Le due anime del populismo
Dall’ideologia latinoamericana del “socialismo del XXI secolo” ai “forgotten man”, viaggio nelle principali tematiche che il Circolo Proudhon Milano e L’Intellettuale Dissidente discuteranno, nella giornata del 30 marzo, all’Università Cattolica di Milano in compagnia di ospiti di tutto rispetto.
di Andrea Muratore - 29 marzo 2017
Populismo. Una parola ormai utilizzata con leggerezza, tanto visibile quanto tendenzialmente difficile da afferrare, comprendere, riferire a un concetto preciso. Populismo, parola trasformata in etichetta di infamia dai media e dalla politica mainstream e banalizzata, calpestata e distorta ogniqualvolta il suo utilizzo è funzionale allo screditamento di una forza antisistema. È ora di fare un po’ di chiarezza e di cercare di comprendere come il termine “populismo”, che inizialmente definiva un preciso movimento attivo in Russia nel XIX secolo, sia arrivato a connotare in maniera tanto profonda il discorso politico attuale. Dietro al termine “populismo”, infatti, si cela una multiforme gamma di significati: lasciando da parte quello tradizionalmente adottato dal sistema informativo, che nel populismo identifica un preciso metodo di acquisizione di consenso politico attraverso l’utilizzo di una dialettica semplicistica e riduzionista, è interessante studiare il tema dei fenomeni populisti e della loro manifestazione politica in netta contrapposizione contro le tradizionali élite istituzionali ed economiche. Proprio per avviare una seria e rigorosa discussione sul tema, il Circolo Proudhon Milano ha organizzato un evento a riguardo: il 30 marzo, a partire dalle ore 18, presso il Collegio Augustinianum dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, interverranno sul tema Marcello Foa, tra i principali osservatori del fenomeno populista e tra i primi giornalisti a coglierne appieno le potenzialità, Marcello De Angelis, deputato del Popolo della Libertà nel corso della XVI Legislatura ed ex direttore del Secolo d’Italia, e Luca Lezzi, firma de L’Intellettuale Dissidente e co-autore del saggio Il socialismo del XXI secolo assieme a chi scrive, che svolgerà il ruolo di moderatore della discussione.
La locandina dell’evento organizzato dal Circolo Proudhon Milano e da L’Intellettuale Dissidente per la giornata del 30 marzo. Vi aspettiamo numerosi!
La locandina dell’evento organizzato dal Circolo Proudhon Milano e da L’Intellettuale Dissidente per la giornata del 30 marzo. Vi aspettiamo numerosi!
Oggetto della conferenza saranno le due principali ramificazioni che ha assunto il populismo a partire dall’inizio del XXI secolo: da un lato, in America Latina si è sviluppata l’ideologia politica del “socialismo del XXI secolo” che, a partire dall’ascesa al potere di Hugo Chavez in Venezuela nel 1999 ha avviato la fase storica delle “rivoluzioni bolivariane”; dall’altro, più recentemente in Europa e negli Stati Uniti ha preso vita una multiforme varietà di movimenti politici antisistema accomunati dalla contestazione del sistema istituzionale ed economico dominante, dalla critica alle decisioni delle leadership occidentali in ambito di politica economica e dal dichiarato antagonismo verso la tradizionale élite di potere. Tali movimenti hanno conosciuto una fase di forte espansione elettorale, principalmente in occasione del referendum sulla Brexit nel Regno Unito e dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2016, e si preparano ora ad affrontare un nuovo banco di prova nelle imminenti elezioni francesi. Tra le due tipologie di movimenti populisti, esiste una serie di punti in comune ma, al tempo stesso, sussistono vistose differenze. In primo luogo, è indiscutibile il fatto che l’ascesa dei partiti populisti, tanto in America Latina nei primi Anni Duemila quanto ai giorni nostri in Occidente, abbia avuto, tra le sue cause principali, la crescita del sentimento di malessere della popolazione per l’andamento del contesto socio-economico: ciò ha portato a rendere i forgotten man, i “dimenticati”, i ceti più vulnerabili alle tensioni e ai periodi di crisi, acuitisi in intensità nell’era della globalizzazione, propensi a entrare nell’elettorato di forze che propugnavano una rottura, una fase di netta discontinuità.
Un malessere percepibile, uno scontento popolare diffuso, per quanto poco compresi dai gruppi dirigenti, non sono sintomi di “rivolte elettorali” imminenti, dato che il “terremoto” si può manifestare da un momento all’altro. La percezione delle possibilità di successo di una forza antisistema è determinante nel suo sdoganamento definitivo: la convergenza delle forze sociali avviene sotto l’impulso della formazione di un soggetto collettivo, di un “Noi”. In parole diverse: tutte le istanze dei fenomeni populisti arieggiavano già nei Paesi che le hanno conosciute, e sono state incentivate dall’ascesa di soggetti politici che vi hanno costruito attorno una piattaforma elettorale. Questo meccanismo, in cui i concetti di “Destra” e “Sinistra” tradizionali vengono meno, si è riproposto tanto in occasione delle travolgenti vittorie dei leader populisti latinoamericani a inizio millennio quanto, più di recente, in occasione degli appuntamenti elettorali occidentali del 2016. In entrambi i casi, l’élite tradizionale si è approcciata al populismo come a un fenomeno transitorio, senza indagare le ragioni dei propri errori, procedendo o attraverso la “demonizzazione”, sottolineando la presunta irrazionalità e ignoranza dei fenomeni populisti, o in maniera “omeopatica”, interiorizzando nell’élite alcuni atteggiamenti tipici dei movimenti populisti. Entrambi i rimedi ipotizzati dall’élite si sono rivelati fallaci, eccezion fatta per casi anomali come le recenti elezioni olandesi.
