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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    Prove tecniche di “Governo globale”, i padroni di Internet scioperano contro Donald Trump
    Da Facebook via libera alle proteste contro Trump. L’azienda di Menlo Park sembra orientata a dare tutto il sostegno possibile agli impiegati che parteciperanno alla marcia pro-immigrati prevista per il primo maggio negli Stati Uniti. Il gigante dei social media annuncia che farà un’indagine sui propri venditori, per controllare che non ci siano strappi alla linea data. Facebook informa di essere “impegnato nel creare degli ambienti di lavoro inclusivi in cui gli impiegati si sentano confortati nel poter esprimere le loro opinioni”, presumibilmente quelle opinioni che stanno a cuore ai nuovi e occhiuti controllori di “fake news”, o presunte tali, reclutati da Zuckerberg e soci per sorvegliare Internet.
    Facebook ha criticato più volte la politica sull’immigrazione del presidente Trump. Il CEO di Google, Pichai, e il cofondatore Brin hanno preso posizione contro l’ordine esecutivo firmato dal presidente che blocca l’immigrazione negli Usa dai paesi sponsor del terrorismo. Facebook, Google, ma anche Apple, Microsoft e Intel, insomma i padroni di Internet, sono alcune delle grandi corporation della Silicon Valley che hanno sottoscritto un documento contro l’ordine presidenziale. Zuckerberg nei mesi scorsi si era detto “preoccupato dell’impatto dei recenti ordini presidenziali”, affermando che gli USA sono “una nazione di immigrati e ne dovremmo essere fieri”. In quella occasione, il CEO di Facebook aveva praticamente dato luce verde alla immigrazione illegale difendendo “milioni di persone senza documenti che non rappresentano una minaccia” ma che per colpa dell’ordine di Trump sarebbero destinate a vivere “nella paura della deportazione”.
    Facebook e Twitter, del resto, hanno alimentato la paranoia contro i “raid dell’ICE”, l’ente per l’immigrazione Usa, lasciando dilagare i post di denuncia anti-trumpista. Nella visione dei padroni del web il mondo è una cosa sola, totalmente interconnessa, e idee come frontiera e identità stonano con lo spirito del tempo dominante. “Siamo una nazione di immigrati”, ha detto in passato Zuckerberg, che però non ha l’aria del rifugiato siriano, anzi, da più parti viene considerato lo sfidante in pectore alla presidenza degli Stati Uniti alle prossime elezioni. Peccato che se un giorno il ragazzino fondatore di Facebook dovesse diventare presidente, gli Usa come abbiamo imparato a conoscerli non esisterebbero più, sostituiti da un “governo globale” fondato su Big Web, l’immigrazione incontrollata e il suo sfruttamento, e la censura delle idee scomode. Scusate, delle “fake news”.
    Prove tecniche di ?Governo globale?, i padroni di Internet scioperano contro Donald Trump » Rassegna Stampa Cattolica



    Zara ritira dal mercato la gonna con le rane: "Il disegno ricorda simbolo razzista"
    Il colosso della moda low-cost ha deciso di ritirare la minigonna della collezione primavera/estate 2017 perché le due rane disegnate "ricordavano il simbolo della destra suprematista americana, il Pepe the frog"
    Anna Rossi
    Zara è finita al centro delle polemiche per aver prodotto una minigonna di jeans decorata con delle toppe che riproducono due ranocchie, così ha deciso di ritirare il capo d'abbigliamento dal mercato.
    Il colosso della moda low-cost è stata accusata di aver riprodotto sulle gonne della collezione primavera/estate 2017 un simbolo della destra suprematista americana, il "Pepe the frog". Così il capo è stato ritirato dai negozi di tutto il mondo e dagli store online lo scorso 19 aprile. A notare questo piccolo dettaglio è stata la giornalista Meagan Fredette che su Twitter ha scritto: "Ma veramente Zara ha deciso di vendere una minigonna con l'immagine di Pepe the frog?".
    La giornalista, segnalando in rete che "quelle due ranocchie erano praticamente identiche al simbolo razzista", ha scatenato un vero e proprio putiferio. Da quel momento, infatti, sono stati moltissimi gli utenti che hanno cominciato a inveire contro Zara, affermando che quella gonna con la rana era un capo Nazi-friendly, simbolo di razzismo.
    Dopo tutta questa polemica, Zara è stata costretta a prendere una decisione drastica: rimuovere le gonne dai negozi e dagli store online. "La gonna appartiene ad una collezione limitata creata in collaborazione con alcuni artisti. Il progettista della gonna si chiama Mario Santiago, conosciuto con il soprannome di Yimeisgreat. Non c'è alcun legame con il tema contestato", ha precisato in una nota uno dei portavoce della catena di negozi.
    Ma cos'è "Pepe the frog"?
    "Pepe the frog" è un disegno nato online nel 2005, usato da un gruppo di estrema destra che intendeva combattere per affermare la supremazia della razza bianca. Questo simbolo ha presto assunto un significato politico e ideologico, tanto da essere ricomparso durante l'ultima campagna elettorale americana con il viso del nuovo presidente Donald Trump e con la scritta "You can’t stump the Trump", cioè "Non puoi fermare Trump".
    Zara ritira dal mercato la gonna con le rane: "Il disegno ricorda simbolo razzista" - IlGiornale.it








  2. #392
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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    In Giappone lavorano tutti. Niente immigrazione e disoccupazione ai minimi storici
    Eugenio Palazzini
    La disoccupazione in Giappone non è mai stata un problema enorme, ma nei primi mesi del 2017 è addirittura quasi scomparsa. Contro tutte le previsione nefaste degli economisti liberal di mezzo mondo, la politica economica di Shinzo Abe continua a dare i suoi frutti, e che frutti. A febbraio la produzione industriale giapponese ha registrato un incremento esponenziale, nettamente maggiore anche rispetto agli otto mesi precedenti. E sempre a febbraio il tasso di disoccupazione ha segnato il livello più basso degli ultimi venti anni. Nello specifico, la produzione industriale è cresciuta al ritmo del 2%, rispetto alle attese di un incremento dell’1,2%, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 2,8%. A gennaio era al 3%. Per l’esattezza si tratta del tasso più basso degli ultimi ventidue anni.
    Altro dato decisamente impressionante è la disponibilità di posti di lavoro rispetto alla domanda, favorevole di 1,43. In pratica ci sono 143 posizioni disponibili per ogni 100 richieste. Un miglioramento generale dovuto anche al cambio più basso dello yen che ha dato una spinta all’import. Ma non è affatto irrilevante il dato sull’immigrazione, anch’esso considerato negativo dagli economisti di tutto il mondo uniti e che invece risulta ancora una volta determinante per lo sviluppo giapponese: avere pochissimi immigrati (in Giappone sono meno del 2% della popolazione) significa incentivare l’occupazione, non viceversa. E adottare una politica restrittiva sui flussi migratori paga eccome in termini di crescita economica.
    Esattamente il contrario di quanto sostenuto ad esempio da un settimanale particolarmente avvezzo ad incensare le politiche pro immigratorie come Internazionale, che ad agosto 2016 sull’economia giapponese titolava così un’accurata inchiesta: “il Giappone senza immigrati è a corto di forza lavoro”. Per poi scrivere: “la combinazione di dure leggi sull’immigrazione e di una forza lavoro in calo ha generato un mercato nero del lavoro”. Ci spiace molto per Internazionale e per i guru del mondo senza frontiere condito di progressismo piangente: i dati sul lavoro nel paese del Sol Levante dicono proprio il contrario di quanto da loro sostenuto.
    Giappone, crescita boom: lavorano tutti. Niente immigrazione e disoccupazione ai minimi storici | IL PRIMATO NAZIONALE

