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Discussione: "Giustizia e Libertà"

  1. #1
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    Predefinito "Giustizia e Libertà"

    Provenienti da diverse correnti politiche, archiviamo per ora le tessere dei partiti e fondiamo un'unità di azione. Movimento rivoluzionario, non partito, “Giustizia e libertà” è il nome e il simbolo. Repubblicani, socialisti e democratici, ci battiamo per la libertà, per la repubblica, per la giustizia sociale. Non siamo più tre espressioni differenti ma un trinomio inscindibile.

    Agosto 1929








    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #2
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    Predefinito Re: "Giustizia e Libertà"

    «La nascita di Giustizia e Libertà»

    EMILIO LUSSU RICORDA QUEI GIORNI

    Tratto da: A.a.V.v., Dall'antifascismo alla Resistenza. Trent'anni di storia italiana (1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da Franco Antonicelli, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1973, pp. 173-177.




    Ecco la mia breve testimonianza. Bisogna riandare a qualcosa come trenta e più anni fa: estate 1929. Contrariamente a quello che credono molti anche tra quanti si occupano di problemi politici, Giustizia e Libertà, cioè il movimento rivoluzionario antifascista repubblicano e democratico, come si definiva, non fu costituito a causa della fuga da Lipari. Sì, la fuga da Lipari, della quale il freddo e perfetto organizzatore tecnico dalla Francia e dalla Tunisia è stato il qui presente Tarchiani, è stata certamente un fatto clamoroso, nel suo genere direi unico, ed ebbe in quel periodo molto stagnante all'interno una immensa ripercussione e in Italia e all'estero. Peraltro, tirate le somme, una fuga è una fuga e, per ispirarmi al re Borbone, a scappare siamo buoni tutti. La fuga non servì che a liberare alcuni di quelli che saranno fra poco i protagonisti di una più vivace attività politica, fra cui il grande scomparso Carlo Rosselli.
    Ma Giustizia e Libertà, in realtà, esisteva già in formazione un po' sparsa in varie parti d'Italia. A Firenze, attorno al gruppo "Non mollare" di Salvemini, erano i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Nello Traquandi e altri. A Milano, attorno a Ferruccio Parri e Riccardo Bauer che avevano avuto già un'attività democratica culturale, erano alcuni giovani intellettuali e socialisti provenienti dal partito socialista. A Torino, attorno ai giovani venuti con "Rivoluzione Liberale" di Piero Gobetti, fra cui il più in vista Carlo Levi, erano quelli che erano stati allievi di Augusto Monti al liceo D'Azeglio, e qualche altro intellettuale e operaio. A Roma, era notevole anche numericamente, il gruppo giovanile repubblicano, con Baldazzi, Gioacchino Dolci, Fausto Nitti, Giuseppe Bruno, Dante Gianotti. E poi la parte più attiva del Partito Sardo d'Azione, di cui Piero Gobetti parlava già nel manifesto di "Rivoluzione Liberale", che aveva, con Francesco Fancello e Stefano Siglienti, un centro continentale a Roma, collegato a Firenze e a Milano. E infine qualche isolato liberale o democratico, come A. Tarchiani e A. Cianca già in esilio, e qualche altro isolato in più parti d'Italia. V'erano certamente, e in città e in provincia, centinaia di isolati o piccoli gruppi, ma si ignoravano tra di loro e noi stessi li ignoravamo. Giustizia e Libertà come noi la costituimmo dopo la fuga da Lipari nei mesi di agosto, settembre, ottobre del 1929, si riferiva a questi vari gruppi e ad essi si legava. Ci univa tutti una comune totale rivolta morale, ideale, politica e sociale contro il fascismo e i suoi sostegni. Eravamo, può darsi, animati da quello spirito che traspare dalla esposizione sintetica politica che ci ha voluto fare oggi il professor Bobbio. Mentre a Parigi la Concentrazione, già costituitasi nell'aprile del 1927, si poteva considerare attraverso gli elementi che la formavano - i due partiti socialisti, uno riformista, l'altro massimalista, il partito repubblicano, la Confederazione generale italiana del lavoro, la Lega dei diritti dell'uomo - una specie di continuazione dell'Aventino, noi di Giustizia e Libertà non lo eravamo.
