le cure mediche gratuite in Brasile non sono migliorate negli ultimi anni?” “”, mi fu detto dagli organizzatori. “Ma ne vogliamo di migliori!” Il salone dove i manifestanti si erano riuniti era assolutamente pubblico. Nessuno dovette pagare l’affitto per usarlo. In pratica, era quasi come se il governo di Dilma stesse effettivamente pagando i manifestanti che protestavano contro la sua politica. Questa è la nostra democrazia!
    Il meglio arrivò con maggiori violenze dell”opposizione’, dall”élite’. Centinaia di ONG, alcune sponsorizzate ‘dall’estero’, guidano ben organizzate campagne di disinformazione e agitazione, per screditare il governo e destabilizzare il Paese. In precedenza, assistetti alle stesse azioni in Ecuador, Venezuela, Argentina e altrove. Quasi tutti i media erano ancora nelle mani dei conglomerati di destra. Il denaro veniva spudoratamente distribuito, comprando voti. Di conseguenza, i deputati corrotti e di destra continuano a inondare letteralmente il Congresso. Ad un certo punto, l’enorme paradosso è diventato insopportabile: qualcosa doveva cedere, collassare: Da un lato, (e nonostante il recente declino economico), il Brasile è in crescita e migliora le condizioni della maggior parte della popolazione. Grazie a Dilma e al suo PT, decine di milioni di persone ora hanno una vita migliore, più a lunga e godono di maggiore istruzione. Quando chiesto direttamente, le persone lo confermano prontamente. Dall’altra parte, numerosi cittadini brasiliani sostengono che “il governo e Dilma devono andarsene”. Non vi è alcuna logica che unisca queste due convinzioni. Solo che… Solo che continue campagne negative, manipolazioni machiavelliche e spudorata propaganda anti-sinistra infine hanno un impatto decisivo sulla psiche brasiliana! Le persone sono manipolate pensando in modo irrazionale ed estremamente bizzarro: “Stiamo meglio, ma non ci piacciono le forze che hanno migliorato le nostre vite“. Un giorno, sulla brillante metropolitana di San Paolo con il mio buon amico cubano dissi: “è molto meglio dei trasporti pubblici a Parigi o Londra“. “Davvero?” Chiese, sarcastico. “Ma la gente qui pensa che sia solo merda! Viene alimentata solo da critiche. Qualunque cosa faccia il governo, è sempre descritta sbagliata!” Non dimentichiamo da dove tutto ciò origini. La propaganda è prodotta all’estero, e viene solo modificata e calibrata su San Paolo e altrove, per il consumatore locale. Tutto ciò è estremamente professionale, potente e distruttivo, e viene diffuso in tutta l’America Latina. L’obiettivo è semplice: fermare le rivoluzioni dell’America Latina! Sostenere lo status quo.
    Ora il Congresso ha avviato l’impeachment della Presidentessa del Brasile, Dilma Rousseff. Se tale dramma continuerà, sarebbe l’inizio della fine della cauta rivoluzione brasiliana e del governo del popolo (i deputati corrotti che cercano di rovesciare il governo in realtà non servono altro che le proprie egoistiche ambizioni finanziarie e politiche). Neanche parte della stampa occidentale ha potuto trattenersi oltre. The Daily Mail ha scritto il 18 aprile 2016, subito dopo la votazione: “La decisione è un duro colpo alla leader assediata che ha ripetutamente sostenuto che l’assalto contro di lei è un ‘colpo di Stato’. Mentre Rousseff non è personalmente accusata di corruzione, molti parlamentari che hanno deciso il suo destino lo sono. Congresso em Foco, un gruppo di controllo di Brasilia, ha detto che degli oltre 300 parlamentari che hanno votato, ben più della metà della camera, sono indagati per corruzione, frode o reati elettorali. Mentre votavano, alcuni legislatori hanno detto che il prossimo politico che va indagato dovrebbe essere il responsabile del procedimento, il portavoce Eduardo Cunha, accusato di corruzione e riciclaggio di denaro nello scandalo che coinvolge la Petrobras, e affronta anche un’inchiesta etica su conti bancari svizzeri non dichiarati. “Dio abbia pietà di questa nazione”, ha detto Cunha mentre votava a favore dell’impeachment della Rousseff”.
