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    Predefinito Come non onorare Regeni e compromettere i propri interessi economici

    Giustizia for dummies: come non onorare Regeni e compromettere i propri interessi economici

    Di Mauro Bottarelli , il 9 aprile 2016 5 Comment




    “Il richiamo per consultazioni a Roma dell’ambasciatore italiano in Egitto è la misura immediata, la prima”, a seguito della mancata collaborazione delle autorità egiziane sulle indagini per chiarire la morte di Giulio Regeni e, sugli altri passi, “ci lavoreremo nei prossimi giorni”. Parole e musica del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a Tokyo per partecipare al G7 di Hiroshima: “Ricordo sempre gli aggettivi che ho usato e cioè che adotteremo misure immediate e proporzionali: questo ci siamo impegnati a fare e questo faremo”. Il vertice di Roma di giovedì e venerdì tra gli inquirenti italiani e quelli egiziani, infatti, è terminato con un nulla di fatto, reso plastico – stando alle ricostruzioni di stampa – dall’opposizione del Cairo alla presentazione dei tabulati telefonici e delle celle del quartiere dove il giovane ricercatore italiano è stato rapito il 25 gennaio scorso e di quello dove è stato ritrovato: “La legge sulla privacy ce lo impedisce”, avrebbe argomentato il procuratore Mostafà Soliman. Viene da ridere pensando allo Stato di polizia che è ed è sempre stato l’Egitto ma capirete più tardi perché questa scusa, magari venduta male, ha un suo senso. O potrebbe averlo.

    Ciò che avevo da dire sul caso Regeni l’ho già detto nel mio articolo del 31 marzo scorso e lo ribadisco. Ora, alla luce della quasi rottura delle relazioni tra Italia ed Egitto, voglio solo aggiungere alcuni tasselli, tutti ufficiali e tutti citando fonti pubbliche. Il 15 gennaio scorso sul sito di Confindustria compariva questo link: “MISSIONE IMPRENDITORIALE IN EGITTO – 3/4 FEBBRAIO 2016. Il Ministro dello Sviluppo Economico On. Federica Guidi si recherà in Egitto in visita ufficiale il 3 e 4 febbraio 2016 a capo di una delegazione formata da imprenditori italiani. Lo scopo della visita è di esplorare i vari modelli di business e le opportunità che possano rafforzare le relazioni economiche tra i due Paesi. L’ufficio Commerciale del Consolato d’Egitto a Milano ci comunica che l’invito è esteso ad aziende del settore energia, costruzioni, automotive e componenti auto, agroalimentare, tessile e abbigliamento, gomma e plastica e chimica di base. Le aziende ammesse a partecipare saranno selezionate dagli organizzatori”. Già, la stessa Guidi giubilata e fatta dimettere pochi giorni fa per quella che è già stata ribattezzata Trivellopoli. E quando viene trovato il cadavere martoriato di Giulio? Il 3 febbraio. Un bel comitato d’accoglienza, non c’è che dire, tanto che la stessa Guidi fa annullare una cena di rappresentanza prevista per la sera stessa in segno di rispetto e lutto e il nostro ambasciatore si reca in obitorio a visitare la salma.

    Ma non basta, perché il 10 febbraio scorso, Andrea Purgatori scrive quanto segue sull’Huffintong Post: “Forse è solo una coincidenza o forse no, ma proprio nelle quarantotto convulse ore consumate a cavallo del ritrovamento del corpo martoriato di Giulio Regeni, il generale Alberto Manenti, direttore dell’Agenzia per la sicurezza esterna (Aise), si è trovato al Cairo faccia a faccia con i vertici dei servizi segreti egiziani. Questo risulta all’Huffington Post da almeno due fonti, che hanno confermato le voci che circolavano già da alcuni giorni. È possibile che si trattasse di una missione programmata da tempo, ma a questo punto non è nemmeno da escludere che la decisione di inviare in Egitto il capo del nostro servizio segreto sia stata invece presa dal nostro governo proprio per esercitare il massimo della pressione nel momento in cui l’allarme per la sorte del giovane ricercatore era altissimo e in molti cominciavano a temere che la sua sparizione avesse un esito tragico”.