    E questo è fondamentale. Questi gruppi che ho elencato cosi affrettatamente poc'anzi, pur avendo partecipato all'Aventino e avendo riconosciuto all'Aventino una superiore e utile intransigenza morale di fronte al fascismo, avevano sempre negato all'Aventino stesso la giustezza della sua posizione polemica verso il fascismo. Mentre l'Aventino giocava tutte le sue carte antifasciste sul re, noi era sul popolo, e solo sul popolo, che fondavamo le speranze della liberazione. Mentre i continuatori dell'Aventino, uomini e maestri di vita morale a tutti noi di qualunque partito - cito fra i massimi, Turati, Treves, Modigliani, Buozzi, Baldini -, credevano, anzi ne erano sicuri e il presidente Nitti rafforzava questa fiducia, che Mussolini sarebbe caduto fra un mese o fra due, noi calcolavamo ad anni: cinque, sette o dieci, "se ci va bene". Noi credevamo solo ed esclusivamente nella coscienza e nell'azione del popolo: solo il popolo sarà il protagonista della liberazione. E demmo a Giustizia e Libertà la definizione di movimento rivoluzionario antifascista, per la libertà, per la repubblica, per la giustizia sociale.
    Eravamo, cioè, la stessa espressione conciliativa e riassuntiva delle correnti politiche che avevano dato vita all'Aventino, ma
    potevamo esserne considerati come il superamento, non la continuazione. Eravamo socialisti, repubblicani, democratici, liberali, l'avanguardia, per i quali la lotta al fascismo continuava, ma con altri mezzi: l'Aventino era stato legalitario, Giustizia e Libertà era rivoluzionaria. I comunisti erano usciti dall'Aventino poco dopo la sua formazione e dopo le leggi eccezionali; in Francia, formavano un partito a sé, staccato dalla Concentrazione con cui non avevano che rapporti polemici. Io non saprei dirvi quale sarebbe stato il corso degli avvenimenti se dell'Aventino, prima, e della Concentrazione dopo, avessero fatto parte i comunisti. Eravamo due formazioni staccate, autonome, di cui quella comunista tendeva permanentemente all'organizzazione in Italia.
    Per definire il movimento di Giustizia e Libertà credo che dobbiamo fare uno sforzo di memoria. Discutemmo quasi due mesi a contatto con tutti i gruppi d'Italia e, a Parigi, non avevamo che riunioni permanenti. Si deve dire "Giustizia e Libertà" o "Libertà e Giustizia"? Sembra una cosa da nulla, eppure fu un continuo scambio di lettere clandestine, inchiostri simpatici, cifre, messaggi, tutti i nostri gruppi in Italia in movimento, e discussioni vivacissime a Parigi o a Saint-Germain-en-Laye, dove abitava Gaetano Salvemini, per breve tempo in Francia. "Giustizia e Libertà" o "Libertà e Giustizia"? A nessuno di chi si occupa di cose politiche sfugge la differenza. La corrente liberale democratica era per "Libertà e Giustizia", la corrente socialisteggiante era per "Giustizia e Libertà".
    Dopo lungo discutere, finalmente - e mi pare di ricordare che vi fu una manovra per ottenere la maggioranza - trionfò "Giustizia e Libertà". Ora io non rido più, e neppure sorrido, quando leggiamo che, durante la presa di Costantinopoli, i saggi erano riuniti in assemblea a discutere impassibili da che parte giusta venisse la luce sul Monte Tabor. Eh, c'è una bella differenza, perché se sul Monte Tabor la luce viene dall'oriente, si ha una civiltà, ma se viene dall'occidente, se ne ha un'altra. Una parola messa prima o messa dopo, un avverbio o una virgola non possono mutare totalmente il significato di un pensiero politico o filosofico? E ben per questo che io dicevo al tanto compianto e vecchio amico Adone Zoli, che la DC, quando si parla di "apertura a sinistra", mette la virgola subito dopo "apertura", sicché "sinistra" viene a parte. La discussione, dunque, era stata lunga.
