Originariamente Scritto da
sideros
Sul sacrificio
In Georg es Bataille (1897-1962) il sacrificio non è un tema: è il tema per eccellenza, quello in cui si raggrumano tutte le altre questioni (il problema della guerra, della religione, della festa).
E Bataille, pur senza affermarlo esplicitamente, sta quasi suggerendo che la catena mezzo/fine è più antica rispetto a quella causa/effetto. Con la creazione di utensili e col lavoro, si costruisce il mondo delle cose e la conoscenza esterna: se l’animale non ha una realtà oggettiva, la trascendenza umana è onniavvolgente, nel senso che l’uomo, per essere tale, deve riportare dinanzi a sé ogni altra cosa. Quello animale è, per dirla con Edmund Husserl, un mondo di evidenze originarie e contraddistinto dall’istantaneità eterna, nel senso che l’animale vive nell’istante (non pensa alla propria nascita né alla propria morte); al contrario, quello della trascendenza è il mondo segnato dalla temporalità, che nasce come durata. Quest’ultima è un flusso continuo (si avverte l’eco di Bergson), è negazione dell’eternità dell’animale: nella temporalità della trascendenza, gli oggetti hanno una loro precisa durata, anche se poi finisce per prevalere una sorta di “estasi del futuro”. Ciò induce Bataille a spostare l’attenzione sulla società industriale, che è l’apice della trascendenza. Ma dell’immanenza, a rigor di logica, non possiamo dire nulla, perché parlarne vuol dire oggettivarla e, dunque, entrare già nella trascendenza. La conseguenza è che nell’immanenza non posso conoscermi, giacchè la conoscenza implica sempre, per così dire, uno sdoppiamento tra l’Io e il non-Io: ciò non di meno, ciascuno di noi reca in sé il ricordo sfuocato del proprio stato fetale, in una sorta di reminescenza platonica; la nostra stessa esistenza è costellata da eventi che lavorano per distruggere la trascendenza; dei quali, forse il più importante è il sacrificio. Per come siamo abituati a pensarlo noi, esso mette in contatto l’uomo con la trascendenza divina: ma per Bataille esso non fa che distruggere la trascendenza; è una delle grandi cifre dell’esistere umano, perché ne mette in questione l’essere nella misura in cui lotta contro la trascendenza. Ma Bataille non propone un nostalgico ritorno all’immanenza: egli sceglie piuttosto il paradosso, che lo induce a tenere insieme i due opposti (il ritorno all’immanenza e il non poter prescindere dalla trascendenza), facendoli essere coessenziali. Roger Callois distingue tra “sacro bianco” e “sacro nero”: il primo permette di incatenare l’ordine delle cose, aprendo la via al traffico tra uomini e dèi; ma il secondo scatena, ha un aspetto terrifico e violento. Questi due sacri hanno però un punto di contatto, nella misura in cui l’incatenamento può avvenire solo tramite lo scatenamento; è soltanto il varcare il confine che mi permette di vederlo e prenderne coscienza. Ora, nel sacrificio di cui scrive Bataille sono presenti i due sacri, giacché esso “distrugge ciò che consacra”, in un “consumo definitivo” e irreversibile. Il principio del sacrificio è allora la distruzione: sacrificando, si desidera distruggere la cosalità della cosa, restituendo la vittima al regno da cui proviene (l’immanenza), sottraendola all’ambito dell’utilità (non a caso si sacrificano sempre cose utili). Bataille dedica alcune pagine allo studio antropologico del “potlach”, di quella pratica, diffusa presso certe tribù indiane, con cui il capo-tribù, quando riceve il capo di un’altra tribù, fa un sacrificio con cui spreca e distrugge risorse per dimostrargli la propria sovranità e per legare la controparte, che si vede così costretta a compiere a sua volta un sacrificio ancora più ricco. Il sacrificio è per Bataille caratterizzato dalla morte, la quale – quasi heideggerianamente – non è mai la mia morte, è sempre quella altrui. E con la morte torno ad essere una goccia nell’acqua, ritornando all’immanenza e riconfluendo così nell’insieme magmatico in cui tutto è tutto. Sicchè il sacrificio è la porta che reintroduce nella violenza, nella morte, nell’immanenza: ma è qualcosa che è impossibile e, insieme, necessario. L’erotismo stesso è il momento in cui l’essere discontinuo muore per far vivere un altro essere discontinuo: non è un caso che in francese “orgasmo” si dica “petite morte”, cioè “piccola morte”. Nell’atto erotico si smarrisce il principio di individuazione: tanto l’erotismo quanto il sacrificio implicano la morte. Sartre disse che quella di Bataille era una “buona piccola estasi panteistica”: e alle critiche sartreiane, Bataille risponde in maniera un po’ scontata e banale, limitandosi a riportare e commentare i passi in cui viene accusato. In definitiva, il sacrificio è un rifluire nell’Uno-Tutto: ma nella consapevolezza che si tratta di un riflusso impossibile e al tempo stesso necessario, in un’ottica del paradosso.
Il corpo e la carne. La comunità secondo Georges Bataille e Simone Weil