    Ecco invece le parole del generale, Magdy Basyouni, ex viceministro dell’Interno egiziano, riportate dell’AGI dopo una sua intervista all’emittente “Ghad”: “Chi ha ucciso Regeni è l’intelligence internazionale allo scopo di minare i rapporti tra Egitto e Italia. La polizia egiziana è assolutamente innocente. Che beneficio avrebbe tratto da questo crimine? Avrebbe torturato un giovane per poi gettare il suo corpo da un ponte in concomitanza della visita di una missione economica italiana in Egitto?”. Bella domanda. Senza contare che Matteo Renzi è stato il primo leader europeo a riconoscere il governo di Al Sisi, non suscitando scene di giubilo nei nostri cosiddetti partner e alleati, dopo che Morsi si era venduto anima e corpo ai Fratelli Musulmani: il livello di partnernariato commeciale tra Italia ed Egitto a qualcuno andava stretto. Casualmente, in questi giorni il governo Renzi traballa sotto il peso di veline, intercettazioni, dossier veri o presunti per uno scandalo legato proprio al petrolio. La Guidi si è dimessa, tra una settimana si vota il referendum sulle concessioni estrattive e di colpo tutto sembra unirsi in un grande puzzle invisibile. Quantomeno, a livello temporale.

    Ed ecco invece cosa pensa al riguarda il generale Mario Mori, ex capo del Sisde Intervistato a “L’aria che tira” su La7 da Andrea Pancani il 5 aprile scorso: “C’è una realtà disattesa o comunque sottaciuta. Giulio Regeni è arrivato in Egitto come portatore di un master che gli era stato commissionato da un’università inglese. Ora, io mi rifiuto di credere che il professore che gli ha commissionato questo master non sapesse quale era la situazione egiziana. Perché mi sembra che questo ragazzo sia stato mandato allo sbaraglio, per il fatto che è andato là”. Non era la prima volta che ci andava? “Non era la prima volta che andava là ma proprio per questo, la ripetitività può creare – nella situazione locale, dove ci sono contrasti violentissimi, da una parte tra la fazione di governo e dall’altra con la Fratellanza musulmana – un sospetto per l’attività di questo ragazzo in tutte e due le parti. Vedremo come andranno le cose, orientativamente sembra più una responsabilità governativa che della Fratellanza”.

    Al netto dell’ultima frase, visto che se fosse stato ordine di Al Sisi il corpo non si sarebbe mai trovato credo, ecco forse spiegato il no degli egiziani ai tabulati e alle celle telefoniche: sicuramente c’erano loro uomini che seguivano l’attività di Giulio e svelare dati significherebbe bruciarne identità e copertura. Ma Mori dice anche che entrambe le parti, anche la Fratellanza musulmana, poteva sospettare della sua attività. O, magari, usarla come alibi. E doppio gioco. Comunque, potevano averlo “attenzionato”.
    Bene, il 3 aprile scorso ricevo sul mio account Twitter due tweet da tale Paz Zarate, apparentemente amica di Gulio Regeni e, come ho scoperto dal suo account, avvocato di diritto pubblico internazionale a Oxford, Cambridge e Universtà del Chile e mi pare di capire anche collaboratrice di El Pais e Huffington Post. Ecco il testo: “Ho letto l’articolo oltraggioso che ha scritto sul mio amico Giulio. Era uno studente di dottorato. Alla Oxford Analytica è stato editor on-line solo per un anno. Il suo pezzo a speculativo è diffamatorio della carriera di una persona innocente e garantisce beneficio ai suoi killer egiziani creando fumo”. Ho rispetto del dolore di congiunti e amici di Giulio, più di quello di facciata di chi plaude alle mosse di Gentiloni e quindi ho evitato di farle notare che darmi di fatto del fiancheggiatore degli assassini potrebbe costarle caro davanti a un tribunale (oltre che porre qualche dubbio sulla sua brillantezza accademica) ma l’avvocatessa ha compiuto tre errori in 280 caratteri.

