"Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"
IL DISPUTATOR CORTESE
Possono tenersi il loro paradiso.
Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.
"Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"
IL DISPUTATOR CORTESE
Possono tenersi il loro paradiso.
Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.
"Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"
IL DISPUTATOR CORTESE
Possono tenersi il loro paradiso.
Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.
È d’obbligo partire dai poemi omerici, che per primi li citano. I Pelasgi compaiono nel II libro dell’Iliade, nel celebre catalogo delle navi, fra gli alleati dei Troiani, e vengono dalla Tracia, al confine con l’Ellesponto. Contro gli Achei, tra gli altri, si schiera l’esercito di Ippotoo detto il Pelasgico, proveniente da Larissa, in Troade.
Altri passi dell’Iliade indicano come pelasgi un distretto chiamato Argo, nel sud della Tessaglia, e il tempio di Zeus a Dodona, in Epiro. Nell’Odissea i Pelasgi sono accomunati ai Cretesi: “C’è un’isola, Creta, in mezzo al livido mare, bella e ricca, cinta dall’onde; là vivono uomini innumerevoli e vi sono novanta città. Sono miste le lingue: ci sono Achei, Eteocretesi magnanimi, Cidoni, Dori divisi in tre stirpi e i gloriosi Pelasgi”.
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Possono tenersi il loro paradiso.
Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.
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Possono tenersi il loro paradiso.
Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.
Poi le cose diventano più complicate. Strabone cita Esiodo e Omero, chiama Dodona ‘sede dei Pelasgi’ e ricorda Pelasgo, padre eponimo di Licaone, mitico eroe dell’Arcadia.
Nel V libro afferma che anche i Tirreni erano di stirpe pelasgica ed elenca molte fonti relative alle origini dei Pelasgi. Euripide, nell’Archelao, dice: “Danao, padre di cinquanta figlie, nell’entrare ad Argo, prese casa nella città di Inaco e decretò per legge che in Grecia tutti coloro, che sino allora erano chiamati Pelasgi, dovessero essere indicati come Danaidi.
Inoltre, Anticleide dice che essi furono i primi a stabilirsi intorno a Lemnos ed Imbros; alcuni di loro diressero le proprie navi verso l’Italia con Tirreno, figlio di Atys.
Gli storici dell’Attica ritengono che i Pelasgi abitassero anche Atene e che fossero chiamati dalla gente dell’Attica ‘Pelargi’ perché erano senza meta e, come gli uccelli, si stabilivano dove in cui il fato li spingeva”. (2).
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Altri autori cercano di rimpolpare la scarna citazione di Esiodo. Asio presenta Pelasgo come il primo uomo, generato dalla terra allo scopo di creare la razza umana. Erodoto parla dei Pelasgi a lui contemporanei, che parlano una lingua “comprensibile”, vivono verso la Tracia, sulla costa asiatica dell’Ellesponto, e vicino a Creston, sul fiume Strymon, ed avrebbero i Tirreni come vicini (3).
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Possono tenersi il loro paradiso.
Quando morirò, andrò nella Terra di Mezzo.
Erodoto indica altre regioni in cui i Pelasgi vivono sotto nomi diversi, come Samotracia e Antandro nella Troade. A Lemnos e ad Imbros segnala popolazioni pelasgiche, che gli Ateniesi avrebbero da poco soggiogato (intorno al 500 a.C.). Ricorda antiche incursioni dei Pelasgi in Attica, avvenuta al tempo in cui “gli Ateniesi incominciarono, per primi, a definirsi Greci”. In altri casi Erodoto indica col termine pelasgico tutto ciò che è vissuto in Grecia prima dei Greci. Rimangono testimonianze dei Pelasgi in riti, usi e antiche costruzioni in Arcadia, nella regione ionica nel nord–est del Peloponneso, ed in Attica, toccata per ultima dall’ellenizzazione. Ad Atene il muro originario dell’Acropoli e tratti di fondazioni sottostanti erano venerati ed erano chiamati pelasgici nel sec. V a.C., come riferisce Tucidide. Un’antica tradizione attribuiva l’erezione di quelle mura agli uomini d’Atlantide, nel momento in cui, impadronitisi dell’antica città, la rasero al suolo ed eressero sull’Acropoli un santuario alla loro Dea–Madre, Tanit–Athina, originaria delle pianure numidiche. Furono poi gli Ateniesi a riconoscere quella Dea come loro patrona, a farle rinnegare la filiazione naturale dal Dio del Mare (Poseidon), farla rinascere dalla testa di Zeus e far coincidere il suo nome con quello della stessa città. Ciò condurrebbe ancora una volta a identificare i Pelasgi con il popolo d’Atlantide. La particolare struttura delle mura dell’Acropoli d’Atene ha fatto attribuire a tutte le murature in blocchi non squadrati, prive di malta, dall’Asia Minore alla Spagna, il nome di mura pelasgiche (o ciclopiche).
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Eforo riprende da un brano d’Esiodo la tradizione d’un popolo chiamato Pelasgi, insediato in Arcadia, e ipotizza che si trattasse di guerrieri, partiti da una patria originale per colonizzare tutte le regioni della Grecia in cui i vari autori li citano, da Dodona a Creta, alla Troade, sino all’Italia. Qui i loro insediamenti erano ben riconoscibili al tempo degli Elleni ed erano in stretta relazione con i Tirreni.
Altre informazioni vengono da scrittori posteriori che interpretano leggende locali, alla luce della teoria di Eforo. La connessione tra Pelasgi e Tirreni, suggerita da Ellanico e Sofocle, diviene confusione quando, nel sec. III a.C., i pirati di Lemnos ed i loro parenti Attici sono semplicemente chiamati Tirreni e tutti i muri d’antiche fortezze in Italia (come quelli del Colle Palatino a Roma) sono considerati tracce di colonie arcadiche.
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