Bilanci mai presentati, registri non aggiornati per anni. Il conto oltre i 400 milioni

di Giusi Fasano e Carlo Macrì

Una montagna di debiti, ma anche no. Forse un po’ meno di quelli presunti oppure, chi lo sa, un bel po’ di più... All’azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria (Asp) dire che i conti non tornano è un eufemismo. Ci sono fatture pagate non si sa per cosa; si stima che ce ne siano alcune incassate due, forse tre volte; risultano «ignoti» parte degli stessi fornitori; sono stati liquidati valanghe di decreti ingiuntivi di pagamento e ne arrivano ancora in continuazione. Inutile dire che mai una volta a qualcuno è venuto in mente di presentare opposizione. Tale è il caos patrimoniale della Asp che nessuno — ma proprio nessuno — oggi saprebbe dire a quanto ammonta esattamente il suo debito: le cifre ipotizzate vanno da un minimo di 400 milioni di euro a un massimo del tutto indefinito. E non hanno ancora trovato il bandolo della matassa nemmeno i supercontabili della Kpmg, i revisori voluti dai ministeri di Economia e Salute per aiutare le regioni con i piani di rientro. Il loro conteggio più aggiornato (di pochi giorni fa) parla — testuale — di debito «presunto»: 276 milioni di euro al 31 dicembre 2014. Ai quali vanno aggiunte le pretese dei creditori dal 1° gennaio 2015 a oggi che potrebbero far lievitare la cifra, appunto, a 400 milioni di euro o anche più.

Le richieste di chiarimenti

Se la partita fosse chiusa così andrebbe già benissimo. Il fatto è che ogni mese c’è qualcuno che si presenta dal tesoriere della banca per incassare, attraverso decreti ingiuntivi firmati dai giudici, vecchie somme mai pagate dalla Asp. E spesso — molto spesso — non si riesce a risalire alla documentazione che corrisponde a quelle fatture. Per provare a venirne a capo sono stati contattati 1.926 fornitori. La sostanza era: «Vi dobbiamo qualcosa?». Hanno risposto 788 e i loro chiarimenti sono parte del debito presunto di oggi. E gli altri 1.138? Niente. Ancora nessuna risposta. Il che significa che, potenzialmente, potrebbero essere anche tutti creditori. Senza contare il fatto che ai 1.926 contattati ne vanno aggiunti altri 607 che — scrive la Kpmg — «rimangono ignoti e non è stato possibile trovare i riferimenti in azienda». Ignoti, cioè con un nome e un indirizzo sulla carta, ma nei fatti inesistente. Sono aziende trasferite? Fallite? Chiuse? Inventate per truffare la Asp? Mistero. Come è un mistero il fatto che dai vecchi documenti risulti pagato un debito di 395 milioni di euro per fatture che però, in gran parte, non si sa a cosa si riferiscano.

Il bilancio inesistente

Com’è possibile?, viene da chiedersi. Semplice: per anni e anni i responsabili amministrativi della Asp non hanno preso nota dei conti pagati e, quindi, non li hanno cancellati dalla lista dei debiti. Non sono mai esistiti libri contabili obbligatori. Né ha funzionato la comunicazione fra la Asp e il tesoriere (Banco di Napoli e poi Banca Nazionale del Lavoro) che liquidava le somme ai creditori prelevandole dall’Azienda sanitaria. Men che meno si è potuto registrarle nel bilancio, almeno finché c’è stato un bilancio. Perché per il 2014 e 2015 il bilancio non esiste. Semplicemente non è stato presentato. Non pervenuto. Risultato: si naviga a vista e nessuno osa prendersi la responsabilità di firmare questo o quel debito da liquidare, perché nessuno può avere la certezza che lo stesso debito non sia stato già pagato. È anche per questo motivo che negli uffici contabili della Asp è una specie di corsa alle dimissioni.

L’esperto da 600 euro al giorno

Massimo Scura — il commissario straordinario mandato dal governo l’anno scorso a riorganizzare la sanità calabrese — racconta tutto il suo sconcerto: «Ho chiesto al direttore della ragioneria di fare le verifiche sul pagamento delle fatture e decidere quali chiudere e quali no. Era un suo compito. Mi ha risposto, testuale: non ci penso nemmeno lontanamente, non posso essere certo di non pagare per la seconda volta. Gli ho detto che allora poteva dimettersi e così ha fatto: si è dimesso dall’incarico ed è passato altrove». Allora Scura è andato dai vertici amministrativi: «Ho detto al responsabile: toccherebbe a lei, e sa che ha fatto questo signore? Si è messo in malattia per 15 giorni dopodiché si è dimesso anche lui dall’incarico». Terzo passaggio: «Ho nominato un advisor preso da fuori per evitare possibili pressioni ambientali». Tanto per chiarire: un super esperto a 600 euro (lordi) al giorno. Dice Scura: «È durato tre mesi e poi è scappato anche lui accampando scuse varie, secondo me invece se n’è andato proprio per le pressioni ambientali anche se non l’ha mai detto chiaramente».

Sanità = bancomat

Adesso il progetto del commissario è creare una squadra ad hoc: «Metterò in piedi una macchina feroce e usciremo da questo pantano» promette, ignorando chi parla di bancarotta imminente o chi lo accusa di immobilismo. Sa bene che molto dipenderà da quanti creditori si presenteranno all’incasso nei prossimi mesi. Magari si riuscirà a smascherarne qualcun altro dopo «il tizio che voleva sei milioni di euro — racconta lui —: stavano per pagare le sue fatture quando hanno scoperto che le avevano già liquidate a un altro...».
Da queste parti «sanità = bancomat», dicono tutti. Chi ha «prelevato» senza averne diritto ha impoverito risorse e servizi di un territorio che serve circa 350 mila utenti e che conta gli ospedali di Locri, Polistena, Melito Porto Salvo, Gioia Tauro e Palmi. La conseguenza di quell’impoverimento sul territorio è stata una richiesta di assistenza sempre più grande per gli Ospedali Riuniti della città di Reggio, punto di riferimento per altri 200 mila utenti. Ma a Reggio non riusciranno ancora per molto a farsi carico dei servizi non garantiti nella provincia. Quindi delle due l’una: o la Asp rimette a posto i conti e rialza la testa oppure trascina giù anche l’azienda ospedaliera reggina, in equilibrio da 15 anni e che nel 2015 ha chiuso i conti con 600 mila euro di attivo: «Temo sia l’ultima volta» avverte il direttore generale Frank Benedetto.Quelle fatture pagate due o tre volte Così la sanità calabrese va in default - Corriere.it