Caso Zapata, tra menzogna e cospirazione USA

Katu Arkonada

Il chiamato Caso Zapata è rimasto politicamente sotterrato dalla comparsa del Ministro della Presidenza Juan Ramon Quintana all'Assemblea Legislativa Plurinazionale. E' stata sepolta la menzogna, e la verità è venuta alla luce.

Ora dobbiamo solo arrivare alla fine, rispettando il corso della giustizia e l'indagine della Procura, per determinare le responsabilità di ciascuna delle persone coinvolte in una cospirazione che ha cercato, ed ha avuto un parziale successo nella misura in cui spinse la vittoria del NO nel referendum, di erodere la figura del presidente Evo Morales.

Geopolitica della menzogna

Tutti i golpe di questo XXI secolo in America Latina hanno avuto due caratteristiche comuni, ingerenza USA e manipolazione mediatica. Dal 2002 in Venezuela, quando i media giocarono un ruolo chiave nel sostenere i golpisti e anche per manipolare immagini, sia per provocare scontri tra chavisti ed oppositori come per generare un clima di ingovernabilità; agli eventi in corso in Brasile, dove la destra nazionale, articolata con l'estrema destra dell'America Latina ed il Dipartimento di Stato ha contato sull'impagabile (menzogna, saranno ben ricompensate) collaborazione di Red Globo nel suo tentativo di screditare e di costruire una realtà (impeachment) a partire dalle menzogne (intorno a una Dilma contro la quale non vi è alcuna seria accusa e, tanto meno provata, corruzione).

Nel caso della Bolivia, il colpo di stato mediatico effettuato contro il processo di cambio ha contato con gli stessi due ingredienti principali, l'ingerenza USA, e la manipolazione mediatica da parte di un Cartello della Menzogna, un insieme di media dell'opposizione che hanno complementato le loro azioni, nella fase decisiva del colpo di stato, le settimane prima del referendum costituzionale per la ricandidatura dell'attuale Presidente.

Dopo un primo golpe anti-costituente (2006-2007), un colpo di stato civico-prefetturale (2008), un colpo di stato terrorista-separatista (2009), e uno contro le organizzazioni sociali (TIPNIS 2011 e 2012) viene attivato, dopo la vittoria dell'ottobre 2014, un golpe mediatico contro il processo di cambiamento, ma soprattutto contro l'elemento di equilibrio e coesione dello stesso, la figura del Presidente Evo Morales Ayma.

Il tempismo non poteva essere meglio scelto, tre settimane prima del referendum del 21 febbraio. L'attore scelto per dar inizio alla seconda fase della cospirazione, Carlos Valverde, un paramilitare di estrema destra, ex Capo dell'Intelligence del governo di Paz Zamora (MIR-ADN), che fu imprigionato nel 1993 per traffico di cocaina. Dietro Valverde, l'Incaricato d'Affari dell'ambasciata USA in Bolivia, Peter Brennan.

L'ingerenza USA nel Caso Zapata

Chi è Peter Brennan? L'attuale Incaricato d'Affari è un personaggio oscuro. Laureato presso la School of Foreign Service della Georgetown University, è diventato a metà degli anni '90, Assistente Speciale del Consulente dell'Agenzia d'Informazione USA (USIA). L'USIA è stata una delle agenzie che erano responsabili della copertura degli agenti CIA all'estero. In aggiunta a ciò, è stato Ministro Consigliere presso l'Ambasciata a Managua, Nicaragua, per smantellare alcuni dei risultati del sandinismo come il sistema di difesa montato durante la rivoluzione; e anche come Ministro Consigliere giunse all'ambasciata a Islamabad, in Pakistan, pochi mesi dopo l'assassinio di Bin Laden in Pakistan da una Unità Operazioni Speciali della Navy Seals USA, in coordinamento con la CIA. La sua successiva destinazione sarebbe stata la Bolivia, ma prima di allora, tra il 2010 e il 2012, Brennan sarebbe ritornato a Washington per prendere in consegna la sezione Cuba del Dipartimento di Stato. Le date della presenza di Brennan come responsabile dell'ufficio Cuba coincidono, in modo millimetrico, con il lancio del programma di ZunZuneo. Questo programma, noto come il "Twitter cubano", era un programma della CIA sviluppato sotto la facciata dell' USAID, che cercava di costruire una rete di SMS a Cuba, inizialmente sotto l'innocente obiettivo di informare la popolazione su questioni culturali, sportive, ecc, per poi una volta posto in marcia la rete, inviare messaggi con contenuto politico per incitare gli utenti di Zunzuneo a creare concentrazioni di massa che avrebbero potuto innescare una "primavera cubana".

Non sono un caso, quindi, gli incontri che si sono verificati mesi prima tra Valverde e Peter Brennan, alcuni dei quali ammessi dalle persone coinvolte.

La congiura era in moto, e Brennan trovò in Valverde l'operatore ideale per far esplodere lo scandalo, senza dare il tempo al governo boliviano di condurre le indagini necessarie per chiarire il caso prima del voto del 21 febbraio.
Il Cartello della Menzogna

Ma la cospirazione non avrebbe mai potuto raggiungere il suo obiettivo contro il presidente Evo senza la collaborazione di un insieme di media con cui si è avuta una confluenza di interessi: la molestia e la demolizione della figura di Evo Morales e impedire la vittoria del Sì al referendum.