    Ma ci buttammo subito dopo con frenesia nell'organizzazione. Niente organizzazione all'estero. All'estero, solo quel minimo di legami necessario per i rapporti con l'Italia. Tutta l'organizzazione è in Italia ed esclusivamente in Italia. La rivoluzione antifascista si fa in Italia, non cade dall'alto e non viene dal di fuori. O sarà un prodotto della nuova coscienza del popolo italiano o non sarà niente. La rivoluzione è in Italia ed è italiana. All'estero, in Francia, principalmente, dove era la massima emigrazione politica, la divulgazione dell'antifascismo politico, i rapporti con le correnti democratiche degli altri paesi, qualcosa di associativo, e questo lo faceva assai bene la Concentrazione. Tutto il resto in Italia, solo in Italia. Queste erano le nostre premesse politiche. Quello che distingue Giustizia e Libertà, come movimento rivoluzionario in quell'epoca, è precisamente la coscienza che dal di fuori non si fa nulla, che dall'alto non si deve attendere nulla e che tutto si costruisce in Italia. E ponemmo in forma drastica e pregiudiziale la questione istituzionale: cioè, la rivoluzione sarà fatta dal popolo italiano, sarà contro il fascismo, e contro la monarchia, per costruire una democrazia repubblicana.
    Ponemmo cioè, quando ancora molti attorno al re speravano interventi miracolosi, il problema della repubblica, e in termini di assoluta preclusione ad ogni altra soluzione.
    E' chiaro che, parlando di questi problemi, io sarei portato a svilupparli, ma mi fermo, perché, dal punto di vista cronometrico, la mia testimonianza si chiude qui. D'altronde io stesso sono in corso di chiarire parecchi dei problemi di fronte ai quali si è trovato il movimento di Giustizia e Libertà, di cui io ho parlato solo del primissimo periodo; lo sviluppo successivo è complesso. Giustizia e Libertà seguirà tutta la situazione nazionale e internazionale: è presente in Spagna, e Carlo Rosselli è stato ucciso perché fu un grande protagonista del primo intervento in Spagna. Dopo la caduta di Mussolini, Giustizia e Libertà e il Partito d'Azione si fondono pur non essendo la stessa cosa, come i più sostengono, e si proiettano in una situazione politica generale differente. Giustizia e Libertà si costituiva quando il fascismo era all'apogeo del suo trionfo, mentre il partito d'azione si organizzava quando il fascismo cominciava la parabola discendente.
    Molte cose occorrerà ancora chiarire, per vedere quali erano i limiti di Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione, per spiegarne la scomparsa dalla scena politica, dopo aver scritto una pagina che è fra le massime della democrazia italiana moderna, ed essere stati fra i fattori più determinanti e decisivi della lotta politica culminata nella Resistenza. E voi a Torino e nel Piemonte ne avete una larga testimonianza. Per il problema istituzionale, poi, mi permetto affermare che, senza questa decisa e pregiudiziale istanza repubblicana, che noi demmo fin dall'inizio del movimento rivoluzionario, non si sarebbe arrivati alla repubblica. Ma tutti questi chiarimenti io li vado elaborando e spero prossimamente potrà uscire un mio lavoro, editore Einaudi, precisamente su Giustizia e Libertà e il Partito d'Azione. Come vedete, un uomo politico profitta sempre di una grande assemblea come questa, per farsi pubblicità.