    Giappone, sinistra contro il premier Abe: “Finanzia scuole di estrema destra”
    Eugenio Palazzini
    “Shinzo Abe finanzia scuole di estrema destra, è inaccettabile”. L’opposizione di sinistra in Giappone sta montando una polemica che punta a far dimettere il premier nipponico, accusandolo di voler riscrivere i programmi educativi a tal punto da incentivare marce e saluti di stampo nazista nelle scuole. L’opposizione giapponese sostiene che Abe avrebbe direttamente finanziato attraverso donazioni statali Yasunori Kagoike, responsabile degli istituti, per l’apertura di scuole a Osaka.
    Secondo gli accusatori in queste scuole verrebbe impartita una formazione prettamente nazionalista, con tanto di marce, slogan patriottici, rivendicazioni territoriali e “saluti hitleriani”. Ai bambini verrebbe poi chiesto ogni mattina di osannare la bandiera e la famiglia imperiale. Un’impostazione che secondo la sinistra giapponese evocherebbe un pericoloso “orgoglio patriottico” di stampo prebellico. Sarebbe un ritorno agli anni trenta giapponesi, inaccettabili per chi adora evidentemente i metodi educativi e sociali imposti dai vincitori americani. Per alcuni deputati dell’opposizione nipponica si tratterebbe addirittura di una “recrudescenza militare”.
    Per Internazionale invece, che nel numero di questa settimana ha tradotto in italiano l’inchiesta di East Asia Forum, le immagini provenienti dalle scuole Moritomo Gakuen “sconvolgono perché incarnano tutto ciò che sarebbe dovuto cambiare in Giappone dal 1945 ad oggi”. Un piagnisteo in salsa pacifista visto e risentito fino alla nausea. Nei video delle scuole in questione poi si vedono i bambini intonare canti marziali in santuari shintoisti. Apriti cielo.
    Per non parlare della first lady Akie Abe che avrebbe definito questi metodi educativi “meravigliosi” e dediti a “rafforzare l’io dei bambini e a insegnargli l’orgoglio di essere giapponesi”. L’orgoglio di essere se stessi, di appartenere alla propria Nazione, di lottare per essa e intonare canti patriottici. Volete mettere con le innovative scuole in salsa gender.
    Giappone, nelle scuole "canti e slogan fascisti". La sinistra: colpa di Abe | IL PRIMATO NAZIONALE






  3. #393
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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    BOLDRINI VUOLE LE DEPORTAZIONI DI ITALIANI: “UN ANNO ALL’ESTERO OBBLIGATORIO”
    OVVIAMENTE, QUESTO SIGNIFICA ANCHE STRANIERI IN ITALIA
    Certo non sono le deportazioni staliniane di intere etnie da una repubblica sovietica all’altra, ma le motivazioni che sottendono l’ultima puttanata di Boldrini sono le stesse. E anche l’arrogante limitazione della libertà personale e familiare è la stessa.
    Laura Boldrini vuole obbligare i ragazzi a stare un anno in giro per l’Europa con l’Erasmus: badate bene, obbligare.
    Perché vanno educati all’abolizione delle nazioni: “Dovrebbe essere obbligatorio per tutti i giovani perché crea un senso molto forte di cittadinanza europea”, ha infatti scritto su Twitter. C’è una incredibile violenza in questa frase: i governi democratici non obbligano i cittadini. I governi democratici non cercano di ‘plasmarli’ ma ne sono mera espressione.
    Per quelli come Boldrini i popoli sono oggetti intercambiabili: gli italiani li mandiamo in Turchia, e in Italia facciamo venire i Turchi. La loro idea è mescolare. Perché al di là dei singoli individui, il progetto Erasmus è proprio questo: creare sudditi europei, indebolendo il senso di appartenenza nazionale.
    L’idea della Boldrini è evidente: creare una massa critica di persone senza radici che rispondano solo a Bruxelles. Che non si sentano più italiane, tedesche o francesi. Ma ‘Ue-dipendenti’. Automi boldriniani.
    Boldrini vuole le deportazioni di italiani: ?Un anno all?estero obbligatorio? | Vox

    “Liberi di essere schiavi”, la provocazione del Fronte Skinheads per il 25 aprile
    L’associazione culturale Veneto Fronte Skinheads ha protestato contro "la retorica della Festa della Liberazione" con un messaggio provocatorio stampato su volantini affissi in diverse province del Nord Italia
    Simona Di Rutigliano
    La Festa della Liberazione per molti è sinonimo di falsità: una ricorrenza per ricordare, più che altro, di essere “Liberi di essere schiavi”.
    L’associazione culturale Veneto Fronte Skinheads, infatti, ha voluto far riflettere più province del Nord Italia su quello che ritiene essere il vero significato del 25 Aprile. Per farlo ha affisso numerosi volantini “tesi a rappresentare la prigionia e l’asservimento iniziati in Italia nel secondo dopoguerra. Quello che la retorica della liberazione non dice e non vuole ascoltare è che, ad oltre 70 anni dalla fine della guerra civile, la tanto esaltata democrazia ci ha regalato una serie di libertà devastanti. La libertà di essere asserviti ai pruriti della finanza internazionale. La libertà di morire per interessi extranazionali. La libertà di lasciar morire un popolo strangolato da banche e debiti. La libertà di essere invasi per assecondare i diktat dei poteri forti. In poche parole: la libertà di essere schiavi”.
    Parole forti quelle comparse nel comunicato stampa dell’associazione. Un testo simile è stato stato stampato sui volantini affissi in più province del Nord Italia: Cuneo, Genova, Mantova, Trieste, Piacenza, Vicenza e molte altre ancora.
    Una provocazione politica, come ha affermato Giordano Caracino, presidente dell’associazione culturale Veneto Fronte Skinheads. Caracino ha poi fatto un immancabile riferimento al problema dell'immigrazione, particolarmente sentito dagli skinheads: “Come possiamo parlare di liberazione in un paese che senza chiedere nulla a nessuno si è permesso di farci invadere da sedicenti profughi?”.
    ?Liberi di essere schiavi?, la provocazione del Fronte Skinheads per il 25 aprile - IlGiornale.it