A questo insieme di media dell'opposizione, che hanno deciso di mettere da parte ogni etica giornalistica per disturbare con menzogne ​​e calunnie per 100 giorni, è conosciuto come il Cartello della Menzogna. Questo cartello oppositore è costituito dai giornali Pagina Siete e El Deber, le agenzia di notizie Fides (ANF) e la rete di radio ERBOL. Sia ANF che ERBOL sono aziende appartenenti alla Chiesa Cattolica, che possiede più di un centinaio di media scritti, radio e tv nelle città capitali della Bolivia. In questo cartello dobbiamo aggiungere alcuni franco tiratori della destra boliviana che hanno aderito alla campagna di molestie e demolizione contro il processo di cambio come Amalia Pando, Raul Penaranda o Andrés Gómez Vela.

Ma il legame tra l'ingerenza USA e la manipolazione mediatica non si è prodotto per caso. A titolo di esempio, l'intervista di Evo Morales pubblicata sul quotidiano El Deber il 22 gennaio 2016, dove in un passaggio dell'intervista, hanno chiesto al Presidente:

ED: Qualche volta mi hanno detto che aveva una fidanzata, bionda, di 26 anni.
EM: Bionda? Bionda no. Mai.
ED: Non le piacciono le chocas?
EM: Mi possono piacere, ma non sono d'affidamento, preferisco le mie sorelle del campo. Con loro c'è molta più fiducia.
ED: Ancora nessuna fidanzata?
EM: Lei sa che ho una fidanzata, o non lo sa? La mia fidanzata è la Bolivia.

Coincidenza o casualità che 2 settimane prima delle rivelazioni di Valverde, ma già dopo le riunioni con Brennan, El Deber chieda al Presidente di una fidanzata bionda di 9 anni fa?
Dopo l'intervista a El Deber e le "rivelazioni" di Valverde, il popolo boliviano ha sofferto 100 giorni di bombardamento mediatico in cui la ricerca della verità era la cosa meno importante, sempre che si compisse un primo obiettivo, portare a termine la strategia di fratturare il processo di cambiamento e il sostegno del nucleo duro, di esso, alla figura di Evo Morales Ayma.

Il Clan Zapata

Ma l'ingerenza e la manipolazione necessitavano di una storia da raccontare, e questa fu fornita, ancora non sappiamo se volontariamente o involontariamente, da Gabriela Zapata. La signora Zapata, personaggio principale di un romanzo dove gli attori secondari sono ancora più importante che i principali, passò dall'essere una simpatizzante del processo di cambiamento, nella sua gioventù, ad un lobbista che formò una rete criminale per cercare di ottenere contratti multimilionari che le avrebbero permesso di riscuotere una commissione, come denunciò lo stesso Ministro della Presidenza Juan Ramon Quintana. In questo percorso, finì per fare affari per mano di 2 avvocati, quanto meno oscuri, Walter Zuleta e Eduardo Leon, che sembrerebbe le consigliassero di utilizzare, a fini economici, la relazione che aveva tenuto in passato con Evo Morales. Leon, ex Direttore Legale di Pepelucho nel suo passaggio tanto per il Comune come per il Governatorato, è un avvocato con un processo aperto per corruzione, che si è fatto notare per assumere tutti i casi che tentano di colpire il governo, come quello del Fondo Indigena. Zuleta, attualmente latitante, sembra essere il legame con i loschi affari imprenditoriali di Zapata.

Ma una storia montata sulla base di tante menzogne non potrebbe sostenersi a lungo dopo aver adempiuto l'obiettivo principale di causare la sconfitta del Sì al referendum. Il 10 maggio, la Plenaria dell'Assemblea Legislativa Plurinazionale approvò con una maggioranza dei 2/3 la relazione dei risultati della Commissione Mista Speciale Investigativa sui contratti che stipulò lo Stato con la società cinese CAMC, rapporto che esclude qualsiasi traffico d'influenza da parte del presidente Evo Morales verso una società installata in Bolivia da prima della vittoria di Evo nel 2005, e di cui Gabriela Zapata fu gerente 8 anni dopo la sua relazione con Evo.

L'11 maggio, la seconda Corte d'Infanzia e Adolescenza di La Paz ha adottato una risoluzione (n° 135/2016) in forma di sentenza che determina l' "inesistenza fisica dimostrata del bambino Ernesto Fidel Morales Zapata", sottolineando la "convinzione nella sottoscritta corte che il tanto ripetutamente menzionato bambino non esiste fisicamente".

Poco dopo, il 16 maggio, il narco giornaista Carlos Valverde pubblica un tweet che annuncia: "Ho avuto accesso a informazioni affidabili che confermano che il presunto figlio di Gabriela Zapata Montaño e il presidente Morales non esiste". Prima di allora, alcuni media come El Deber già avevano abbassato il tono dei loro titoli e avevano lasciato di dar copertine al Caso Zapata. Il Caso Zapata crolla e i principali attori cominciavano ad abbandonare la nave, non senza prima aver destabilizzato il processo di cambiamento in golpe più aggressivo rispetto ai 4 golpe precedenti.

100 giorni di Caso Zapata; 100 giorni in cui la Bolivia visse l'assedio della Guerra di IV Generazione; 100 giorni in cui la controversia geopolitica tra USA e Cina è diventata più che mai presente nello scacchiere latino-americano; 100 giorni che ci hanno fatto vergognare dell'opposizione, politica e mediatica, boliviana.

1000 giorni per le elezioni del 2019 e ratificare la fiducia del popolo boliviano in un processo di cambiamento ed in un leader che cristallizza un processo anti-imperialista,anticoloniale e anticapitalista.

Katu Arkonada, militante del processo di cambiamento boliviano.
Originariamente pubblicato nel settimanale boliviano La Epoca.

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