    Primo, se avesse letto davvero il mio articolo apparso su RischioCalcolato – o se le fosse stato tradotto propriamente – avrebbe letto quanto segue: “Giulio Regeni non era una spia ma lavorava per un’agenzia di intelligence di alto livello che intrattiene rapporti professionali con aziende e governi, quindi con servizi segreti: forse, era una spia a sua insaputa. Forse, è stato usato. Certamente, è stato tradito. Magari qualche domanda in più a Washington e Londra andrebbe fatta…”. Cosa c’è di oltraggioso in queste parole? Secondo, lei stessa nel suo tweet di ieri chiedeva che il governo britannico si facesse sentire in prima persona riguardo la vicenda di Giulio Regeni: perché, se si tratta solo di un’esecuzione nata meramente in ambito egiziano? Perché aveva studiato a Cambridge? Un po’ pochino per scomodare l’esecutivo, mi pare. Terzo e sempre legato a questo: prima dice che Giulio era solo un dottorando e aveva lavorato al desk on-line di Oxford Analytica solo per un anno e poi mi accusa di oltraggiare la “sua carriera”. Non vi pare questa una diretta conferma di quanto detto dal generale Mori riguardo al fatto che Regeni sia stato mandato in Egitto allo sbaraglio dall’università inglese per cui stava compiendo il master? Non è che una missione nel Regno Unito potrebbe essere utile ai nostri investigatori, se davvero vogliamo la verità sulla morte di Giulio Regeni?

    Sarà, mi riprometto di non toccare più l’argomento, tanto è inutile. Soprattutto in un Paese dove ora i politici invocano verità per Gulio in nome della dignità dell’Italia, dopo aver scambiato i 20 morti del Cermis (3 febbraio 1998) per l’estradizione della terrorista Silvia Baraldini o la vita di un funzionario dello Stato come Nicola Calipari per un piatto di lenticchie, garantendo l’immunità al suo assassino. Che era un militare Usa, come i Top Gun che giocarono con la vita di innocenti – esattamente come Giulio -, i quali avevano la sola colpa di andare a sciare (maledetti borghesi). All’epoca, nessuno chiese il rientro per consultazioni dell’ambasciatore negli Usa, nemmeno il boicottaggio della Coca Cola per una settimana. Non si fece un plissè. E mai si chiese alcunché o si minacciarono ritorsioni verso la Francia, anche se ormai che l’abbattimento del volo civile Itavia sui cieli di Ustica fu responsabilità dell’aeronautica d’Oltralpe è cosa stra-nota (tranne a Giovanardi che ancora crede alla versione del piccione kamikaze o alla bomba a tempo su un volo in ritardo). Segreto Nato.

    E l’elenco delle sudditanze senza fiatare sarebbe lungo. Fate quello che volete ma fatelo in silenzio, almeno. Così state solo ammazzando Giulio per la seconda volta, usandolo come alibi. E qualcuno se la ride, sfregandosi le mani per l’occasione che gli stiamo regalando – su un piatto d’argento – nel Mediterraneo. Chissà chi ci imporranno dopo Matteo Renzi al governo? Vivendi dopo Telecom si è presa anche il ramo pay di Mediaset, RCS torna sul mercato, il risiko bancario è in pieno svolgimento e l’Eni rischia un serio ridimensionamento se si rompono i rapporti con l’Egitto. Resterebbe Finmeccanica, forse. Tutto ora. Tutte coincidenze. O un altro 1992.
    Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @mauroBottarelli

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    Predefinito Re: Come non onorare Regeni e compromettere i propri interessi economici