    Perché i sacerdoti del pensiero unico odiano l’identità
    Marco Tarchi
    La Francia c’è arrivata per prima, e c’era da immaginarselo, per le conseguenze che il passato di potenza coloniale e la pretesa di ergersi a paese-faro dei “diritti dell’Uomo” le stanno causando. Ha preceduto tutti gli altri paesi nel trascinare sul banco degli imputati l’identità e nel farla oggetto di vibranti requisitorie. Ma sulla sua scia, se non il mondo intero, quantomeno l’Occidente in blocco è stato lesto ad incamminarsi per celebrare il processo di un concetto – e del fenomeno che lo sorregge – che ogni giorno di più sembra destinato a trasformarsi nel capro espiatorio preferito della classe intellettuale e mediatica dominante quando va alla ricerca della causa dei mali che scuotono la nostra epoca.
    Già da qualche anno, per la verità, i capi di accusa branditi contro questa scomoda nozione si vanno accumulando, rendendola responsabile di ripiegamenti, di chiusure, di discriminazioni, di ostacoli all’integrazione di quella massa di immigranti di cui si vorrebbe fare il cemento, o il lievito, di una nuova umanità dal profilo frastagliato e indecifrabile, popolata da mille colori, mille stili di vita, mille credenze pacificamente miscelati e sovrapposti, in cui finalmente l’individualità possa celebrare il suo trionfo su ciò che resta delle comunità. Finora, però, una vera campagna coordinata di aggressione nei confronti della parola, dei suoi significati e di coloro che se ne fanno veicolo non era stata messa in atto. Adesso, sembra di capire, ci siamo.
    Un segnale significativo, in questo senso, lo ha dato un paginone autunnale del più citato dei quotidiani francesi, “Le Monde”, dedicato ad illustrare e divulgare le tesi di “quegli intellettuali che vogliono uscire dalla trappola identitaria”. Leggendolo, si ha la sensazione di essersi imbattuti in un manuale di istruzioni per la caccia ai reprobi, e se ne possono ricavare utili indicazioni sugli argomenti che con ogni probabilità vedremo sciorinare ovunque, nel prossimo futuro, dalla casta intellettuale benpensante.
    Il tono della denuncia è senza appello. Il termine più impiegato per accompagnare il concetto sotto accusa è ossessione, ma c’è chi non se ne accontenta. Guy Sorman, già noto per il suo oltranzismo, preferisce parlare di orrore, ma non disdegna di ricorrere alla metafora della febbre, al più scontato mito, e non rifugge neppure da un’espressione ancora più forte come terrorismo identitario – per lui ovviamente plausibile, dal momento che ci troveremmo di fronte ad un “discorso identitario” che funge da “maschera del razzismo e della xenofobia” e “domani autorizzerà i rastrellamenti e le espulsioni”. Il filosofo Michel Serres preferisce parlare di “errore logico e crimine politico”, ma l’effetto non cambia.
    Viaggiamo, come si vede, sul filo dell’invettiva e dell’intimidazione, ormai peraltro abituale negli ambienti culturali votati alla preservazione dell’odierno spirito del tempo, dietro le quali si delinea un progetto (meta)politico ben espresso da una delle vedettes dell’attualità mediatico-editoriale, Thomas Piketty, quando parla di “trovare i mezzi per far finalmente progredire la mescolanza”. Vale quindi la pena di dare un’occhiata alle argomentazioni utilizzate per promuoverlo.
    La più frequente, reiterata con un’insistenza che discende dall’apodittica e infondata convinzione che il “discorso identitario” abbia raggiunto una posizione egemonica nell’immaginario sociale, si riassume nell’affermazione dell’irrealtà dell’oggetto contro cui ci si scaglia: l’identità non sarebbe altro che un fastidioso fantasma.
    I modi per esprimere questa tesi sono diversi, ma si sostengono a vicenda. L’identità, sostiene ad esempio Serres, non è l’appartenenza, non è la carta d’identità, e chi lo pensa cade nella “spirale del razzismo”. L’identità culturale non esiste, gli fa eco il sinologo (parbleu!) François Jullien, perché è in mutazione permanente, affermazione che sentiamo ripetere da decenni e che è fatta propria anche di filosofi di tutt’altro orientamento, come Philippe Forget. Essa, aggiunge un altro filosofo, François Noudelmann, esprime “l’illusione di una generalità”, “il miraggio di un’origine comune”, una “finzione” e “menzogna storica” fondata sulla “naturalità delle appartenenze, la conformità dei paesaggi, la rassomiglianza delle facce e la riduzione delle differenze”. Insomma, la sua “fissità” non corrisponde minimamente ai dati della realtà, dato che la caratteristica della cultura è di mutare e trasformarsi.
    Questa obiezione nulla toglie in realtà ad un elemento oggettivo irrefutabile, e cioè che nel corso della storia gli individui hanno costantemente mostrato una tendenza ad aggregarsi e a creare codici di riconoscimento reciproco – e di esclusione degli estranei – intorno ad una serie di referenti sia concreti che simbolici che dessero loro la certezza di co-appartenere ad una o più precise entità comunitarie. Si sono, insomma, voluti pensare come comunità e come popoli.
    Sapendo che le cose sono andate così, gli spregiatori dell’identità si sforzano di aggirare l’ostacolo sostenendo che chi si richiama oggi a referenti identitari lo fa perché ne percepisce la fragilità: “sventolare bandiere ovunque in un paese è spesso il segno che l’unità non è scontata e che bisogna sostenerla”; quello che viene agitato sarebbe dunque soltanto un “feticcio”. A noi pare il contrario. Proprio nel suo offrire un ancoraggio, una direttrice di senso, in un’epoca in cui più forte è lo choc prodotto dall’incontro con stili di vita alieni o ignoti, l’attaccamento ad un’identità si dimostra benefico, riduce lo smarrimento, rassicura, indica una soluzione.
    Se ne rende conto, del resto, anche chi si accanisce a dissolvere la concretezza del concetto, quando scrive che “la rivendicazione identitaria è l’espressione del rimosso prodotto dall’uniformazione del mondo” ed ammette che “il globale rafforza il locale, la globalizzazione accentua il bisogno di nazione, l’apertura delle frontiere acuisce il riflusso identitario”. Di conseguenza, affermare che “più un soggetto, individuale o collettivo, prova il bisogno di affermare una tesi o un’immagine di sé, più manifesta, paradossalmente, la mancanza di realtà”, è un puro controsenso, perché è l’immagine di sé coltivata da quel soggetto ad orientare la sua azione e consentirgli di partecipare alla costruzione della realtà. L’individuo o il gruppo incapaci di definire una propria identità sono condannati ad accodarsi passivamente alle azioni altrui.
    Ed è appunto questo lo scopo che gli odiatori dell’identità si prefiggono: decostruire le specificità, disgregare le comunità, uniformare, isolare i singoli dai potenziali poli di aggregazione, renderli soggetti a una deriva – questa sì – che ha come punto d’approdo un orizzonte cosmopolita dominato dal dogma dell’universalismo. Quel che preoccupa questi adoratori dello status quo, del tempo in cui si pretende che si sia avverata la fine della storia, è che la richiesta d’identità si stia rafforzando oggi, al di là dei consueti spartiacque, e per questo il loro appello a diffondere una cultura che “crei scarto e non identificazione”, per dirla con le parole di Jullien, è rivolto in ogni direzione.
    A questa aspirazione all’omologazione è dunque sempre più urgente contrapporre un richiamo al diritto di ogni popolo e di ogni cultura a mantenere e rafforzare la propria specificità. Nel “ritorno delle comunità”, o, viceversa, nell’esaurimento della spinta individualistica degli ultimi quarant’anni, legata alla globalizzazione e alla modernità liberale, che Marcel Gauchet ritiene di intravedere, vanno rilevati i sintomi di un positivo risveglio.
    Editoriale (di M.Tarchi). Perché i sacerdoti del pensiero unico odiano l?identità | Barbadillo

    "Il loro ideale è l'uomo senza terra, l'uomo che viene da dovunque e da nessuna parte, l'uomo spogliato di tutte le caratteristiche che gli sono proprie. L'uomo neutro o trans: transfrontaliero, transnazionale, al limite anche transessuale"
    Alain De Benoist


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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode



    Conosciuto grazie a Mauro Biglino.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  5. #395
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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    L’idolo di Shigir è la più antica scultura in legno del mondo
    L’incredibile idolo di Shigir, eccezionale statua di legno scoperta sui monti Urali nel 1894, è stato datato dagli scienziati tedeschi, e i risultati sono sensazionali. La statua, molto alta e incisa con misteriosi simboli, risale a 11.000 anni fa, ovvero 1.500 anni prima di quanto si pensasse, il che la rende la più antica del suo genere al mondo.
    «Lo studio è stato condotto a Mannheim, in Germania, in uno dei più avanzati laboratori del mondo, utilizzando la spettrometria di massa con acceleratore su sette minuscoli campioni di legno. I risultati sono stati sorprendenti: i campioni lo hanno datato a 11.000 anni fa, proprio all’inizio dell’Olocene. Abbiamo anche imparato che la scultura era fatta di un legno di larice di almeno 157 anni», scrivono su The Siberian Times.
    La statua è alta 2,8 metri, ma in origine era alta ben 5,3 metri – prima che dei pezzi del manufatto venissero accidentalmente distrutti in epoca sovietica.
    Il corpo della scultura preistorica è piatto e rettangolare. All’altezza del torace, delle linee orizzontali sembrano rappresentare delle costole. Gli antichi diedero all’idolo sette facce a diversi livelli della statua, e secondo gli studiosi queste posizioni probabilmente erano legate alla gerarchia. Tre figure sono poste una sopra l’altra sia di fronte sia di dietro, e una settima figura collega i due lati, completando la composizione.
    I ricercatori credono che gli alti zigomi dell’idolo e il naso dritto potrebbero riflettere l’aspetto dei loro creatori all’epoca.
    La scultura era stata trovata in una torbiera in Siberia oltre cent’anni fa. Come dentro a una capsula del tempo, l’idolo si trovava in condizioni eccellenti a circa 4 metri di profondità, protetto dalle proprietà antibatteriche della torba, che lo ha protetto dalla decomposizione.
    La scultura si trovava divisa in numerosi frammenti, ma una volta ricomposta, si è scoperto che era coperta con simboli mesolitici e disegni geometrici. Questi segni misteriosi non sono ancora stati decifrati, ma molti sospettano che possano essere dei messaggi. Se tradotti, potremmo ottenere importanti informazioni sull’uomo mesolitico.
    Mikhail Zhilin, ricercatore capo e docente presso l’Istituto di Archeologia dell’Accademia russa delle scienze, ha dichiarato: «Questo è un capolavoro, con un valore e una forza emozionale enorme. È una scultura unica, non c’è niente di simile al mondo… L’ornamento è ricoperto con informazioni criptate. Le persone trasmettevano la conoscenza con l’aiuto dell’idolo». Il messaggio rimane «un assoluto mistero per l’uomo moderno», ma Zhilin sostiene che gli antichi dovessero «vivere in armonia totale col mondo, avessero una capacità intellettuale avanzata, e un complesso mondo spirituale».
    Il professor Terberger ha dichiarato: "I risultati sono andati oltre le aspettative. Questo è un dato estremamente importante per la comunità scientifica internazionale. È importante per comprendere lo sviluppo della civiltà e dell'arte dell'Eurasia e dell'intera umanità. [...] Possiamo affermare che 11.000 anni fa i cacciatori, pescatori e raccoglitori degli Urali non erano meno avanzati dei contadini del Medio Oriente."
    Ha predetto inoltre che, in seguito ai risultati degli ultimi test, l'idolo "otterrà un grande riconoscimento della sua importanza nel mondo e dimostrerà che il centro dello sviluppo culturale non era solo nel Medio Oriente, ma anche negli Urali, in Eurasia".
    Ulteriori ritrovamenti in siti vicini e risalenti alla medesima epoca hanno infatti evidenziato una grande diffusione di utensili di vari materiali e di elevata fattura, utilizzati in particolare per la produzione di micro-lame estremamente sottili che venivano fissate all'estremità di lance di osso.
    https://ilfattostorico.com/2015/10/1...gno-del-mondo/










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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    Francia: 2.000 euro di multa al sindaco lepenista. Denunciava la sostituzione di popolo
    Robert Menard, il sindaco di Béziers, nel sud della Francia, dovrà pagare una multa di 2mila euro perché, mesi fa, aveva detto che nelle scuole locali ci sono troppi bambini musulmani. In occasione dell’inizio dell’anno scolastico il primo cittadino aveva twittato che a suo parere una percentuale pari al 64,5% degli allievi di religione musulmana erano un po’ troppi e che secondo lui questa era una dimostrazione della sostituzione di popolo in atto in Francia grazie agli immigrati.
    Inoltre, qualche giorno dopo il cinguettio in questione, Menard ha rilasciato un’intervista televisiva in cui ha affermato: “In una classe nel centro della mia città, il 91 per cento dei bambini sono musulmani”, aggiungendo che “Ovviamente, questo è un problema. Ci sono limiti alla tolleranza”. È partita una denuncia e in questi giorni il Tribunale lo ha riconosciuto colpevole. La sua condanna è più pesante, anche se di poco, rispetto ai 1800 euro di multa chiesti dai pubblici ministeri, i quali hanno sostenuto che il primo cittadino aveva “puntato il dito contro i bambini, descritti come un peso per la comunità nazionale”. Menard dovrà anche pagare danni compresi simbolicamente tra uno e mille euro a sette associazioni antirazziste.
    Pronta la replica del sindaco, vicino al Front National, il quale ha dichiarato di voler fare ricorso dal momento che nel suo tweet si era semplicemente limitato a descrivere una situazione reale, senza dare giudizi di valore. Del resto aveva invitato a confrontare le foto di due classi, una del 1970 e una di oggi, evidenziando come la sostituzione di popolo sia evidente.
    Per comprendere la composizione etnica e religiosa di bambini nelle scuole Menard è stato spesso nell’occhio del ciclone perché è stato accusato di “schedare” i suoi concittadini. La pratica, sebbene costituisca una discussione accesa da oltre 20 anni, in Francia è illegale dal 1978 e chi la trasgredisce può essere condannato a cinque anni di carcere o 300 mila euro di multa. Chi difende la “schedatura” della popolazione sostiene che sia perché è ingiusto non poter conoscere il numero delle persone di origine straniera che vivono in Francia, dato che nascondere le differenze con una legge non basta a cancellarle.
    A Béziers, cittadina mediamente ricca di 72mila abitanti, gli immigrati sono quasi tutti nordafricani, e secondo Menard l’integrazione è impossibile. Anche per il fatto che oltre alle differenze etniche ci sono quelle religiose, dato che quasi tutti gli immigrati sono musulmani.
    Francia: 2.000 euro di multa al sindaco lepenista. Twittava la sostituzione di popolo | IL PRIMATO NAZIONALE



    Francois Jalkh prende il timone di Front National al posto della Le Pen
    Dopo le dimissioni a sorpresa di Marine Le Pen da leader del Front National, il partito ha nominato Jalkh presidente ad interim
    Luca Romano
    Dopo le dimissioni a sorpresa di Marine Le Pen da leader del Front National per correre al ballottaggio delle presidenziali francesi del 7 maggio come "candidata di tutti i francesi", il suo partito ha eletto come presidente ad interim, Francois Jalkh, che, come scrive il sito del quotidiano Le Monde, è un europarlamentare "negazionista".
    Nel 2000 in un’intervista, mise in dubbio l’uso del gas Zyklon B nei campi di sterminio. Il successore di Marin le Pen è esponente dell’ala negazionista, nostalgica del regime di Vichy. Jalkh non si riconosce nella definizione di negazionista. Ma come ricorda Le Monde, per Jalkh lo Zyklon B non poteva essere usato dai nazisti nelle camere a gas "perchè ci vogliono diversi giorni per bonificare una stanza in cui è stato usato". Procedure, per lui, incompatibili con dei campi di sterminio. A chi oggi gli chiede di queste affermazioni, Jalkh risponde con un "non ricordo".
    Francois Jalkh prende il timone di Front National al posto della Le Pen - IlGiornale.it