    Emilio Lussu ?La nascita di Giustizia e Libertà? ? Archivio Internazionale Azione Antifascista
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  3. #3
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    Predefinito Re: "Giustizia e Libertà"

    “Giustizia e Libertà”


    La storia

    Alla fine della Prima guerra mondiale sopravviene in Italia una grave crisi politica ed economico-sociale. La miseria infieriva sulle classi sociali più deboli. Operai e contadini venivano sfruttati e, privi di ogni garanzia sociale, percepivano retribuzioni da fame. Il Partito Socialista con scioperi e manifestazioni reclamava per i lavoratori il diritto a una vita più dignitosa. Agli inizi del Novecento gli scioperi erano mal tollerati perché considerati dalla classe padronale un’eversione, un attentato alla proprietà privata, tanto da scatenare una brutale reazione.
    Nel 1921 a Livorno, da una scissione del Partito Socialista, nasce il Partito Comunista d’Italia provocando apprensioni nell’alta borghesia. Il fantasma della rivoluzione bolscevica incuteva paura.
    I reduci della guerra venivano dileggiati e mortificati: un errore imperdonabile della sinistra italiana che si rivelerà dannoso. L’avversione dei pacifisti verso gli interventisti avvelenava gli animi. Gli interventisti avevano sostenuto la guerra contro l’Austria per ottenere la liberazione di Trento e Trieste, ritenendo tale evento il completamento risorgimentale dell’unità nazionale. Tra di loro, oltre ai nazionalisti, c’erano molti socialisti come Gaetano Salvemini, Leonida Bissolati e Benito Mussolini.
    A trarre vantaggio da questi malesseri fu Mussolini che, dopo l’abbandono del Partito Socialista e della direzione dell’ “Avanti!”, fondò il giornale “Il popolo d’Italia” e, successivamente, il Partito Fascista che diventerà presto il braccio armato dei latifondisti a difesa dei loro interessi.
    La nascita del fascismo fu contraddistinta da numerose violenze criminose, come testimonia il libro Un anno di dominazione fascista, in cui “Giacomo Matteotti riportava più di 2000 casi di omicidi, ferimenti più o meno gravi, bastonature, distribuzione di olio di ricino, devastazioni di abitazioni private e sedi di associazioni, incendi di tipografie e redazioni di giornali, avvenuti tra il novembre 1922 e l’ottobre 1923”.[1]
    Per le sue denunzie sulle intimidazioni e i brogli elettorali nelle elezioni del 1924, Giacomo Matteotti viene selvaggiamente assassinato dai fascisti il 10 giugno dello stesso anno. Dopo il ritrovamento del suo cadavere e l’indignazione del Paese per questo omicidio politico, alcuni parlamentari abbandonano la Camera per dare atto alla cosiddetta secessione dell’Aventino del 18 giugno.
    Mussolini riesce comunque a rimanere in carica e alcuni mesi dopo, il 3 gennaio 1925, pronuncia in Parlamento il famoso discorso passato alla storia come il “mezzo colpo di Stato”: “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto”.