    CAIRO-ROMA: COME TAGLIARSI LE PALLE E VIVERE FELICI


    DI FULVIO GRIMALDI
    fulviogrimaldi.blogspot.it
    Poi gli uomini di Stato inventeranno basse bugie e daranno la colpa alla nazione sotto attacco e tutti saranno soddisfatti di queste falsità che placano la coscienza e le ripeteranno diligentemente e rifiuteranno di prendere in considerazione qualsiasi refutazione. E così si convinceranno un po’ per volta che l’aggressione è giusta e ringrazieranno il Signore per il buon sonno di cui godono grazie a questo processo di grottesco auto-inganno.” (Mark Twain)
    E così, dopo la Jugoslavia delle nostre più belle vacanze e di una speranza di non finire mangiati vivi dal Moloch finanzcapitalista e dalle sue guerre infinite; dopo l’Iraq che ci comprava le navi, che faceva lavorare alla grande la Saipem e ci forniva ottimo petrolio; dopo la Libia che ci accendeva i fornelli, le lampadine, i caloriferi, ci rendeva amica l’Africa, e salvava dalla bancarotta le nostre migliori aziende; dopo la Siria, di cui eravamo il terzo partner commerciale; dopo l’Iran per ora non ancora ricuperato al ruolo di nostro secondo fornitore di idrocarburi e primo acquirente di prodotti, ci siamo giocati anche l’Egitto insieme al quale avremmo dato scacco matto a tutti i concorrenti mediterranei ed europei. E avremmo evitato di impelagarci in una guerra in Libia.


    A Parigi, Londra, Washington, Tel Aviv, Ankara, dove fino a ieri si infilavano spilli nella coppia di pupazzetti Al Sisi-Renzi e se ne bruciavano le effigi con le formule di rito, in tutti i comandi Nato, dal comandante in capo all’ultimo maresciallo di fureria, da quando si è saputo dell’esito dell’incontro inquirenti egiziani-inquirenti romani e del ritiro del nostro ambasciatore al Cairo, sono in corso baccanali a base di caviale e champagne. Il che non impedisce che si elevino inni ai Fratelli Musulmani, ai loro operativi bombaroli e alla liberazione dell’uomo nel nome della Sharìa. Prossime mosse: Egitto fuori dalle palle in Libia, sanzioni UE e poi ONU, rivoluzione colorata, attacco finale all’ultimo Stato nazionale arabo non normalizzato da squartare. Idrocarburi e Canale affidati a chi di dovere. Italia con i pantaloni alle caviglie e il tatuaggio “Enrico Mattei” sradicato. Tutto questo sempre che Al Sisi non si ravveda tempestivamente, si disponga prontamente a mettere in quarantena l'ENI rispetto al giacimento Zhor e non la sostituisca con la British Petroleum (BP), che del resto è già sul posto ed ha già incominciato a firmare contratti con il Cairo.