  7. #397
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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    25 aprile, il Pd scivola su Coco Chanel 'patriota d'Europa': i social non perdonano. Su Twitter l'attacco: "Antisemita, collaborazionista ma celebrata in piazza".
    di ALESSIA GALLIONE
    Tra striscioni, magliette e cappellini blu (il colore dell'Unione Europea), bandiere e cartelli, appunto, con i nomi di 'grandi europei', da John Lennon (mostrato dal segretario Pietro Bussolati) a Rita Levi Montalcini, fino alla celebre stilista francese. Accusata sui social, però, di non essere lo sponsor migliore per i valori dell'antifascismo e antinazismo. Il motivo, per citare uno dei tanti messaggi rimbalzati su Twitter, lo ha spiegato lo scrittore Alessandro Robecchi, che ha postato la foto commentando: "Coco Chanel antisemita, collaborazionista nazista, celebrata dal Pd di Milano come 'patriota europea' il 25 Aprile. Niente da aggiungere".
    Alessandro Robecchi @AlRobecchi
    Caro @emanuelefiano, ieri, 25 aprile, avete celebrato in piazza un'antisemita collaborazionista. Direi che ci salutiamo qua, per sempre
    In realtà, chi ha aggiunto qualcosa è il deputato del Pd Emanuele Fiano[J], che sempre su Twitter risponde: "Avessero fatto vedere a me quel cartello glielo avrei strappato". Una presa di distanza che finisce tra decine di commenti di persone che attaccano il Pd.
    "L'errore", ammette il Pd milanese, c'è stato. I cartelli, secondo la versione del partito, sarebbero stati preparati "in modo giocoso" da un gruppo di ragazzi che ha collaborato all'organizzazione dell'iniziativa.
    25 aprile, il Pd scivola su Coco Chanel 'patriota d'Europa': i social non perdonano. Mea culpa dem: "Un errore" - Repubblica.it



    "Coco Chanel fu spia nazista" nuove rivelazioni in un libro
    COCO CHANEL una volta disse: "Per essere insostituibili bisogna essere diversi". E lei sicuramente lo era. Forse anche più di quanto fino a oggi si immaginasse. Nuovi documenti - pubblicati in un libro in uscita oggi negli Stati Uniti dal titolo "Al letto con il nemico - La guerra segreta di Coco Chanel" - dimostrano come la famosa stilista e icona francese sia stata una spia nazista.
    "Coco Chanel - spiega l'autore della biografia Hal Vaughan - era fieramente antisemita già prima dell'avvento al potere di Adolf Hitler in Germania. Odiava ebrei, sindacati, socialismo, comunismo e massoneria". Le voci sui rapporti fra la stilista e il Reich non sono nuove, ma Vaughan si è basato su numerosi documenti recuperati negli archivi francesi, tedeschi, inglesi e americani. E racconta nuovi particolari di questa vicenda.
    Tutto sarebbe iniziato nel 1940 quando, a 57 anni, la Chanel sarebbe stata reclutata dall'Abwehr, un settore dell'intelligence tedesca. Da quel momento avrebbe lavorato per i tedeschi con la matricola F-7124 e il nome in codice Westminster, dal suo amante e amico, il duca di Westminster.
    L'agente Westminster, sempre secondo il libro di Vaughan, avrebbe compiuto varie missioni in Spagna, in Marocco e ovviamente a Parigi. E grazie alla sua attività avrebbe conosciuto il barone Hans Gunther von Dincklage, detto "Spatz", ufficiale nazista di alto livello con il quale ebbe una lunga relazione. E proprio grazie a Spatz che Chanel può vivere - durante gli anni dell'occupazione tedesca in Francia - al settimo piano del Ritz di Parigi, hotel frequentato da gerarchi nazisti come Goering e Goebbels.
    [Con l'avvento della seconda guerra mondiale, la Chanel chiuse il suo atelier, per riaprirlo solo alla fine del conflitto. Affermava che non era tempo per la moda; 4000 impiegate donna persero il loro lavoro. Il suo biografo Vaughan suggerisce che la Chanel approfittò dello scoppio della guerra per vendicarsi di quei lavoratori che, facendo pressioni per orari e stipendi più favorevoli, indirono uno sciopero generale nel 1936 in Francia costringendola a chiudere temporaneamente il negozio. Nel chiudere il suo atelier, la Chanel espresse disprezzo per gli ebrei, e a molte persone confidò che secondo lei gli ebrei fossero una minaccia per l'Europa a causa del governo bolscevico dell'Unione Sovietica.
    Scrisse al governo d'occupazione nazista il 5 maggio 1941 per farsi assegnare il controllo totale della Parfums Chanel, la cui amministrazione era tenuta da ebrei, e motivò la richiesta sulla base del fatto che l'azienda "è ancora proprietà di ebrei".
    In quegli anni, Coco intraprese una relazione con una membro del controspionaggio nazista, il barone Hans Günter von Dincklage, detto Spatz, e in seguito si legò a uno dei giovani capi delle SS, Walter Schellenberg. Volevano servirsi degli agganci che lei aveva nell'ambiente inglese e in quello tedesco per mandare in porto una trattativa di armistizio con gli inglesi, escogitata insieme a Theodor Momm ed Heinrich Himmler. L'operazione prese il nome di Modellhut.
    Il piano prevedeva che la trattativa si dovesse svolgere in Spagna. Lì però l'accompagnatrice della Chanel, Vera Lombardi[napoletana sinistrorsa] la tradì denunciandola all'Intelligence come un'agente tedesca. In seguito all'operazione Modellhut, nel 1944 le FFI (Forze Francesi dell'Interno) arrestarono la Chanel, proprio per le sue relazioni con spie nemiche.]
    "Coco Chanel fu spia nazista" nuove rivelazioni in un libro - Repubblica.it