    Cosa ha fatto di male Dilma, a parte la difesa degli interessi dei poveri brasiliani (anche se questo è già un crimine per le “élite” e l’impero!)? Le accuse ‘ufficiali’ sono: Rousseff ricorreva a ‘trucchi contabili’ sul bilancio federale per mantenere la spesa e puntellare il sostegno. Non ha rubato nulla, ne scambiato denaro con favori. Nessuno l’accusa di corruzione. Anche se ‘trucchi contabili’ ci sono davvero, non è certo un crimine. Qualcuno potrebbe dire che ogni presidente brasiliano l’ha fatto a un certo momento. Quasi tutti i politici occidentali lo fanno, sempre. Proprio prima che questo saggio andasse in stampa, International The Daily Telegraph scriveva: “La NATO mi attacca per la contabilità creativa. I ministri hanno adempiuto all’obiettivo della NATO sulla spesa per la Difesa “modificando” la contabilità, ha detto il deputato…” ma niente appello per l’impeachment in occidente! Anche The International New York Times non poteva rimanere in silenzio. Il 21 aprile 2016 s’è scagliato sui parlamentari brasiliani nell’articolo di Celso Rocha de Barros: “Nelle ore di sessione televisiva di domenica, i parlamentari hanno spiegato la decisione del voto per l’impeachment: Hanno votato per la pace a Gerusalemme, per i camionisti, per i liberi massoni in Brasile e a causa del comunismo che minaccia la nazione. Pochissimi parlamentai hanno votato secondo le accuse effettivamente avanzate contro la presidentesse: aver violato i regolamenti sulla finanza pubblica… il vero motivo per cui la presidentessa è accusata è che il sistema politico brasiliano è in rovina. L’impeachment darà conveniente distrazione mentre altri politici cercano di fare ordine a casa”.
    Sì, Dio abbia pietà del Brasile se Cunha, o il corrotto vicepresidente Michel Temer e le sue coorti prendessero il potere! O, più precisamente, Dio abbia pietà della maggioranza ingannata del popolo brasiliano! Chi è davvero Cunha? Un cristiano fondamentalista, un jihadista radicato nel più oscuro passato dittatoriale dell’America Latina. The Guardian l’ha descritto il 21 aprile 2016: “Il presidente della Camera Eduardo Cunha, conservatore e seguace evangelico, ha avviato e guidato l’unità per rimuovere dal potere la prima donna leader del Paese, per ridurre i rischi che corre con le indagini del comitato etico del Congresso e dei procuratori su presunta falsa testimonianza, riciclaggio e concussione per almeno 5 milioni di dollari.
    Il popolo brasiliano ha eletto democraticamente Rousseff. L’ha votata affinché lo difendesse e ne migliorasse la vita. Dovrebbe pensare a loro, e solo a loro! Ciò che l”opposizione’ vuole è chiaro. Lo stesso ovunque: in Venezuela, Bolivia ed Ecuador. La destra ha vinto in Argentina, dov’è oggi impegnata a smantellare lo Stato sociale. Va fermata. Il governo ha ragionato con loro per mesi e anni. Ma hanno optato per il colpo di stato. Ora serve la forza. Per quanto brutto possa sembrare, non agire sarebbe molto più dannoso e pericoloso. Un parlamentare, un rappresentante dell’estrema destra di Rio de Janeiro ha dichiarato apertamente che “dedica il suo voto al colonnello responsabile delle torture di Rousseff” durante la dittatura del Brasile. Persone come lui non possono governare il Paese. Non di nuovo! La nazione e la volontà del popolo non sono sacchi da boxe. La libertà di parola non significa che a una manica di media e politici traditori sia consentito diffondere menzogne e odio, rovinando il Paese. Il Brasile è troppo grande. Non può essere abbandonato. L’intera America Latina lo chiede, in un modo o nell’altro. Invia i carri armati per le strade; parcheggiali di fronte al Congresso, Dilma! Ristabilisci l’ordine e la democrazia. Ricorda: Venezuela, Bolivia ed Ecuador, e il resto del mondo, stanno a guardare. Dopo più di 500 anni, compagna Dilma: più di 500 anni di tormenti, saccheggi e riduzione in schiavitù dei popoli latinoamericani per mano di invasori stranieri ed élite locali. Dì ai tuoi nemici, ai nostri nemici: “mai più!” Usa la forza, perché il tempo per la ragione è passato! Mai arrendersi!
    Viva il Brasile, dannazione!Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
    https://aurorasito.wordpress.com/cat...bolivarismo-2/
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    Ghibellino
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    Il Brasile sotto attacco, ci risiamo