    Nuova vita al Fratello Morsi

    Nella sua cella, Mohamed Morsi si affaccia alle sbarre e annusa, insieme allo stimolante odor di tritolo che i suoi adepti vanno spargendo per Sinai ed Egitto, tutta un’arietta fresca e benefica in arrivo da oltremare. Un’arietta che sembra annunciargli una nuova primavera islamica, quella che aveva rallegrato il paese e i suoi sponsor regionali e intercontinentali quando il 13% di un popolo storicamente laico gli aveva consentito di applicare la sharìa a volenti e nolenti, spazzare via le sinistre laiche oppositrici, incartare le donne, bruciare le chiese cristiane e sparare sugli scioperanti. Fino a quando non gli arrivò tra capo e collo un day after da 20 milioni di egiziani che firmarono la sua detronazione, si strapparono il velo, mandarono a farsi fottere gli sponsor del Qatar ed euro-atlantici e decisero che un militare al governo era meglio di un fanatico baciapile islamista a cui della nazione Egitto, di faraoni, Tolomei, Nasser e riscatto socialista e antimperialista arabo non era mai fregato niente perché in testa aveva soltanto la brodaglia dell’Umma, buona per tutti, transnazionale come le corporation. Quella che i suoi padrini, un po’ con le buone, Fratelli Musulmani in jalabija, un po’ con le cattive, jihadisti in mimetica, avevano programmato come base culturale per le loro rinnovate scorrerie neocoloniali.
    Ma come si permette questo Al Sisi
    Per un po’ questo Abdel Fatah Al Sisi, per quanto sospetto per i suoi riferimenti a Nasser, e alla rinascita araba, i suoi giri di valzer con Putin, lo siamo stati a guardare. Vediamo che succede. Hai visto mai che ci fa rivivere i fasti del nostro vecchio bastardo Mubaraq. Intanto se la vedesse con i Fratelli metamorfizzati in califfi e con i loro quotidiani eccidi di poliziotti e civili dal Mar Rosso alla diga di Assuan. Ci si può sempre mettere con chi vince, purchè bastardo nostro. Ma, presto, il generale aveva incominciato a uscire dal seminato, ad alzare un po’ troppo la testa, a far ricomparire un Egitto protagonista geostrategico in Africa e Medioriente, quanto e più dei fidati clientes del Golfo, fastidiosamente laico, attore nordafricano e mediorientale, capace di far ombra a Israele e che twittava con Tehran. E allora c’eravamo dati da fare per cosa, annientando grossi stati arabi laici come Iraq, Libia, Siria, Yemen? Cos’era questa fregola di raddoppiare il Canale di Suez per aumentare le entrate e affrontare la crisi economica? Quale consulente di Wall Street o dell’FMI glielo aveva detto? Come si permetteva, assieme alla solita impertinente ENI, di scoprire e sfruttare il più grande giacimento di gas del Mediterraneo? Quello che al tempo stesso toglieve il primato energetico a Israele e Turchia, con il loro di giacimenti di gas marino e con i loro barili di petrolio rubato in Iraq e Siria da curdi e Isis. 850 miliardi di metri cubi di gas che ne potevano annullare il debito e, quindi, la dipendenza da FMI e BM. Senza che né Total, né Shell, né Chevron, né Exxon glielo avessero permesso.
    Toglietemi tutto, ma non la Libia!
    Ma il vaso già tracimante di molte gocce se ne uscì in getto raggelante nel momento in cui l’Egitto di Al Sisi prospettò una soluzione interna, cioè inter-araba, al caos creativo provocato in Libia dagli specialisti occidentali del regime change. Con un ulteriore vantaggio per l’Italia che intravvedeva la possibilità di risparmiarsi la grottesca spedizione coloniale dei 5000 armigeri della Pinotti, disapprovata dallì’opinione pubblica, ma per la quale Renzi soffriva il fiato sul collo degli americani. E non solo Al Sisi la prospettò, ma si mise ad attuarla collaborando con quel governo libico di Tobruk che la “comunità internazionale” aveva fatto il madornale errore di riconoscere perché legittimato da un minimo di procedure democratiche. Oltrechè dalla sua laicità, che pur si doveva fingere di sostenere. Ma quando, con l’aiuto dell’Egitto, a dispetto della costernazione occidentale, il generale ex-gheddafiano Khalifa Haftar riuscì a cacciare gli islamisti da Bengasi, minacciava di sventare il consolidato progetto di tripartizione della Libia, di mettere in difficoltà il mercenariato Isis, fatto arrivare apposta dalla Turchia per giustificare il nuovo intervento salvifico Nato, e di esautorare del tutto la carta islamista di riserva installata a Tripoli, la misura si colmava e accadevano alcune cose.
    A precipizio partirono per la Libia, forze speciali Nato. Messi all’angolo dall’Egitto che resta, bene o male, lo Stato più in grado di determinare i rapporti di forza nella regione, e ora di più grazie al nuovo potere energetico, i turchi accelerarono l’invio di traghetti pieni di tagliagole, gli attentati terroristici in Egitto divennero frenetici e presero a incidere pesantemente sulla seconda voce della sua economia, il turismo (pensate al volo russo abbattuto), e in Tripolitania entrarono in fibrillazione il regime islamista e le varie bande terroristiche più o meno collegate. E successe Sabratha e i quattro ostaggi italiani di cui due fatti ammazzare, due riconsegnati vivi e due corpi su cui traccheggiare per finalizzare la trattativa. Avvertimento non solo all’Italia. Tanto è vero che, da lì a poco, comparve all’orizzonte il gommone con sopra Fayez al Serraj, bottegaio promosso capo di governo da un ONU ligia ai dettami di chi conta (Usa, Nato, Turchia, Israele, Golfo). Un po’ di melina lì per lì, ma poi tutto un accorrere sotto le bandiere di colui che, per conto di chi conta, avrebbe finalmente dato legittimità alla richiesta di intervento militare occidentale in Libia. Con tanti saluti ad Haftar e alla soluzione arabo-egiziana che, per una volta nei secoli, non contemplava il bastone di maresciallo in mano a un Graziani, o a un qualsiasi interferente dell’eterna banda coloniale.
    Se non ci fosse stato Regeni, se lo sarebbero dovuto inventare
    Ed è in questo frangente che capita l’accidente, perfettamente a fagiolo, tanto da risultare a ogni evidenza pianificato, il ragazzo Regeni. Tutti a giurare sulle sue integerrime qualità di onesto e brillante ricercatore, bravo scolaro, ottimo studente, figliolo esemplare, sodale di sindacati indipendenti. Ma ancora oggi, né una madre che si sente in diritto di accomunare, novella giudice Jackson di Norimberga, nella bruttissima sorte del figlio un po’ tutti i giovani egiziani, né le cavallette mediatiche calate sul terreno per fare piazza pulita di ogni dubbio rispetto alla colpa di Al Sisi o, quanto meno del sistema da lui pinochettianamente governato, ha scoperto nel curriculum minuto per minuto di Regeni un dato biografico, etico e politico, in controtendenza rispetto all’immagine consacrata. Trattasi dell’annata dal giovane recentemente impiegata al servizio di Oxford Analytica, la società privata di spionaggio diretta da un megaspione e un serial killer, specialisti entrambi di False Flag: l’ex-capo dell’intelligence britannica, Sir Colin McColl, e John Negroponte, inventore e gestore di squadroni della morte in Centroamerica e Iraq, uno che sulle mani ha il sangue di qualche centinaio di migliaia di innocenti ammazzati.