  8. #398
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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    CONAN IL CIMMERO: PSICOLOGIA DI UN EROE EURASIATICO
    È un concetto ripetuto nelle saghe di Robert Ervin Howard che l’umanità abbia bisogna di ritornare ciclicamente alla barbarie per poi riemergere carica di nuove forze vitali. Conan stesso è un rude barbaro del Nord, il suo popolo scende dal circolo polare – come gli indoeuropei secondo l’ipotesi nordicistica – e si fa strada tra esseri regrediti a una condizione scimmiesca, riportando in alto l’antica eredità del sangue ariano.
    Howard attribuisce al popolo di Conan la denominazione di Cimmeri, che rimanda alla stirpe della famiglia ario-iranica stanziata intorno al Mar Nero e al Caspio. Nel mondo parallelo di Conan la Cimmeria è posta nell’estremo nord e tuttavia la descrizione fisica dell’eroe sembra ricalcare un modello euro-asiatico (peraltro confermato visivamente anche nella bella interpretazione cinematografica di Arnold Schwarzenegger) che più si addice ai Cimmeri storici.
    Nel racconto l’Elefante Verde, Conan emerge sopra un pittoresco melting pot di ladri, cantinieri, guardie corrotte, uomini e donne di baldoria della città meridionale di Zamora: “In piedi stava un giovane alto e robusto che sembrava altrettanto fuori posto di un lupo grigio in mezzo ai topi di fogna”. Conan ha una muscolatura possente, spalle larghe e poderose, petto massiccio e braccia pesanti. Ha gli occhi azzurri, è snello di fianchi e la sua spada è (momentaneamente) riposta in un logoro fodero.
    Il suo temperamento guerriero si infiamma di collera. L’istinto selvaggio del barbaro gli consente di muoversi con rapidità assoluta schivando i pericoli e portandosi all’attacco. Howard lo paragona a una tigre nei suoi movimenti, nello stesso tempo sottolinea che è guardingo come una pantera: fenomenologia sciamanica di prossimità tra il guerriero e gli spiriti di animali totemici.
    La psicologia di Conan è immediata, ma non rudimentale. Egli confida in una sorta di primato della volontà: “c’è sempre un mezzo se al desiderio si aggiunge il coraggio” dice. A ben vedere, non è privo di curiosità intellettuale, e tuttavia la sua volontà di capire si tramuta in diffidenza quando egli si accosta ai frutti ormai nauseabondi della decadenza. “Sapeva che la religione zamorana, come quella di tutti i paesi decaduti, era complessa e intricata e aveva smarrito gran parte dell’essenza originaria in un labirinto di formule rituali. Per ore lui era rimasto nei cortili dei filosofi, ascoltando le controversie di teologi e professori, ma ne aveva ricavato un’unica certezza: che fossero tutti matti”. Tutta la saga di Conan è attraversata dal disgusto della decadenza: civiltà un tempo grandi e ormai sfatte attendono di cadere come preda di barbari coraggiosi ancora in contatto con le forze elementari della vita.
    Così nel racconto della “Torre dell’Elefante” Conan si scontra con il gran sacerdote Yara e pone fine ai suoi malefici. Magia nera e debosce connotano questa figura come personaggio decadente: quando non sono impegnate a controllare Zamara, le pupille del mago si dilagano per effetto degli effluvi del loto giallo, una droga.
    Ancora una annotazione sulla psicologia del personaggio: nel momento in cui Conan avvista il bizzarro essere venuto da un altro pianeta e di forma elefantina, Howard osserva che “un uomo civile al suo posto avrebbe cercato dubbia consolazione nell’idea di essere diventato pazzo, ma il cimmero non dubitava dei suoi sensi”. Con la sua immediatezza nei movimenti e la “fiducia nei sensi” il Conan di Howard, sia pur nella improponibilità del paragone letterario, è decisamente un anti-Amleto.
    CONAN IL CIMMERO: PSICOLOGIA DI UN EROE EURASIATICO



    Psicologia, il codice virile
    Lo psicoterapeuta Marchesini: «Dove sono più i veri uomini? La nostra è una società irresponsabile, in cui contano solo i “like”. Riscopriamo le virtù del cavaliere, di colui che è pronto a dare
    Antonio Giuliano
    Quando il gioco si fa duro, scendono in campo i veri uomini. Ma questa è una società di “mammolette”, tutt’altro che virile. Bombardati da modelli e messaggi effeminati, dell’uomo maschio se ne son perse le tracce. Abbondano invece i fifoni e i “mammoni” e anche il “macho”, il palestrato con tatuaggio, in realtà nasconde una personalità fragile e insicura. È un quadro impietoso ma documentato che Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, ha già fatto emergere in un saggio controcorrente Quello che gli uomini non dicono (Sugarco). Da studioso consapevole della posta in gioco ha pensato bene di rilanciare il tema con un nuovo manuale impavido che punta in alto e fa riscoprire l’orgoglio agli uomini (ma di riflesso anche alle donne) della propria identità di genere: Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio (Sugarco, pagine 144, euro 12,50).
    Maschi si nasce (checché ne dica l’ideologia gender), ma uomini si diventa è il cardine del suo ragionamento. Però abbiamo smarrito la stessa etimologia del termine “uomo”.
    «Esatto. Il greco lo definisce con due parole: anthropos e aner. Il primo indica l’essere umano di sesso maschile, il secondo l’uomo pienamente realizzato, l’eroe. Così i latini usavano homo e vir da cui virtus (la virtù) vis (forza) e virilitas (virilità). L’essere umano di sesso maschile nasce homo (o anthropos) e deve diventare vir (o aner) cioè forte, coraggioso, virtuoso. Il dovere connesso al nascere maschio è di diventare uomo, di realizzare quel potenziale donatoci al concepimento di diventare un eroe».
    Perché non sentiamo più questo compito?
    «L’umanità ha sempre abitato un mondo metafisico, nel quale la realtà non era limitata ai nostri sensi. Ogni donna e ogni uomo sapeva di avere un compito da realizzare, un progetto da compiere, dei talenti da mettere a frutto. Ora viviamo in un mondo in cui non c’è un domani, un orizzonte, un fine: la vita è un eterno presente senza senso. Il problema è che una vita senza significato è, come diceva Viktor Frankl, una vita grigia, vuota, impossibile. E anche la ricerca spasmodica del piacere è una conseguenza dell’impossibilità di vivere una vita senza uno scopo».
    A che cosa serve un codice cavalleresco?
    «È una guida per l’uomo di oggi per riscoprire se stesso. Un compendio tutto fuorché “buonista”. Il cavaliere non è tale per nascita, ma per virtù, non ha privilegi, ma doveri, che egli accetta liberamente. Il cavaliere è generoso e domina le passioni senza farsi dominare perché le indirizza verso il bene. È un uomo che teme più la vergogna e il disonore della morte stessa. Anzi, sacrificare la propria vita per il bene degli altri è il suo destino, il suo compimento».
    Lei ne fa una questione di onore, ma gli adulti oggi sembrano più attratti dai social network.
    «L’onore non coincide con la reputazione. L’onore dipende dalle virtù della persona, non da quello che altri pensano di lei. Le due cose non coincidono anzi spesso sono in antitesi. “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” dice il Vangelo. E in effetti Gesù che incarnava ogni virtù, non godeva di ottima reputazione. La nostra società, senza onore, è basata sulla reputazione. Come dimostra il successo dei social, dove agisce il meccanismo perverso dei “like” o dei “followers”. Di avere cioè l’approvazione degli altri anche se estranei. Ma chi elemosina approvazione da chiunque è generalmente una persona molto insicura».
    In questa crisi del maschio, a farne le spese più di tutti oggi è la figura del padre.
    «È il grande assente. E difatti la nostra società, materna, iperprotettiva, ci induce a essere timorosi. È la mamma che dice: “Non farlo, che ti fai male”, “È pericoloso”; è invece il padre che ci incoraggia a rischiare, a osare, a lasciare le sottane materne per prendere il largo nel pericoloso mondo. La vita è rischio e la nostra civiltà è stata costruita da coraggiosi, non da vili. Ma oggi prevale il lamento o l’assicurazione che non si avranno conseguenze. Siamo circondati da persone che vogliono avere rapporti sessuali ma non la gravidanza, vogliono avere figli ma devono essere sicuri che saranno sani e belli. E poi sempre a scaricare la responsabilità sugli altri: “Mio figlio è un bravo ragazzo prendetevela con i veri delinquenti”… Stiamo allevando una società di irresponsabili».
    Tra le virtù del codice cavalleresco c’è la lealtà…
    «Ormai scomparsa. Basta vedere la crisi del matrimonio. Il tradimento (considerato ormai fisiologico) e il divorzio non sono altro che una rottura del giuramento, una slealtà. “Se le cose vanno male” - si obietta - “perché restare insieme?”. Perché si è promesso e le promesse si fanno per quando le cose vanno male, altrimenti non ci sarebbe bisogno di promettere. Ma si sa, la fedeltà ha un prezzo e oggi nessuno è educato a pagare per le proprie scelte».
    Perché lo sport è un’ottima palestra di virtù?
    «Chi ha fatto sport sa che l’avversario è quello che abbiamo dentro di noi: paure, insicurezze, limiti. Colui che abbiamo davanti ci dà l’occasione di superare le nostre fragilità. Nello sport non importa vincere o perdere, ma come si vince e come si perde. La storia (vera) di Rocky Balboa lo dimostra».
    Un eroe anche del cinema, come Braveheart o Batman…
    «Sono modelli. Batman è uno che combatte il crimine a mani nude, e senza uccidere mai nessuno; indossa la maschera non per viltà, ma per proteggere chi gli sta vicino. È il Cavaliere Oscuro. Un cavaliere, perché il suo destino è quello di morire combattendo il male. Oscuro perché non esita a sacrificare la propria reputazione, ad accettare di essere deriso e calunniato per il bene delle persone che gli sono affidate».
    Un’arma potente è l’educazione.
    «La nostra civiltà è stata costruita sul potere delle storie: dai poemi omerici, alle chanson de geste, alla letteratura eroica per l’infanzia. Noi stessi del secolo scorso abbiamo capito cos’era un uomo leggendo Sandokan, Michele Strogoff, L’ultimo dei mohicani... Ma adesso non raccontiamo più nulla ai ragazzi: gli diamo in mano un tablet, uno smartphone perché non diano fastidio. Riprendere in mano questo patrimonio millenario di storie è la chiave per dare ancora un orizzonte a milioni di uomini e donne».
    https://www.avvenire.it/agora/pagine...aabfca169128b2


