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    Predefinito G. La Malfa: "Le mie ragioni per il NO"

    Pubblichiamo in anteprima il pensiero di Giorgio La Malfa in ordine al dibattito in corso sulle riforme costituzionali. L’autore, rispondendo alle osservazioni di Guido Melis sulle tesi di Gustavo Zagrebelsky (vedi qui), sviluppa un ragionamento originale proprio su quelle ragioni “di contesto” – sistema elettorale e dinamiche politiche attuali – che inducono a propendere per il NO. Buona lettura.





    Caro Guido,

    ho letto con molta attenzione il tuo scritto in risposta a Gustavo Zagrebelski che chiarisce bene le posizioni tue e dei fautori del sì al referendum. Tre mi sembra che siano i capisaldi del tuo ragionamento. 1. “le istituzioni in Italia, così come sono non funzionano. Sono una palla al piede per il Paese anziché una guida e una risorsa.” 2. il problema è “come rafforzare la decisione, adeguandola ai tempi veloci che viviamo, senza con ciò rinunciare al controllo dal basso.” 3. E’ sbagliato collegare riforma costituzionale e legge elettorale: “nessuna di queste asserzioni delle quali è punteggiata l’intervista [di Zagrebelski] ha attinenza diretta con la riforma. Tutte ne prescindono. Vertono semmai sulla riforma elettorale (che è altra cosa, approvata con legge ordinaria).”

    Ho molti dubbi su ciascuno dei punti su cui fondi le tue affermazioni. Comincio dall’affermazione che le istituzioni italiane non funzionano. Personalmente ho avuto ed ho da sempre molta diffidenza verso questa tesi. Ho sempre pensato che invece delle istituzioni fossero inadeguati ed insufficienti i partiti che erano investiti dai cittadini del diritto di governare e gli uomini investiti di quelle alte responsabilità. A me sembra che quando esponenti di governo ponevano (e pongono) il tema delle riforme istituzionali lo facevano (e lo fanno) fondamentalmente per avere una esimente per i loro insuccessi. Se un uomo politico si batte come un leone per giungere al potere promettendo che appena giunto al potere smuoverà l’Italia, la farà ripartire, capovolgerà il verso dell’Europa e così via e, appena insediato, spiega che così come è la macchina, egli non può realizzare le proprie promesse, è legittimo il dubbio che cerchi delle scuse. Questo mio giudizio non nasce con Renzi: fui contrario ai discorsi di Craxi sulla grande riforma, a quelli di Berlusconi sullo stesso tema, perfino al ‘famoso’ decalogo istituzionale di Giovanni Spadolini. Lo penso anche dell’attuale prodotto di riforma. “Non mi lasciano lavorare”, sembra il motto di questi riformatori. Non giudicatemi dal tasso di crescita dell’1% scarso, dalla disoccupazione che resta al 12%, dalla osservazione del FMI che continuando così l’Italia tornerà ai livelli produttivi del 2007 solo “alla metà degli anni venti”. Abbiate fiducia in me e datemi un potere vastissimo. Se lo dicesse un leader dell’opposizione e annunciasse come unico proposito la riforma costituzionale, lo capirei. Sentirlo dire ai capi di governo, mi sembra inaccettabile.