    Multinazionale degli affari sporchi, ha uffici a Oxford, New York, Washington e Parigi e vanta una rete di 1,400 collaboratori. Prometteactionable intelligence, informazioni su cui si possa agire, senza ideologie o inclinazioni politiche". Dal settembre 2013 al settembre 2014, Regeni ha lavorato alla produzione del daily brief, "una decina di articoli pubblicati ogni giorno sugli eventi principali e mandata a una lista di clienti d'elite". Il fondatore del gruppo è David Young, uno dei dirigenti degli "idraulici" finiti dietro le sbarre per il Watergate..Bella gente, insomma, integra.

    Al di sopra di ogni sospetto. Tanto che, uscite queste notizie su Il Giornale e mai smentite, nessun ricercatore, indagatore, commentatore, analista, esperrto, biografo di Regeni, se ne è mai interessato. Che rilievo potrebbe mai avere il fatto che il ragazzo fatto ammazzare dall’immondo regime egiziano sia stato collaboratore di un’agenzia di spionaggio, abbia scritto spiate a vantaggio di “clienti d’élite”, agli ordini e su mandato di un serialkiller amerikano, di un ex-capo spione di Sua Maestà e di un delinquente condannato per il complotto del Watergate?
    Sono settimane che ci stressano a reti e destre e pseudo sinistre unificate sul povero ragazzo trucidato dagli infami del Cairo. Perorazioni, anatemi, invenzioni fantasmagoriche di dati e fatti, illazioni gonfiate a certezze ontologiche, latrati per chiedere giustizia e che trasudano una protervia razzista da far invidia agli Uebermenschen nazisti o sionisti. Al confronto l’accanimento sugli assassini di Calipari, punito per aver liberato la Sgrena ma, soprattutto, per aver scoperto chi davvero in Iraq rapiva giornalisti scomodi, o quello sui trogloditi che si divertivano sul Cermis a trinciare cavi di funivia e fare stragi, o quello sulle punizioni da infliggere - e sulle oscene grazie napolitanesche e mattarelliane concesse - ai rapitori Cia di Abu Omar, è stata un timido sussurro, un discretoflautus vocis. Vi torna la simmetria? E’ che, una volta, dall’altra parte c’era un Al Sisi qualsiasi, un parvenu del Terzo mondo che si permette di pretendere trattamenti alla pari; l’altra volta invece, il padrone. Il quale detta la musica in entrambi i casi.

