Immigrati, quando l’America distingueva tra quelli del Nord e del Sud
12 May 2016 · 3 Commenti
di ROMANO BRACALINI –
“O briganti o emigranti”.Così Francesco Saverio Nitti, politico meridionale, riassumeva il dramma del Mezzogiorno all’indomani dell’unità. Al Sud c’era una società immobile, divisa in caste. I signori e i morti di fame.L’emigrazione era una vendetta, ma anche una rinuncia e una resa. Il movimento unitario, avvicinando i meridionali ai popoli più emancipati e ricchi della penisola aveva fatto nascere in loro i medesimi bisogni e desideri senza la possibilità di poterli soddisfare. Così i più avventurosi e decisi da una parte, i meno scrupolosi e onesti dall’altra non videro che un’alternativa a una vita di stenti e di miseria: o l’emigrazione o il brigantaggio. L’emigrazione divenne argomento di letteratura di consumo ispirando a Edmondo De Amicis, autore di Cuore, compendio di nobili sentimenti patriottici, il racconto “Dagli Appennini alle Ande”. Le canzoni popolari parlavano di bastimenti “che partivano per terre assai luntane” salutati da folle piangenti sui moli.
In pochi decenni gli italiani formarono colonie a Buenos Ayres, a Montevideo, a San Paolo, a New York, a Chicago, oltre che a Parigi, Marsiglia e nelle zone minerarie del Belgio. Per l’americano del nord, l’emigrante italiano non rappresenta che una forza bruta, inintelligente, da sostituire quella dei negri.
Gli emigranti, specie meridionali, più scuri di pelle e più propensi a riunirsi in cosche, furono oggetto di scherno e di nomignoli offensivi che li distinguevano dai negri e dai cinesi ma non li ponevano a un livello superiore: erano “macaroni” in Francia, ”welschen” in Austria e in Germania, ”dagos” o “cincali” negli Stati Uniti. Per tutti “Spaghetti, pizza e mandolino”.
Col tempo l’emigrazione meridionale divenne prevalente mentre diminuiva quella dal Nord per effetto della rapida industrializzazione. Si calcola che tra il 1876,anno dell’avvento della sinistra al potere, e il 1914, scoppio della Grande Guerra, oltre cinque milioni di persone abbiano abbandonato il Sud. Il questionario per i visti d’ingresso negli Stati Uniti, che i viaggiatori di tutte le classi (non solo gli emigranti) avevano l’obbligo di riempire e firmare, comprendevano la differenza di razza.
Secondo il governo americano, gli italiani non formavano una sola razza come i popoli delle altre nazioni d’Europa, ma due: North Italy e South Italy,e all’ufficio immigrazione venivano selezionati in due gruppi distinti e separati. In un messaggio al Congresso degli Stati Uniti nel dicembre 1903 il presidente americano Teddy Roosevelt scriveva: ”E’ necessario di provvedere i mezzi per escludere interamente gli immigranti non desiderabili (undesirables)”. Negli Stati Uniti erano classificati come “indesiderabili” tutti gli adulti analfabeti e nella classificazione degli immigranti italiani la media degli analfabeti provenienti dalle province del Mezzogiorno superava il 40 per cento. Prima della legge che respingeva gli immigranti analfabeti, c’era stato un ampio dibatti alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Fu detto tra l’altro: ”Si è abusato del privilegio di ospitalità. L’immigrazione forzata, l’immigrazione per contrasto, l’immigrazione procurata sono solo un danno per il Paese. I governi mandano delinquenti e poveri, specialmente dall’Italia”.
Gli italiani erano considerati i “cinesi d’Europa” e, come i cinesi, odiati e disprezzati, ma con qualche distinzione che si rifaceva alla “differenza di razza”. Gli immigrati del Nord, sempre in minor numero, coltivavano la terra, piantavano vigne, producevano vino in California, specie i piemontesi; o lavoravano nelle fabbriche, specie i veneti. I meridionali avevano tutt’altre propensioni. Col proibizionismo la malavita napoletana, calabrese e siciliana fece affari d’oro col contrabbando di liquori. A Chicago la mafia aveva in mano gli affari sporchi della città e li regolava col mitra. ”Italiano” divenne sinonimo di mafioso. Con la seconda guerra mondiale, gli “spaghetti”, come venivano chiamati i soldati italo-americani d’origine meridionale, inventarono nella campagna d’Italia una parola nuova con la quale chiamavano gli abitanti del Sud Italia, spesso antichi parenti:”Paisà”.
Nel dopoguerra la mafia italo-americana venne quasi debellata, tramontarono i tempi di Al Capone; e gli italo-americani, d’origine meridionale, scoprirono un altro filone d’interesse nel cinema e nella magia di Hollywood; nelle pellicole dell’ultimo trentennio i nomi italiani cominciano ad affollare i titoli di testa; sono attori, cantanti, registi, tecnici: De Niro, Al Pacino, Scorzese, De Vito, Sinatra, con una particolare e naturale propensione per le parti di mafiosi e briganti, che gli antenati avevano realmente interpretato nella vita e i discendenti rifacevano alla perfezione sul grande schermo.
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