    di Manlio Di Stefano
    In Brasile la democrazia è sotto attacco. Con un vero e proprio colpo di stato istituzionale, tutte quelle forze politiche che per ben quattro tornate elettorali sono uscite ampiamente sconfitte dal confronto con il Partito dei Lavoratori (PT), vogliono rovesciare un governo legittimo votato da 54 milioni di brasiliani.
    L’obiettivo è ovvio, prendere il potere e attuare quelle misure neo-liberiste che tanti danni hanno prodotto durante la cosiddetta «larga noche neoliberal».
    La presidente Dilma Rousseff non è coinvolta in nessuna indagine di corruzione ma il processo di impeachment che la riguarda è basato sull’accusa «di aver manipolato i dati sulla situazione economica in Brasile». Accusa che, con il passar del tempo, si è rilevata sempre più debole tanto da spingere il New York Times a parlare di «motivazioni estremamente dubbie» e il The Economist ad affermare che «senza alcuna prova di reato, siamo di fronte a un pretesto per cacciare un presidente».
    La situazione in cui si trova Dilma Rousseff è paradossale visto che ben 318 membri su 594 del Congresso brasiliano, non solo si trovano sotto inchiesta per reati finanziari e corruzione ma, dovranno votare sul futuro di un presidente che non ha compiuto alcun reato o scorrettezza finanziaria.
    Durante la votazione alla Camera dei Deputati abbiamo ascoltato le motivazioni più assurde per giustificare l’appoggio alla messa in stato di accusa del presidente in carica: dal «volere di Dio» alla «famiglia», passando per «i militari del colpo di stato del 1964».
    L’opposizione – screditata e corrotta – vuole tramite questa operazione arrivare alla destituzione di Dilma Rousseff. Sarebbe il secondo caso per il Brasile dopo la destituzione del liberale Fernando Collor nel 1992. Prima di arrivare a compimento di quello che la presidente ha definito senza mezzi termini «colpo di stato», il Senato dovrà approvare la messa in stato di accusa a maggioranza semplice (42 su 81 senatori) a quel punto comincerebbe il processo a Dilma Rousseff che dovrebbe lasciare il suo incarico per 180 giorni con il passaggio del potere a Michel Temer del Partido del Movimento Democratico Brasileno, formazione centrista che ha rotto la sua alleanza di governo con il Partito dei Lavoratori (PT). La destituzione definitiva dovrà essere approvata con il voto di almeno 54 senatori su 81, i due terzi della Camera Alta.
    In questo ipotetico scenario, Michel Temer sarebbe nominato nuovo presidente e avrebbe il compito di portare la legislatura a naturale scadenza nel 2018. Sul politico centrista, però, grava un processo di impeachment così l’incarico passerebbe ad Eduardo Cunha (sotto indagine per svariate attività illecite) che avrebbe l’obbligo di convocare nuove elezioni entro 90 giorni.
    Secondo voi chi c’è dietro quest’attacco contro la democrazia brasiliana?
    Pochi giorni fa il presidente dell’Ecuador Rafael Correa denunciava come in America Latina sia «in corso un nuovo piano Condor».
    Il 14 aprile del 2002, dopo il fallimento del colpo di stato in Venezuela contro il presidente democraticamente eletto Hugo Chavez, sancì l’uscita degli Stati Uniti dall’America Latina la quale poté progressivamente spezzare le catene del Fondo Monetario Internazionale. Poco dopo, nel 2003, gli USA invasero l’Iraq.
    E oggi cosa sta succedendo? Presa coscienza del fallimento su tutta la linea in Medio Oriente, Washington tenta nuovamente di ritornare in America Latina con tutti i mezzi illeciti che conosce.
    Le tecniche del passato – colpi di stato militari – non possono essere più utilizzate ma Washington trova sempre nuove vie: “inchieste giornalistiche”, impeachment creati ad arte e guerre economiche costanti.
    Dal futuro del Brasile dipende il percorso d’integrazione libero ed indipendente dell’America Latina e, di conseguenza, la sorte delle istituzioni dei BRICS.
    Tutti i democratici del mondo, quelli veri, oggi dovrebbero stringersi intorno a Dilma Rousseff e al suo partito.