    In realtà le istituzioni della democrazia parlamentare (non altre) hanno accompagnato il miracolo economico italiano degli anni 50 e 60 ed hanno consentito negli anni dei governi Prodi di ridurre il deficit e di abbassare il rapporto debito/PIL. Alla prova esse non hanno funzionato male per circa un ventennio e in molti altri anni. Non pensi che ci sia un problema di forze politiche incapaci di far funzionare bene le istituzioni?
    E se il problema fosse di cambiare le classi dirigenti? In questo caso il NO al referendum non sarebbe un no al cambiamento, come i fautori del si dicono, bensì un NO al consolidamento di una classe dirigente che si dichiara incapace di governare NONOSTANTE gli strumenti a sua disposizione. Cambiare tutto perché nulla cambi. Non è questo il trucco dei conservatori?
    Aggiungo infine, su questo punto, che l’attuale Presidente del Consiglio ha dichiarato più volte che mai nel dopoguerra il governo è riuscito a fare tanto per il paese ed ha enumerato le decine di riforme introdotte! Ha anche inviato un opuscolo per illustrare questi risultati. Come si concilia questa affermazione, con quella che sarebbe indispensabile riformare un paese immobile?
    Seconda affermazione: “rafforzare la decisione…senza rinunciare al controllo dal basso.” Nella riforma di cui discutiamo, questo risultato non dipende dal nuovo assetto istituzionale, ma dalla legge elettorale. Ma dov’è il controllo dal basso in questo nuovo sistema? Dove sono i contrappesi a un potere così forte? In un sistema che elegge direttamente il capo dell’Esecutivo, il controllo viene, come in America, dalla separazione dei poteri. Camera e Senato americani non sono eletti insieme al presidente degli Stati Uniti e su sua indicazione. Se si eleggono insieme il capo dell’esecutivo e la maggioranza del Parlamento, il controllo dal basso non c’è più e non si può non rilevare che c’è un serio rischio per la democrazia. Può darsi che il pericolo non si manifesti nella sua prima applicazione, ma possiamo essere tranquilli per il futuro?



    Terza ed ultima considerazione. Tradizionalmente i fautori dei sistemi presidenziali sostenevano che l’elettorato moderato è cruciale per vincere le elezioni e quindi i candidati in una elezione presidenziale debbono convergere verso il centro dello schieramento. Non possiamo più essere certi che questo avvenga. In America i due candidati più ‘attraenti’ si collocano al di fuori dello spettro tradizionale della politica americana; lo stesso è avvenuto in Austria, in Francia la signora le Pen ha buone chances di successo, e così via. Anche in Italia l’estremismo premia.
    I sistemi parlamentari, invece, tendono a escludere le ali estreme: in Italia lo hanno fatto con grande efficacia nel dopoguerra, fino a quando, nel 1994 non si è cominciato ad andare verso sistemi maggioritari. In un’Europa in preda al malessere che è sotto i nostri occhi, è prudente approntare un sistema elettorale che può dare tutto il potere a partiti che magari al primo turno non vanno oltre un quinto degli elettori? Non rispondere che questa è materia della legge elettorale, perché le dichiarazioni del Presidente del Consiglio sono nel senso che la legge elettorale non si tocca. Dunque il giudizio deve essere dato INSIEME sulla legge elettorale e sulla riforma costituzionale. E se si vuole fermare questa legge elettorale, che io considero pericolosissima (magari non nella persona dell’attuale leader del PD. ma nella sua potenzialità futura), oggi il solo voto utile è il NO. Ed è quello che io mi appresto a dare nel prossimo mese di ottobre.

    Con viva cordialità,

    Giorgio La Malfa

    Giugno 2016


    http://www.giorgiolamalfa.it/nuovo/l...rgio-la-malfa/


    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #2
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    Predefinito Re: G. La Malfa: "Le mie ragioni per il NO"

    G. La Malfa: "A rischio i valori fondamentali"



    “Cari amici,


    in questa lettera aperta indirizzata a Roberto Benigni, ma rivolta idealmente a molti fra coloro che sono orientati a votare si non per ragioni di schieramento, Massimo Andolfi ed io abbiamo cercato di mettere in luce quello che è il maggiore rischio politico insito nella riforma costituzionale anche per il modo in cui Renzi ha posto ed affrontato il tema. Ed è per questo che ci auguriamo che prevalga il No.

    Ma vi è di più. In un’intervista al Messaggero di ieri Renzi ha difeso la legge elettorale vigente (il cosiddetto Italicum): se domenica dovessero prevalere i sì, andremmo rapidamente ad elezioni e vi andremmo probabilmente con questo sistema elettorale, con la certezza di consegnare il Parlamento a una minoranza ed il rischio che possa prevalere il cosiddetto populismo. A me pare che stiamo facendo correre al nostro Paese dei rischi eccessivi.”


