Come ti strumentalizzo il caso Regeni

L'inchiesta sulla morte del giovane ricercatore è diventata uno strumento per raggiungere scopi politici tutt'altro che nobili

Era inevitabile che il caso Regeni venisse strumentalizzato a livello politico. L’unica cosa da fare era un’indagine trasparente, priva di pressioni da parte di correnti politico-ideologiche che hanno particolarmente a cuore l’eventuale caduta di al-Sisi, magari per ripristinare un improbabile governo legato ai Fratelli Musulmani. Le perplessità sono tante e portano anche in Gran Bretagna, dove Anne Alexander, una delle supervisor di Giulio, veniva immortalata sul palco di una manifestazione anti- al Sisi mentre lo accusava di essere un assassino e tutto ciò davanti a una folla che sventolava bandiere gialle con le quattro dita nere, simbolo della rivolta dei Fratelli Musulmani di Rabaa al-Adawiyya contro al-Sisi. Tutto ciò avveniva a inizio novembre 2015, ben prima dell’omicidio di Giulio. Come afferma Fausto Biloslavo nel suo pezzo, l’Inghilterra scende in campo per far luce sul caso Regeni e chiede all’Egitto “un’indagine completa e trasparente”, ma forse dovrebbe cominciare dal ruolo ambiguo dei referenti accademici di Cambridge, che hanno mandato lo studente friulano al Cairo. Il Secret service britannico è sicuramente al corrente dell’attivismo contro il regime egiziano e della vicinanza con i Fratelli musulmani, fuorilegge in Egitto, della docente Anne Alexander, che ha aiutato Regeni nella sua ricerca finita tragicamente. Curiosamente la bandiera gialla con le quattro dita nere appare anche nel sito e alle manifestazioni di quel “Comitato Libertà e Democrazia per l’Egitto”, presente in Italia e molte volte indicato dai media come vicino ai Fratelli Musulmani egiziani. Il sito web del Comitato, oggi su sfondo grigio chiaro e apparentemente meno “schierato”, mostra l’immagine di Giulio Regeni con scritto “verità per Giulio”; in passato però apparivano elementi ben più significativi: sfondo giallo, quattro dita di Rabaa, video di comizi tra cui quello di Salah Sultan, tanto per citarne alcuni. Il gruppo è stato impropriamente definito in un recente articolo “gli egiziani d’Italia”, come se rappresentasse tutta la comunità d’Egitto presente in Italia. La persona intervistata, Omar Jibril, immortalato in più occasioni a manifestazioni pro-Morsi Milano e Roma, risulta essere responsabile Area Servizi Edilizi ed Immobiliari del CAIM, coordinamento che aveva presentato il progetto per la moschea del Palasharp e accusato in più occasioni anch’esso da media e musulmani milanesi di avere legami ideologici con i Fratelli Musulmani. Ci sono poi altri elementi del direttivo CAIM ripresi a manifestazioni pro-Morsi, alcuni con tanto di gesto delle quattro dita e magliette gialle, tra cui il coordinatore Davide Piccardo e lo stesso Omar Jibril. Omar Abdel Aziz, fratello del responsabile relazioni interne CAIM, nell’estate 2013 veniva immortalato sul palco di Rabaa al-Adawiyya assieme a Salah Sultan, elemento legato all’ex governo islamista di Mohamed Morsi come segretario generale del consiglio supremo per gli affari islamici, segnalato in più occasioni per le sue visioni radicali e per le sue dichiarazioni anti-cristiane e anti-ebraiche, tanto che, secondo quanto dichiarato dalla Global Muslim Brotherhood daily Watch, il governo americano avrebbe sospeso le procedure per il conferimento della cittadinanza statunitense. Sultan veniva inoltre immortalato anche all’interno della sede dell’Alleanza Islamica d’Italia a Milano. Insomma, che ci sia una lotta tra sostenitori di al-Sisi e di Morsi è chiaro da tempo e rientra nel contesto socio-politico egiziano. Il problema subentra quando tale lotta va ad influire su una faccenda delicata come quella del caso Regeni, che andrebbe affrontata con la massima riservatezza e senza alcun tipo di strumentalizzazione politico-ideologica. Non bisogna inoltre dimenticare che, se il governo al-Sisi è repressivo, quello di Morsi non era certo migliore in quanto a tolleranza e rispetto dei diritti umani, come dimostrano le documentazioni di HRW e Amnesty.

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