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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    L’estrema destra sfida i divieti
    Centinaia di braccia tese al campo X del cimitero Maggiore di Milano. I movimenti di estrema destra milanesi hanno aggirato i divieti di prefettura e questura, organizzando il 29 aprile una cerimonia per ricordare i caduti della Repubblica sociale italiana e i loro alleati nazisti seppelliti al Musocco.
    La cerimonia era stata vietata quattro giorni fa, in occasione del 25 aprile, dopo le tante polemiche sollevate da diverse organizzazioni antifasciste e dal sindaco Beppe Sala. Ma oggi, giornata simbolo per l'estrema destra (si ricordano le morti di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, eroe di guerra sepolto proprio al Maggiore), centinaia di militanti hanno sfidato i divieti, producendosi in una manifestazione destinata a suscitare polemiche.
    Sala aveva detto: "Milano non sarà città dei saluti fascisti"
    Ironia della sorte vuole che proprio mentre al Musocco centinaia di persone tendevano le braccia nel saluto fascista, il sindaco Beppe Sala fosse impegnato nelle due cerimonie istituzionali per ricordare Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi: il primo studente ucciso da Avanguardia operaia il 29 aprile del 1975, il secondo consigliere provinciale missino assassinato da Prima linea esattamente un anno dopo. Sala, che ha deposto corone di fiori (senza indossare la fascia tricolore), aveva detto: "Non è assolutamente ammissibile che il 29 aprile gruppi neo fascisti strumentalizzino questi eventi tragici per inscenare manifestazioni improntate al revisionismo. Milano non è né sarà mai la città dei saluti fascisti". Ma dalle organizzazioni di estrema destra è arrivato un vero e proprio "schiaffo" al sindaco.
    In una nota su Facebook Lealtà Azione ha scritto: "A seguito delle inutili ed ignobili polemiche sollevate dall'ANPI e dal Sindaco nei giorni precedenti al 25 aprile in merito alla commemorazione che, annualmente, si svolge a Campo X per ricordare gli oltre mille Caduti della RSI abbiamo deciso di ricordarli in un'altra data simbolo per le nostre Comunità. La decisione – prosegue la nota – è frutto del rispetto per i nostri Caduti che meritano di essere ricordati nel modo migliore e non secondo prescrizioni dettate da Istituzioni ostaggio dei soliti fomentatori d'odio. I nostri movimenti non hanno voluto prestarsi al circo mediatico che lasciamo volentieri a chi dei morti non ha il minimo rispetto. Abbiamo onorato e continueremo ad onorare e ricordare i nostri Caduti, a prescindere dai vergognosi e infami divieti che i soliti noti vorrebbero vedere imposti”.
    L?estrema destra sfida i divieti centinaia di saluti romani al cimitero Maggiore di Milano
    Milano Fanpage - Notizie da Milano





    Saluti fascisti per Salò. Ecco il risultato della politica dei divieti
    Il sindaco Sala aveva chiesto di proibire il raduno del 25 aprile. Ieri il blitz dei militanti
    Giannino Della Frattina
    Centinaia di persone con il braccio teso ieri al cimitero Maggiore di Milano sulle tombe dei militi di Salò dopo che il 25 aprile un'ordinanza del neo prefetto Luciana Lamorgese su richiesta del sindaco Giuseppe Sala aveva vietato la tradizionale messa al Campo dell'Onore.
    «Me ne frego» anche a Cremona, dove oltre al sindaco Gianluca Galimberti d'accordo con la prefettura, anche il vescovo aveva negato perfino la benedizione alla tomba di Roberto Farinacci.
    Ecco a cosa porta la politica dei divieti. Il tentativo sempre vano di incarcerare (e non solo metaforicamente) i pensieri. Giusti o sbagliati che siano. Perché un'idea eventualmente storta, si raddrizza con un'idea migliore e non certo con leggi speciali o ordinanze dei prefetti. Sempre se si è capaci di farlo. Un pensiero si può combattere con la dialettica o la persuasione, non vietando. Soprattutto se di fronte si ha l'ardore di giovani il cui spirito per natura ribelle non può che infiammarsi di fronte ai proibizionismi di qualunque sorta. Figurarsi di fronte al fascino romantico che su di loro esercitano il sangue dei vinti e la nobiltà della sconfitta di una generazione di loro coetanei soffocata nel sangue e sepolta dalla bombe americane. Un effetto di emulazione inevitabilmente moltiplicato in questi tempi che hanno sepolto idee e ideologie, lasciando soprattutto nei ragazzi una spaventoso deserto di valori che seguendo la legge fisica dei vasi comunicanti evidentemente valida anche per le anime, chiede di riempire i vuoti con altre idee. Possibilmente forti.
    Sarebbe bene pensarci prima di aver mandato sulle barricate e al massacro un'altra generazione, mettendo i giovani contro i giovani come è già stato fatto nel '77. E proprio ieri erano 42 anni dalla morte di Sergio Ramelli, il diciottenne del Fronte della Gioventù a cui una chiave inglese del servizio d'ordine di Avanguardia operaia sfondò il cranio. Perché dopo la disapprovazione dei partigiani (postumi) dell'Anpi e i divieti a celebrare il 25 aprile al Campo X, ecco che ieri quello che era stato proibito è deflagrato quanto mai era successo negli anni precedenti. I militanti di estrema destra si sono dati appuntamento e a centinaia hanno celebrato quello che era stato vietato l'altro giorno. Una disciplinatissima marea umana, ben più di quelli che il 25 aprile erano sui cippi dei partigiani, ha reso omaggio ai militi di Salò, alle ausiliarie della Repubblica sociale italiana, alle donne stuprate e uccise magari per la sola colpa di aver amato un fascista e ai tanti innocenti finiti nella mattanza seguita ai giorni della Liberazione. Tantissime, nemmeno a dirlo, le braccia tese che erano state rigorosamente proibite nelle disposizioni dettate dal neo prefetto Luciana Lamorgese il 25 aprile, e lunga la coda per il saluto al ministro della Cultura popolare e segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini, giornalista e scrittore. Così come a Cremona è stato ricordato Roberto Farinacci, uomo talmente integro che alla fine fu inviso perfino al Fascismo diventato regime. Difficile proibire tutto questo per legge o con un'ordinanza del prefetto.
    Saluti romani per Salò. Ecco il risultato della politica dei divieti - IlGiornale.it

