Bambine che parlano solo con gli occhi, la vita con la sindrome di Rett e l'aiuto pubblico che non c'è | Associazione Luca Coscioni

Occhi che brillano più luce che mai, tanto che anche il sole si fa da parte. Occhi che bucano il cielo chiedendo risposta dall’altra parte”. È il verso di una canzone che parla di bambine. Non di bambine comuni, ma speciali costrette, a causa di un rallentamento e di una stagnazione dello sviluppo psicomotorio poco prima normale, a vivere all’improvviso una vita diversa rispetto a quella conosciuta fino a quel momento. Disattenzione verso l’ambiente circostante, verso il gioco e rallentamento della crescita della circonferenza cranica: sono i primi effetti della sindrome di Rett, malattia rara riconosciuta per la prima volta dal medico austriaco Andreas Rett a seguito di un’osservazione casuale nella sua sala di aspetto di due bambine che mostravano movimenti stereotipati delle mani molto simili tra loro.
Dopo questa scoperta, riesaminando le schede di alcune pazienti viste in precedenza, Rett individuò altri casi con caratteristiche comportamentali e anamnesi simili tanto da farne nel 1966 una pubblicazione, ignorata però fino agli anni ’80. Oggi tale sindrome è riconosciuta come la seconda causa di ritardo mentale nelle bambine, con un’incidenza stimata di circa 1/10.000 nati femmina. Nella forma classica, lo sviluppo prenatale e perinatale è normale ma dopo un periodo di circa 6 – 18 – 24 mesi le bambine presentano un arresto dello sviluppo seguito da una regressione che genera la perdita di abilità precedentemente acquisite, come l’uso delle mani e il linguaggio verbale.
L’associazione
A sostegno di queste bambine e delle loro famiglie, circa 25 anni fa nasce l’Airett, associazione italiana Rett, che ha come obiettivo principale quello di far conoscere la patologia e incentivare la ricerca. “Non godiamo di risorse statali: abbiamo il 5 x mille, organizziamo iniziative di raccolta fondi ma soprattutto a darci un sostanziale rinforzo è la campagna sms con i testimonial” dichiara Lucia Davigo, presidente dell’associazione e mamma di Debora, vent’anni, affetta da Rett.
“L’unico ausilio tecnologico, tra l’altro molto costoso, che le nostre bambine hanno a disposizione è un eye tracker, tracciatore oculare che permette loro di comunicare. Tali sistemi di comunicazione alternativi, il cui utilizzo viene spiegato e illustrato tramite un corso che offriamo gratuitamente on line, serve a facilitare le interazioni quotidiane con le bimbe circa i bisogni e le necessità. In verità loro comprendono molto di più di quanto riescano a comunicare di aver compreso – chiarisce Lucia – ma questo vuol dire mettere a loro disposizione molto del nostro tempo”. Già, il tempo. Quello che manca sempre, loro invece, bimbe e relative famiglie, devono corteggiarlo, rallentarlo quasi fermarlo, sicuramente viverlo e non subirlo. Il tempo. Per capire, accudire, accompagnare queste bimbe dagli occhi belli perché è nei loro occhi che si concentra tutta la forma e la forza dell’ esistenza. Una parabola di sospensione spazio – temporale dove si annida un mondo ai più sconosciuto ma che splende di luce propria e freme di vita.
L’aiuto che non c’è
Certo, la politica anche in questo caso non è di gran supporto essendo i nomenclatori tariffari non aggiornati dal 1999 nonostante le promesse fatte dagli alti vertici. Il nomenclatore tariffario, ricordiamo, è il documento emanato e periodicamente aggiornato dal ministero della salute, che stabilisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del Servizio sanitario nazionale.
L’associazione radicale Luca Coscioni, che da anni si batte per la libertà della ricerca scientifica e che tra le tante battaglie porta avanti anche quella sull’aggiornamento del nomenclatore, nel dicembre del 2015 ha presentato una diffida al ministro della salute per la mancanza, appunto, di aggiornamento. “La risposta da parte del ministro Lorenzin”, dichiara Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Coscioni, “è stata che il testo dell’aggiornamento è pronto ma ancora deve essere approvato perché vagliato dalla conferenza Stato-Regioni. Il problema è che il testo di cui parla il ministro presenta un’importante lacuna: non prevede cioè il repertorio, ossia l’elenco degli ausili di cui necessitano persone affette da disabilità, ma prevede contrattazione per tipologia con successivo adeguamento dell’ausilio. In sostanza, cercano quello che costa di meno e se non va bene viene adeguato secondo esigenza. Il che chiaramente implica perdita di tempo e impiego eccessivo di soldi pubblici”.
Le promesse
Eppure le promesse circa un immediato intervento strutturato e definitivo c’erano state; le abbiamo sentite tutti grazie a ‘Le Iene’ con l’inviato Filippo Roma. È stato lui il primo, attraverso il suo servizio, ad aprire le porte di un mondo di mezzo, raccontando la storia di queste bambine e delle loro famiglie. L’intervento della troupe de ‘Le Iene’ è arrivato lì dove la politica ancora non aveva messo dito.
Ha sollevato un caso, ma il caso va tuttora attentamente seguito. “Ho visto di persona, sono entrato in casa e ho conosciuto le loro bimbe – racconta Filippo Roma – Sì, è vero, c’è una sospensione di spazio e di tempo nella loro realtà. Una specie di capovolgimento di credenze e valori, una comunicazione lenta e intensa in cui gli unici immediati strumenti sono appunto gli occhi. Ecco, credo che tra gli eroi di oggi sarebbero da includere i genitori delle bambine affette da Rett che assistono impotenti alla regressione improvvisa delle loro figlie le quali, abbandonando gradualmente tutto ciò che fino a quel momento avevano conosciuto e imparato, è come se nascessero una seconda volta. Con gli occhi belli, ancora più belli, come quelli della canzone. E sono felice che uno spazio come quello abbia dato voce a questo mondo che si regge su due forti pilastri: l’amore e la speranza”.
Già, loro genitori la speranza non la danno soltanto. Ma lo sono.
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