    Taffazzi, eroe nazionale

    Presuntuosi come solo i cretini, noi che abbiamo alle spalle una palude in cui sono scomparsi più misteri di quanti siano potuti accadere in Egitto da Cleopatra in qua, dall’Egitto pretendiamo che ci fornisca un colpevole certo e inconfutabile. Che in ogni caso deve portare ad Al Sisi. Presuntuosi e cretini, sorvoliamo su un elemento logico che è tanto granitico quanto è di carta velina l’ossimoro congettura certa, o probabile certezza, nel quale si pavoneggiano i nostri inquirenti da strapazzo. Logica paradossale di un regime che rapisce, tortura e fa fuori un soggetto sgradito, in grado di compromettere non solo i rapporti con un grosso partner politico e commerciale, ma addirittura di minare le basi dello Stato, e poi lo fa ritrovare nel fosso in modo che stormi di beccamorti mediatici se ne cibino e poi defechino sul governo. Sarebbe un regime più imbecille e taffazziano di quello romano che dai Fratelli Musulmani e loro mandanti (magari londinesi) si è fatto fregare un bottino economico che gli avrebbe permesso di rinunciare, alla faccia di Bruxelles, a ogni flessibilità di bilancio.
    Entra in campo il rivoluzionario civile. Nientemeno
    Riflessione che potrebbe spuntare anche tra i neuroni di un Antonio Ingroia, non fosse che quei neuroni sono annegati in un vortice di livore come dal bravo PM della trattativa Stato-Mafia non ci si sarebbe aspettato. Con ben tre interventi sul FQ, di una virulenza da tifoso atalantino e di un nonsense giuridico che hanno sconcertato perfino colleghi magistrati come Spataro e Tinti, Ingroia ha cercato di risorgere come araba fenice dalla polvere del suo insano progetto politico, rampognando l’universo mondo per non aver ancora fatto a pezzi Al Sisi. Dimentico anche solo della prima lezione di giurisprudenza, ha ipotizzato che inquirenti italiani vadano, loro, a condurre l’inchiesta in Egitto, sbattendosene della sovranità altrui e, in mancanza, che ci pensassero le Nazioni Unite (magari spedendo i caschi blu?), o il Tribunale Penale dell’Aja. Già, proprio quello del famigerato procuratore Ocampo che, in tutto il suo mandato, ha mandato sotto processo solo imputati di pelle scura, sorvolando sui Blair, Bush, segretari Nato vari, golpisti nazisti e compagnia del genere. Al tempo della creatura ingroiana affetta da nanismo, “Rivoluzione civile”, m’era scappato qualche dubbio sulla sincerità del progetto, che non sembrava puntare ad altro che a sgambettare la corsa in avanti dei 5 Stelle. Ora le cannonate ad Al Sisi, completamente prive di razionalità giuridica, o sono lo sfogo nevrotico di uno che ha sbroccato, o sono peggio.
    Agli inquirenti egiziani hanno rimproverato di non aver portato sufficienti tabulati, video, celle telefoniche. Chissà se costoro abbiano fatto presente ai loro colleghi romani di essere ancora in attesa di esaminare l’elemento principale di tutta l’inchiesta: il computer di Regeni. Computer che i suoi famigliari hanno sottratto agli inquirenti legittimi portandoselo via dall’abitazione del ragazzo al Cairo. Ma, guardate, qui è tutto un gioco degli specchi, un ciurlare nel manico, la recita di un copione scritto dal solito regista. Per i nostri inquirenti, per la muta di ululanti che gli sta alle calcagna, per la lobby sion-atlantica-Fratellanza Musulmana, gli egiziani sarebbero stati credibili solo se avessero portato la foto di Al Sisi che strappa le unghie a Regeni.