    Giorgio La Malfa

    Contraddizioni Caro Benigni, chi vota Sì modifica anche la prima parte della Costituzione

    Caro Benigni, tra pochi giorni i cittadini dovranno convalidare oppure no una modifica di oltre 40 articoli della Costituzione approvata da una ristretta maggioranza.

    Lei, che in passato ha saputo trovare parole eloquenti per difendere la nostra Carta, questa volta voterà sì. Noi non pensiamo che lei abbia tradito le sue convinzioni, né dimenticato le sue parole. Pensiamo che, come molti altri – intellettuali, uomini dello spettacolo, giornalisti, insegnanti – che nel 2006 non avevano avuto esitazioni nel votare No a una vasta modifica costituzionale imposta a maggioranza, sia stato convinto da un argomento adombrato in questi mesi dai sostenitori del Sì. Adombrato, ma non valutato.


    L’argomento è che la nostra Costituzione è fatta di due partiseparate:una prima parte con i valori da non toccare; una seconda che riguarda la macchina dello Stato che può e anzi deve essere aggiornata perché i tempi sono cambiati. La prima parte indicherebbe le destinazioni e la seconda il veicolo che dovrebbe portare gli italiani verso di esse. Le destinazioni, i valori di cui lei ha parlato poeticamente, i valori della lotta di Liberazione da cui è nata la Costituzione, quelli sarebbero intoccabili; sul veicolo invece si potrebbe, senza rischi, intervenire.


    Ma qui lei e tante brave persone rischiano di sbagliare, perché nulla sancisce la distinzione fra le due parti.


    Per 70 anni, tre elementi hanno protetto la Carta: l’e quilibrio tra i poteri dello Stato; l’utilizzo dell’ art.138 per operare revisioni di singoli aspetti della Costituzione e non per una ‘riforma’ di essa e cioè esercitando un potere costituito e non il potere costituente che spetta solo al popolo; il rigetto, infine, dell’idea che la maggioranza politica di turno, che è poi sempre una minoranza del Paese, possa alterare la nostra democrazia. Questo del resto fu il motivo per cui sentimmo di dover dire No alla riforma proposta dalla sola maggioranza di centrodestra qualche anno fa.


    La riforma su cui siamo chiamati a pronunciarci non solo contrasta con questi criteri, ma apre un cantiere di modifiche costituzionali, elettorali e regolamentari, destinato a rimanere aperto per anni. Insomma, caro Roberto, chi ci garantisce l’intoccabilità della prima parte, una volta che si è avallata la decisione di travolgere 40 articoli? Ovviamente non pensiamo certo che l’attuale maggioranza si prepari a farlo.


    Ma quelle che verranno dopo di essa? Certo lei, noi e tanti altri scenderemo in piazza contro i propositi di toccare i diritti fondamentali.


    Ma ci potranno dire che la porta non l’hanno aperta loro, ma il partito in cui sono confluite le due maggiori tradizioni politiche del dopoguerra, quelle della Costituzione del ’48. In un momento storico in cui gli elettori delle principali democrazie sembrano preda di inattese pulsioni, perché stabilire il precedente che le regole sono modificabili a colpi di maggioranza? Perché, Benigni, era così forte il suo messaggio ne La vita è bella?


    Non certo perché stiamo rivivendo gli orrori del nazismo, ma perché lei ammoniva che quella malattia non è risolta per sempre. Ci ripensi, e con lei quella parte dell’Ita lia che non dimentica, che non può dimenticare, che non ha il diritto di dimenticare.



    Giorgio La Malfa e Massimo Andolfi

    Giorgio La Malfa presenta il suo articolo del 1 dicembre 2016 su Il Fatto Quotidiano: ?A RISCHIO I VALORI FONDAMENTALI? | Giorgio La Malfa
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