Qualche idea discutibile su un'idea discutibile - Blondet & Friends


Qualche idea discutibile su un’idea discutibile

Capita che nello stesso giorno uno sia contento del 37 per cento guadagnato dalla Raggi a Roma, e del quasi 77 per cento con cui la Svizzera ha respinto per volontà popolare il cosiddetto reddito di cittadinanza. Si può sempre contare sul buonsenso degli svizzeri; che è la solida costanza con cui rigettano per referendum ogni proposta che abbia odore di ideologia, ossia di totalitarismo.

Il Partito Kasaleggio & Associati mostra il suo lato totalitario (un totalitarismo ‘vorrei-non-posso’, per ora) in molti modi, ma palesemente nella sua proposta di “reddito di cittadinanza”.

Un’idea discutibile – nel senso che vale la pena di discuterla sulla piazza pubblica, con l’apporto più vasto possibile di tutti i settori e gli interessi legittimi nella società – vogliono invece che sia accettata così come l’hanno pensata loro – ossia da quella che loro chiamano ”La Rete”, le poche centinaia di adepti registrati dall’azienda-partito per decretare online la “Linea” – perché la Rete (ossia quelli) essendo gli Onesti (gli Illuminati), hanno la scienza infusa garantita dalla loro purezza; e chi obietta è un

Disonesto che dissente per ragioni sporche e oscure; in pratica è il Nemico.
Con cui non bisogna mai allearsi, ma nemmeno interloquire, perché il minimo contatto con esso macchierebbe i Puri.




Ora l’Economist uscito il 4 giugno ha pubblicato una vasta indagine sullo “stipendio per tutti”, mostrando quanto se ne discuta nel mondo occidentale, proprio oggi che l’automazione ultimo-tipo minaccia il 50% dei posti di lavoro oggi coperti da umani; e che lo stato sociale viene smantellato ogni giorno di più perché è un costo che ci rende meo competitivi dei cinesi.

Scopro con moderata meraviglia che fra i suoi sostenitori c’è stato anche Milton Friedman, il guru supremo del liberismo totale, per un chiaro motivo: diamo mille dollari a tutti, e li paghiamo con il simultaneo smantellamento di tutte le previdenze pubbliche, sanità, pensioni, scuole…risparmiamo quei costi pubblici inefficienti, e loro si paghino assicurazioni private di loro scelta, fondi-pensione gestiti da Wall Street, scuole in competizione che nasceranno come funghi – tutto mercato, niente Stato; il sogno di Friedman.

Io ho alcune obiezioni fondamentali, che non sono difficili da capire, anzi banali. Una è politica. Chiamare “reddito di cittadinanza” una elargizione generale, data a tutti senza esigere alcun corrispettivo, è un errore. Bisognerebbe chiamarlo “reddito per perdere la cittadinanza”, perché questo è il risultato.

Lo capirono benissimo gli imperatori; resero dipendente la plebe di Roma dalle frumentationes, distribuzioni gratuite di grani (importati, fra l’altro) e non ebbero più da preoccuparsi di una forza politica popolare, di cittadini capaci di lottare per la propria dignità, autonomia e libertà.

Quella massa di assistiti poteva né poteva (né voleva) più fare rivoluzioni; al massimo, tumulti, facili da placare con la forza pubblica, elargizioni straordinarie, spettacoli gratis al circo; allora i tumultuanti acclamavano Caesar che si presentava in tribuna. Un imperatore (non mi fate cercare chi fosse) completò l’opera; vietò a tutti gli italici di militare, ossia l’arruolamento nelle legioni, da allora riempite di immigrati romanizzati.

Era fatta: senza un lavoro utile per mantenersi e senza armi, il cittadino non fa’ più la minima paura al potere, qualunque sia, e non è più cittadino affatto, ma un assistito pubblico, un mendicante che stende il cappello al potere, che non si assume più responsabilità comuni, avendo rinunciato (volentieri) a quella più gravosa, la difesa comune della patria.

Nell’Italia siamo già cotti a puntino coi circenses tv e la fine della leva; i caratteri sono già abbastanza ridotti a poltiglia di egoismi minimi, anarchici e inconcludenti; il “popolo” è già passivo (ossia non più popolo) di fronte ai poteri costituiti transnazionali, di cui non sente l’illegittimità, o contro i quali non sa coalizzarsi, essendo già ridotto a “un pullulare di gruppi minimi e reciprocamente ostili”.

C’è proprio bisogno del “reddito” gratuito? Sì, per rendere totale e definitiva la irrilevanza politica dell’italiota, il suo stracco accomodarsi nella facilità intellettuale e svaccamento morale.

Penso soprattutto ai meridios. Già adesso la specie meridio è depauperata qualitativamente dall’emigrazione. Già adesso, quelli rimasti lì, disertano l’istruzione a migliaia (“dispersione scolastica”), non imparano niente (“né studio né lavoro”); per la mancanza di prospettive di lavoro non sviluppano alcuna competenze; privi di ogni spinta a migliorarsi, aspirano a un sussidio qualunque.