    Ronzino di razza, il manifesto
    Il “manifesto”, per fortuna sempre più irrilevante e umoristicamente tenuto in vita dalla combinazione tra il titoletto “quotidiano comunista” e i paginoni pubblicitari dell’ENI (in simultanea con le scelleratezze ENI in Basilicata), ENEL, Telecom e altri malfattori seriali e magari anche dai ripetuti soffietti a Mario Draghi e dalla coltivazione di mortaretti di distrazione di massa come SEL o Tsipras, è il ronzino che tira la carretta degli attrezzi. Agli incendiari delle guerre di spartizione degli Stati nazionali fornisce la benzina dei diritti umani, in ispecie GLBT, il supporto alla satanizzazione di ogni leader indigeribile per l’Occidente e l’avallo a ogni False Flag, anche la più sbrindellata. Spiace constatare come un Michele Giorgio, puntuale e inconfutabile su ogni cosa israelo-palestiniese, appena supera, anche solo con lo sguardo, i confini del suo campo, la faccia abbondantemente fuori dal vaso. Succede con l’Egitto, come era successo con la Libia. Obnubilazione da diritto-umanesimo alla Kipling.
    Pensate che, nei suoi inserti di spocchia culturale a guida lobby, il quotidiano cripto-Nato è stato capace di inneggiare a Charlie Hebdo prendendo a pretesto una raccapricciante mostra delle peggiori copertine di questa pubblicazione-bazooka del nazi-sion-imperialismo, punta di lancia pseudo-satirica e autenticamente necrofaga dello “scontro di civiltà”.
    Dove la ributtante rivista rappresenta il culto della prima parte della definizione e la negazione della seconda. La mostra è accompagnata da un libro-spot con introduzione, indovinate di chi? Ma di Erri De Luca, di chi sennò? Lo stesso De Luca che avevamo visto dare l’imprimatur ai manifestanti detti pro-Regeni, pretoriani a chiacchiere dello scontro di civiltà. I recensori della turpe impresa hanno avuto il coraggio di mettere sullo stesso piano della “satira anti-oscurantista” le penne-killer di Charlie Hebdo e Momos, la dea greca dello scherno e della satira, amica di Dionisio. Come paragonare una vedova nera a un uccello del paradiso.
    Mentre le orde di unni mediatici si scaraventavano sull’Egitto di Al Sisi, per le pessime ragioni di cui sopra, inanellando nefandezza immaginaria e speculativa a nefandezza, un silenzio complice sta avvolgendo nell’oblìo la più terrificante ondata di terrorismo che un paese non in guerra abbia conosciuto.
    Quanto il mercenariato imperiale combina sporadicamente in Occidente, ultimamente in Francia e in Belgio, è robetta rispetto agli ininterrotti massacri con cui i Fratelli musulmani, travestiti da Isis e affini, uccidono migliaia di cittadini e, insieme, la sicurezza economica di 80 milioni di cittadini. Un armageddon di cui si tace.
    Anzi, delle misure di contrasto e repressione che il governo è costretto a prendere in difesa della società, contro questo terrorismo senza precedenti e senza confronti, si nega la causa e le si attribuiscono a una presunta guerra del regime alla propria popolazione.

    Se è vero, come è vero, che Isis e Al Qaida sono le forze armate di un imperialismo che non vuole scendere in campo in prima persona, oppure che deve presentare all’opinione pubblica una ragione per giustificare la sua discesa in campo in prima persona, è altrettanto vero che a pieno titolo sono Isis e Al Qaida anche coloro che producono un’informazione come quella che si sta occupando dell’Egitto. Consapevoli o inconsapevoli, sono terroristi quanto quelli.


    Fulvio Grimaldi
    Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it
    Link: MONDOCANE: CAIRO-ROMA: come tagliarsi le palle e vivere felici
    11.04.2016

 

 

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