    Mussolini – divenendo nel 1924 Presidente del Consiglio dei Ministri, per incarico di Vittorio Emanuele III – consolida il suo potere, ma solo dopo il Discorso alla Camera del 1925, sopprime definitivamente le libertà costituzionali e la stampa d’opposizione, scioglie i partiti, vieta gli scioperi, istituisce i tribunali speciali e il confino di polizia. Dunque, il re, nominando Mussolini capo del governo, consegna di fatto l’Italia a una banda di violenti e di assassini. Dopo la morte di Piero Gobetti e di Giovanni Amendola, causata dai feroci pestaggi dei sicari fascisti, in Italia inizia la caccia agli oppositori del fascismo.
    Intanto a Firenze Gaetano Salvemini, intransigente maestro di democrazia e storico di profonda cultura, aveva stretto un sodalizio politico-culturale con un gruppo di giovani intellettuali tra cui Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei e altri. Questo gruppo aveva fondato nel 1920 il Circolo di cultura che sarebbe diventato un centro attivo di resistenza al fascismo ma che, in seguito all’infierire delle violenze squadriste, sarebbe stato soppresso.
    Nel 1925 Gaetano Salvemini, Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Nello Traquandi, Tommaso Ramorino e Luigi Emery fondano la rivista clandestina “Non mollare”, che avrà gloriosa ma breve vita.
    A causa di una delazione il 30 ottobre 1930 Ernesto Rossi, Riccaro Bauer, Umberto Ceva e successivamente Gaetano Salvemini vengono arrestati, mentre Carlo Rosselli per sottrarsi all’arresto si trasferisce a Milano.
    Per non cedere alle torture e non rivelare i nomi dei compagni, Umberto Ceva si suicida nel carcere di Regina Coeli ingoiando i frammenti dei vetri dei suoi occhiali da vista con una miscela di un combustibile solido. Questo episodio destò molta commozione particolarmente in coloro che conoscevano l’integrità morale e la generosità di Umberto Ceva.
    Dopo il processo a Ernesto Rossi i fascisti devastano la casa di Amelia, madre di Carlo e Nello Rosselli.
    La vita per gli oppositori diventa sempre più difficile e si decide l’espatrio clandestino di Filippo Turati, l’anziano prestigioso capo del socialismo italiano. La fuga di Turati, organizzata da Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli, e con la partecipazione di Adriano Olivetti, Giacomo Oxilia e Lorenzo Da Bove, avviene la notte del 12 dicembre 1926 con un motoscafo che partendo da Vado (Savona) approda in Corsica.
    Dopo questo episodio Parri e Rosselli tornano in Italia e vengono arrestati.
    Il processo si celebra a Savona dove i due imputati accusano pubblicamente e senza timore il fascismo. Il processo ha risonanza mondiale e rappresenta una condanna morale nei confronti del regime.
    Un’altra clamorosa fuga, quella di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti, avviene il 27 luglio del 1929 dal confino di Lipari. I tre si dirigono a Tunisi per poi rifugiarsi successivamente in Francia.
    Il fascismo per rappresaglia ordina l’arresto di Nello Rosselli e di Marion (moglie di Carlo), ma provoca la riprovazione della stampa mondiale. È un ulteriore successo morale contro il fascismo.