Con 600 euro mensili possono campare e gli basta. Ho paura che in pochi anni decadrebbero nella sub-umanità del ciclo di Cthulhu, dei fetidi adoratori di Dagon resi mostruosi dalle congiunzioni incestuose, o piuttosto dei servi di Azatoth, che come sa chi ha letto Lovecraft, è il dio idiota e cieco che gorgoglia al centro dell’universo. Il puro orrore del degrado morale e civile. L’ozio è il padre dei vizi.



Un meridios col reddito di cittadinanza

Economist solleva il problema degli emigranti. Diamo il “reddito di cittadinanza anche loro, e avremo novecento milioni di africani sulle nostre coste; non glielo diamo, e avremo una sottoclasse di stranieri lavoratori, quasi degli schiavi.

E poi: l’inasprimento fiscale per estrarre i fondi per tale donazione, creerà una certa insofferenza fra quei (pochi) che lavorando dovranno pagare più tasse per mantenere quelli che non lavorano (L’Economist non sa che noi italiani abbiamo una certa assuefazione, in quanto manteniamo i parassiti milionari di Stato senza un’obiezione).

Metafisica dei soldi

Per la maggior parte della gente – la gente comune – il lavoro – e il lavoro comandato – è un cardine che impedisce la dispersione delle loro vite, dà ad esse significato e ordine.

Solo una ideologia da tempi ultimi la stessa da cui vengono le teorie del gender, e in generale l’obbligo per legge di trattare da normale ciò che normale non è, può credere che un salario certo senza obblighi non peggiori la natura umana.

Solo nel “regno della quantità” il denaro è un numero, e si disconosce la metafisica del guadagno e del lavoro. La saggezza dei vecchi proverbi è più profonda di quanto creda la Kasaleggio & Soci, “denaro fatto senza stento se ne va’ come il vento”; “Chi non lavora, nemmeno mangi”, dice San Paolo, e parla sul serio (come sempre).

Gurdieff raccomanda di non lasciare mai le mani inoperose; lui s’ingegnava a lavorare sempre, perché, diceva, “Il lavoro viene sempre compensato”: detto di cui inviterei a far tesoro. Per questo stesso motivo la dottrina cattolica chiama il frodare la mercede agli operai uno dei peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”: il lavoro comandato e non retribuito crea un credito con il mondo superiore.

All’inverso, un reddito non guadagnato crea un debito nell’ordine cosmico, naturale e soprannaturale cui tutti partecipiamo; un debito che dovrà essere pagato, e senza sconti, tanto le bilance della giustizia sono perfette; anzi viene già pagato (come spiegava nei suoi sermoni Bernardino da Siena, grande economista) con la volatilizzazione e la sciagura.

Una società è in pericolo quando in essa diventano troppi quei mercatores che “non trasferiscono le merci da un luogo all’altro, non le conservano nei magazzini, né le trasformano con il loro lavoro e con abilità professionale”, e sono “giustamente odiosi a Dio e agli uomini” (sermone XXXIII, II 6, in Quadragesimale).

La rovina umana prodotta dal capitalismo terminale in mano agli speculatori sterili è qui ben descritta, e la vediamo attorno a noi.



Produttività aumenta, salario cala: è il capitalismo, ragazzi

Proprio per questo, però, ha un senso una distribuzione di redditi: il capitalismo terminale ha immiserito i salari e i salariati, fino a paralizzare i consumi. La sua efficienza consistendo, come si sa, nella “massima retribuzione del capitale e minima retribuzione del lavoro”.

Ma altre forme di “reddito civico” possono essere pensate in modo che sia chiaramente visto come un compenso per una prestazione: per esempio (suggerisce Economist) un reddito dato alle donne per l’immensa mole di lavoro non retribuito che fanno in famiglia, dai mestieri di casa alla cura dei bambini e dei vecchi; le donne lavorano molte più ore degli uomini; un reddito, poniamo, di 300 euro al mese dovrebbe essere proclamato come il riconoscimento pubblico del grande valore sociale del loro “lavoro” di casa, una ingiustizia finalmente sanata; e aiuterebbe la ripresa di onesti consumi.



In Italia abbiamo sette milioni di pensionati minimi, che ricevono la metà di quel che la UE ritiene il minimo decente per un immigrato (30 euro al giorno). Ciò perché parte delle loro pensioni è stata rubata; e rubata dai privilegiati pubblici, la cui pensione media è d 1700 euro mensili, una cifra per la quale non hanno pagato i contributi.

L’ente pensionistico pubblico è stato fuso con quello dei privati per questo solo motivo; perché era fallito e non poteva pagare pensioni così alte. Le paga, perché ha rubato ai vecchi. Un aumento delle pensioni minime non deve passare come generoso regalo dello Stato, ma restituzione parziale di un furto scandaloso. Che grida vendetta al cospetto di Dio.

E, meglio che il “reddito di cittadinanza” indiscriminato, più economico ed efficace sarebbe integrare il reddito di chi ancora lavora, con una detassazione dei salari; ridurre la forbice fra netto e lordo, che in Italia è vergognosamente divaricata; mettere più soldi in busta paga dei lavoratori, specie di quelli meno pagati – anche qui, come riconoscimento del merito sociale di fare lavori umili, duri e sgradevoli, ma preziosi per la società.

Un’idea discutibile, fra le tante; ossia che merita di essere discussa.
Ma il M5 Stelle non discute, ha la soluzione ed è solo quella.
Lo ha decretato La Rete.