    https://albainformazione.com/2016/04/23/16037/
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  5. #5
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    Tito Pulsinelli "Guardali in faccia... analfabeti e quelli che hanno bisogno dei servizi sociali non devono avere diritto al voto" scrive con disprezzo Juliana Santos. E' una attivista che irradia nelle reti sociali dei brasiliani "perbene" questa diafana sintesi del pensiero reazionario contemporaneo, in voga
    nel subcontinente americano.
    Non ha nessuna importanza se Dilma Rousseff ha ricevuto 54 milioni di voti per arrivare alla presidenza del Brasile. Quando le elezioni danno responsi svantaggiosi per i ceti privilegiati, l'ostacolo va aggirato e rimosso con moderne congiure di palazzo. Attuate dal potere legislativo, frange dell'apparato giudiziario e mafia mediatica, Dietro le quinte la banca locale e internazionale.

    Per tutte le Juliana Santos le cose importanti debbono deciderle 500 deputati, qualche centinaia di senatori, un pugno di alti giudici e uno sfacciato monopolio mediatico, non i 200 milioni di cittadini brasiliani. Soprattutto quando la maggioranza è riuscita a strappare il potere politico ai soliti noti ed è il pilastro d'un nuovo corso dello sviluppo nazionale con inclusione sociale. In ogni caso, è annullato il principio di "una persona un voto". Diventato un lusso anacronistico per agro-esportatori, borghesia industriale e banchieri locali, che si sentono minacciati dalla crisi e si radicalizzano.



    Gli appetiti di costoro, convergono in una sintonia perfetta con gli interessi degli USA, deciso a far piazza pulita con mezzi eterodossi -ma pur sempre nel solco della loro tradizione interventista- dei governi sgraditi o considerati ostili (Bolivia, Ecuador, Venezuela, Nicaragua, Salvador e nei Caraibi). Per Washington è una questione geopolitica rilevante spingere il Brasile fuori dal BRICS, sbarrare la strada all'attiva presenza sempre più ingombrante delle multinazionali e banche della Cina. Soprattutto dopo le grandi difficoltà in medioriente e i buchi nell'acqua con le fallimentari guerre asiatiche, che hanno messo in risalto la relatività della loro egemonia.

    Dopo questi passi indietro, le crescenti difficoltà militari con la Russia, finanziarie con la Cina e l'avanzare della de-dollarizzazione, Washington ha fretta di riprendere il controllo completo sull'America latina e recuperare un nuovo equilibrio. Deve intaccare lo sfavorevole rapporto di forza regionale determinato da Chavez.
    Hanno segnato un punto a favore con l'arrivo di Macri alla presidenza dell'Argentina che -pur non dfisponendo di una maggioranza parlamentare- in soli tre mesi ha rimesso il suo paese agli ordini del FMI e di Wallstreet. Al costo di una svalutazione superiore al 40%, privatizzazioni a marcia forzata e disoccupazione in forte rialzo.