    I fratelli Rosselli e il movimento “Giustizia e Libertà”

    Ad opera di Carlo Rosselli e di Emilio Lussu, con la collaborazione di Aldo Garosci, Lionello Venturi, Carlo Levi, Nicola Chiaromonti e Renzo Giua, nasce nel 1929 a Parigi il movimento antifascista Giustizia e Libertà che annovera, tra i fondatori, personalità provenienti da diverse esperienze politiche come Gaetano Salvemini, Alberto Cianca, Fausto Nitti, Raffaele Rossetti, Alberto Tarchiani e Cipriano Facchinetti. Tale movimento rappresenta il consequenziale prosieguo in esilio dell’opposizione al fascismo maturata a Firenze.
    In principio Giustizia e Libertà non ha un programma politica e limita la sua azione alla recisa opposizione al regime fascista. Il movimento si distingue subito creando collegamenti con gruppi antifascisti italiani e promuovendo e collaborando a plateali manifestazioni, come il volo di Giovanni Bassanesi che, con lanci di volantini a Milano, incitavano la popolazione a insorgere contro la dittatura fascista.
    Come forza organizzata Giustizia e Libertà crea i presupposti per una rottura nei confronti dell’egemonia comunista nella lotta clandestina al fascismo.
    A Parigi nel 1930 viene pubblicato il libro Socialisme liberal di Carlo Rosselli, maturato e scritto al confino di Lipari, che delinea una base politica del movimento.
    Al di là dell’elaborazione politica che stava prendendo forma quella di Giustizia e Libertà è una storia di dura lotta, di persecuzioni, di carcere e di confino.
    Un momento decisivo per Carlo Rosselli e per altri fuoriusciti è l’intervento in Spagna a favore della fragile repubblica spagnola. Lo scontro politico si trasforma in guerra armata.
    L’azione della Colonna di Carlo Rosselli si distingue per coraggio ed eroismo. Carlo viene ferito in combattimento, ma torma a Parigi deluso e amareggiato per le polemiche con i compagni anarchici.
    Per Carlo e Nello Rosselli l’appuntamento con il destino giunge il 9 giugno 1937 a Bagnoles de l’Orne in Normandia. I loro cadaveri, selvaggiamente massacrati, vengono trovati l’11 giugno successivo. Il Comitato Centrale di Giustizia e Libertà dà la seguente comunicazione: “Noi accusiamo formalmente Benito Mussolini di avere ordinato a sicari fascisti di venire in Francia per assassinare Carlo e Nello Rosselli”.
    Al funerale a Parigi partecipano commosse circa centocinquantamila persone. Il giovane Aldo Garosci segue il carro funebre portando su un cuscino il berretto verde che Carlo aveva usato in Spagna. I loro corpi ora riposano nel cimitero di Trespiano della collina fiorentina. Sulla loro lapide, per volontà di Piero Calamandrei, si legge: “Giustizia e Libertà – Per questo morirono. Per questo vivono”.
    La lotta al fascismo iniziata da Carlo Rosselli continua in clandestinità, per tutto il ventennio, con il suo movimento Giustizia e Libertà. Successivamente il movimento confluisce nel Partito d’Azione, dando vita, dopo l’8 settembre 1943, alle formazioni partigiane che si distinguono per coraggio ed eroismo nella Resistenza.
    È fondamentale la figura di Amelia, madre coraggiosa ed esemplare dei fratelli Rosselli. Una donna straordinaria che insegna ai figli l’amore per la patria e per la verità, un nobile esempio per tutte le madri. Ecco cosa scrive di lei Gaetano Salvemini:

    Quando Amelia, stanca e diafana, si presentò alla porta dell’eterno riposo, l’angelo guardiano le domandò con quali diritti domandava di essere ammessa all’eterno riposo.
    Lei, che aveva il pudore del suo cuore ferito, e non ne parlava mai, rispose timidamente:
    “Ho molto sofferto.”
    “Soffrire, soffrire”, disse l’angelo, “tutti i nati di donna sono nati per soffrire; è il dolore che va a cercar loro, non loro che vanno a cercare il dolore; non c’è nessun merito a soffrire.”
    “Non ho mai fatto male a nessuno.”
    “Non basta, non basta. Che merito c’è a non far male a nessuno, che crei il diritto all’eterno riposo?”
    “Ho fatto intorno a me tutto il bene che potevo.”
    “Questo è già qualcosa di positivo, ma è un minimo che non basta. L’eterno riposo è un premio che merita molto di più.”
    Allora Amelia dové parlare: “Ebbi tre figli, li educai ad amare giustizia e libertà e per avere amato giustizia e libertà uno morì in guerra, e due furono assassinati”.
    “L’angelo si inchinò, le baciò le piccole mani ed aprì la porta dell’eterno riposo.”
    Aldo, Carlo e Nello, sulla soglia, l’aspettavano.[2]


    Da Vittorio Cimiotta, La rivoluzione etica. Da Giustizia e Libertà al Partito d’Azione, Mursia, Milano 2013.


    [1] Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo, Feltrinelli 1975, pag. 395.

    [2] “Il Ponte”, Firenze, gennaio 1955, pag, 127.
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  4. #4
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    Predefinito Re: "Giustizia e Libertà"

    Giustizia e libertà, si sente la mancanza di un simile soggetto politico ai nostri giorni, ma probabilmente farebbe la fine del Partito d'Azione e veleggerebbe intorno a percentuali da prefisso telefonico ma almeno saprei chi e cosa votare alle elezioni.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 

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