Daniel Ortega, Hugo Chavez e Fidel Castro raffigurati in un murales a Managua; il “socialismo del XXI secolo” ha sempre fatto della sua dichiarata continuità con l’esperienza cubana uno dei suoi principali capisaldi ideologici.
Daniel Ortega, Hugo Chavez e Fidel Castro raffigurati in un murales a Managua; il “socialismo del XXI secolo” ha sempre fatto della sua dichiarata continuità con l’esperienza cubana uno dei suoi principali capisaldi ideologici.
Le principali differenze tra le due anime del populismo sono invece intrinsecamente legate alle diverse traiettorie di sviluppo storico che i Paesi latinoamericani e quelli occidentali hanno conosciuto nel corso del Novecento. In America Latina il populismo si è manifestato attraverso lo sviluppo di un’ideologia comune, il “socialismo del XXI secolo”, che nell’eterogeneità delle esperienze nazionali, da quella di Hugo Chavez in Venezuela alla Revolucion Ciudadana in Ecuador passando per il Nicaragua di Daniel Ortega e la Bolivia di Evo Morales, ha sviluppato una piattaforma omogenea attraverso la rivendicazione di una via autonoma allo sviluppo e la dichiarazione di continuità con l’operato di figure del calibro del Libertador Simon Bolivar, del leader argentino Juan Domingo Peron e del Jefe Fidel Castro, “padre nobile” dei nuovi regimi politici negli anni della loro ascesa. A ciò si è aggiunta una comune visione geopolitica, a tratti vicina ai principi dell’altermondismo e alle critiche al “Pensiero Unico” neoliberista espresse da autori del calibro di Ignacio Ramonet, fondata sulla volontà di emancipare i destini delle nazioni latinoamericane dall’ingerenza statunitense, di costruire un autonomo sistema di integrazione e di rapportarsi in maniera paritaria nel sistema multipolare e culminata nello sviluppo dell’ALBA, l’Alleanza Bolivariana per le Americhe. In linea di massima, inoltre, il sostegno politico ai movimenti latinoamericani è venuto dal pueblo, dalla grande massa di individui rimasti per decenni estromessi dalla divisione delle ricchezze e vittime perenni di inique disuguaglianze sociali ed economiche.
Sono state le classi medie squassate dalla Grande Crisi e dalle sue durature conseguenze, invece, a formare lo “zoccolo duro” dell’elettorato dei movimenti “populisti” occidentali.
Movimenti che, criticando i vigenti sistemi di potere, hanno portato avanti una forte contestazione della globalizzazione neoliberale e di istituzioni contro l’Unione Europea senza però proporre modelli di integrazione transnazionale e, anzi, facendo del sovranismo e della protezione dei confini geografici, storici ed economici un’importante tessera del loro mosaico. Si parla di movimenti che, sotto il profilo “ideologico”, sono altamente divisi tra loro: il Movimento Cinque Stelle in Italia e, al giorno d’oggi, il Front National francese hanno elaborato piattaforme politiche nì droite nì gauche, seppur con diversi gradi di dettaglio, mentre in Olanda Gert Wilders ha espresso posizioni decisamente più schierate a destra. In questo campo, il candidato francese di Sinistra radicale Jean–Luc Mélenchon si pone a metà del guado, avendo interiorizzato nel suo pensiero numerosi elementi del populismo latinoamericano.
In entrambi i casi, si pone il problema dei “populismi di governo” e della difficoltà che i movimenti antisistema potrebbero conoscere nel momento in cui, venuto il loro turno, giungesse per loro il tempo di costituirsi a “nuovo sistema”. L’America Latina vive in maniera impellente questa tematica, mentre negli USA si sono visti in maniera palese i numerosi compromessi che Trump ha dovuto stringere coi tradizionali “apparati”. Questa tematica rappresenta oggigiorno la più importante questione per i movimenti populisti: per molti di loro, soprattutto in Occidente, è giunta l’ora di capire cosa fare “da grandi” e di decidersi a costituire proposte politiche tali da favorire un cambiamento sistemico piuttosto che un compattamento protettivo del sistema stesso in risposta alle loro azioni. Discussi, chiacchierati e incompresi, il populismo e le sue due anime hanno ancora una lunga storia da scrivere: il Circolo Proudhon Milano e L’Intellettuale Dissidente vi aspettano numerosi il 30 marzo per poter discutere con voi della storia e delle prospettive future di un fenomeno ora più che mai d’assoluta attualità.