    Il neo-pinochettismo rilanciato con i nuovi golpe mediatici pianificati dagli USA, è la riproposizione ingannevole dell'ultraliberismo dei Chicago boys senza le uniformi e le armi dei gorilla. Privatizzare tutto e subito, senza le baionette (per ora). Danno mano libera ai tirannelli mediatici, a migliaia di ONG finanziate da Soros e dal partiti delle due sponde dell'Atlantico. Una permenente campagna aquisti di deputati e giudici anti-nazionali e -nel caso del Venezuela- aggiunge una guerra per asfissiarla con il boicottaggio economico e commerciale. Non ti vendono le medicine e gli alimenti e poi accusano di affamare il popolo; così come in Siria danno armi ai "terroristi moderati" e poi accusano le autorità di repressione barbara dell'inerme società civile.

    L'elite che vuole il controllo del mercato-mondo è decisa a liquidare ogni potere che emana dal voto dei cittadini. I passi del tribalismo finanziario sono diretti a riportare l'orologio ad un tempo anteriore alla rivoluzione francese. Le teste visibili del potere, in ogni caso, devono essere scelte direttamente da loro, non dagli elettori. Ora più che mai, dopo che la plebe ha smentito l'iniziale menzogna del "non c'è alternativa diversa alla mia" dell'epopea trionfalista e fanatica della mitizzata globalizzazione. Dagli anni 90, vari paesi in America latina hanno sfidato il fondamentalismo finanziario, navigando lungo altre rotte.

    Esempi contagiosi da debellare ipso facto con la terapia neo-pinochettista. E' in pericolo lo storico progetto dello sviluppo nazionale autonomo e l'integrazione regionale in un blocco sovrano. Le reminescenze neocoloniali presenti in questo riflusso oscurantista sono una minaccia grave per la corta primavera dell'inclusione e dell'equità sociale. Si avvicinano tempi di burrasca e di battaglia nel subcontinente americano.

    Selvas Blog: AMERICA LATINA: L'AGGUATO NEO-PINOCHETISTA
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  6. #6
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    Si capiva.
    Sicuramente, il governo di questa signora avrà fatto cagate come la storia dei mondiali di calcio, però è chiaro come il sole che quello che sta succedendo è un' operazione geopolitica, con l' ausilio delle solite classi dirigenti reazionarie locali che vogliono rubare di più.
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

  7. #7
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    il liberalismo messo alle strette fa uscire il suo vero volto, quello che tradizionalmente gli appartiene, quello classista e reazionario.
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  8. #8
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    Terribile notare come "i soliti noti" stiano cercando, ormai da tempo, di distruggere tutti i progetti alternativi all'unipolarismo yankee. Nel medioriente, nell'America latina e nelle zone vicine alla Russia.

    Personalmente non sono un grande estimatore della Rousseff e di Lula, ma cento volte meglio loro che una giunta al soldo di Wa$hington.
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  9. #9
    cancellato
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    questo Brasile chissà se farà come l'Argentina dei primi anni 90 oppure come il Messico del passato, cioè a bussare alla porta del neoliberismo

  10. #10
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Il Brasile destabilizzato e polarizzato

    Chissà cosa succederà se le Clinton sarà presidente degli USA, a questo punto meglio Trump e vediamo cosa succederà in tal caso. E' un fatto, ahimè, che in tutta l'America latina c'è in corso un riflusso preoccupante, Cuba sembra strizzare l'occhio, il Venezuela bolivariano è sotto assedio, la Bolivia di Morales comincia a traballare, il Perù può tornare sotto il giogo dei Fujimori, l'Argentina di Macri è avviata al ritorno neoliberista, il Brasile di Dilma è sottoposto ad attacchi quotidiani, resistono solo le enclave zaapatiste nel Chiapas, il Salvador del FMLN, il Nicaragua di Ortega e l'Ecuador di Correa, tempi bui.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 
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