    MOLOTOV CONTRO SPACCIATORI AFRICANI: CONDANNATI TRE GIOVANI
    Hanno patteggiato una pena di un anno e quattro mesi di reclusione i tre giovani accusati di aver lanciato una bottiglia incendiaria contro un gruppo di tre cittadini extracomunitari. Spacciatori.
    Il fatto risale alla notte del 22 maggio dell’anno scorso. A bordo di una Nissan Micra i tre ragazzi, un parmense di 25 anni e due reggiani di 25 e 27 anni, raggiunsero la piccola rotatoria tra via Venezia e via Naviglio Alto dove erano soliti sostare alcuni giovani di colore (nero), più volte visti spacciare nella zona.
    Da un finestrino dell’utilitaria venne lanciata la molotov, che non colpì nessuna persona ma provocò solo una fiammata per terra. Gli spacciatori extracomunitari si diedero alla fuga, mentre il titolare del bar Laguna assistette alla scena e allertò la polizia. Un avventore segnò il numero di targa. Il barista si è costituito parte civile nel procedimento.
    Stop un attimo e riflessione: perché un barista dovrebbe denunciare chi lancia una molotov contro gli spacciatori che vendono droga davanti al suo bar? Questo sì, sarebbe interessante indagare. Quindi non lo faranno.
    Dopo una breve indagine gli agenti risalirono agli autori del gesto. Si tratta di tre giovani incensurati.
    I tre giovani sono stati denunciati per il reato di fabbricazione dell’ordigno incendiario, per possesso di oggetti atti ad offendere e per minacce. Oggi la sentenza del giudice per le udienze preliminari.
    Non solo importano feccia che spaccia, ma la difendono da chi si ribella. Che Stato di merda.
    Molotov contro spacciatori africani: condannati tre giovani | Vox

    Neonazisti, cellula scoperta a La Spezia. Sei perquisizioni e tre misure cautelari
    I carabinieri del comando provinciale di La Spezia hanno compiuto sei perquisizioni e per tre indagati - tutti di nazionalità italiana, ritenuti responsabili dei reati di “associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e nazionali” ed a vario titolo anche per reati di danneggiamento - è stato disposto l’obbligo di dimora nel comune di residenza con il divieto di allontanamento dall’abitazione nelle ore notturne.
    Il gruppo, secondo i carabinieri, organizzava ronde illegali punitive, nei confronti di cittadini extracomunitari, e in alcune circostanze ha appiccato il fuoco a raccoglitori di indumenti usati della Caritas diocesana della Spezia e a un macchinario di una cava. Il gruppo aveva anche una base logistica: una roulotte parcheggiata in una zona boschiva di Follo (La Spezia).
    Le indagini hanno consentito di individuare l’esistenza e l’attività di un gruppo clandestino, denominato Autonomi NS La Spezia composto da militanti della frangia più oltranzista dell’estrema destra riconducibili all’area naziskin. Per farsi propaganda affiggevano nelle vie cittadine simboli nazisti e imbrattavano targhe e iscrizioni commemorative della Resistenza e della lotta antifascista. L’inchiesta, coordinata dal procuratore della Spezia Antonio Patrono, è partita nel maggio 2016 dopo una serie di querele sporte ai carabinieri del comune di Ceparana per l’imbrattamento con svastiche e simboli nazisti del muro della sede locale del Partito Democratico.
    Neonazisti, cellula scoperta a La Spezia. Sei perquisizioni e tre misure cautelari - Il Fatto Quotidiano

    RONDE ANTI MIGRANTI: SMANTELLATA CELLULA DI RESISTENZA A IMMIGRAZIONE A LA SPEZIA
    Mentre Zuccaro lavora, tra mille difficoltà, poche risorse e gli attacchi dei politici d’alto bordo, altri magistrati perdono tempo alla ricerca di ‘cellule neonaziste’, che poi alla fine dei processi si scopre non essere altro, quasi sempre, che normali cittadini che vogliono difendere il loro territorio dall’invasione in atto. Reato gravissimo, per chi questo degrado lo crea, lo protegge e lo adora.
    Venendo alla notizia, a Follo (La Spezia), i carabinieri questa mattina hanno effettuato perquisizioni nei confronti di sei cittadini accusati di “associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e nazionali”.
    L’inchiesta è partita nel maggio 2016 dopo alcune denunce per l’imbrattamento con svastiche e simboli nazisti dei muri esterni della sede del Partito Democratico a Ceparana (La Spezia). Secondo i carabinieri, il gruppo organizzava ronde “punitive” contro cittadini extracomunitari, oltre ad aver appiccato il fuoco ai cassonetti di raccolta di indumenti usati e a un macchinario di una cava. A tre degli indagati è stato notificato l’obbligo di dimora nel comune di residenza e il divieto di allontanamento dall’abitazione nelle ore notturne.
    Esulando dalle svastiche, evidente provocazione per un PD che governa abusivamente il paese da anni senza avere mai vinto una elezione, non si capisce perché certe azioni fatte durante l’occupazione nazista siano considerate ‘resistenza’, e le stesse fatte ora, che ci occupano orde di africani e islamici, no. Questo puramente dal punto di vista filosofico.
    Perché, ci chiediamo, dove sta scritto, che in Italia debbano vivere masse di africani e islamici? Chi l’ha deciso e quando? Ve l’hanno mai chiesto? Avete mai votato si o no ad un referendum del genere?
    Ronde anti migranti: smantellata cellula resistenza a immigrazione a La Spezia | Vox


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    Predefinito Re: Vicende storiche (e non storiche) scomode

    Daniele Maria Candellieri
    30 Aprile 1945, saliva verso il Walhalla l'ultimo Signore degli Arii.
    Dal rogo nibelungico dove Lui e la sua Sposa furono consegnati ai Numi della Stirpe Aria iniziava la sua resurrezione, come dalle catacombe di Berlino ricominciava ad ardere la torcia della rinascita.
    Annuncio della Radio tedesca:
    "Achtung, Deutsche Manner und Frauen, Soldaten der Deutsche Wehrmacht, Unser Fuhrer Adolf Hitler ist gefallen....".
    Annuncio completo riportato da Adriano Romualdi, nel saggio "Le ultime ore dell'Europa":
    ""IL QUARTIERE GENERALE COMUNICA CHE OGGI POMERIGGIO IL NOSTRO FUHRER, ADOLF HITLER, E' CADUTO PER LA GERMANIA NEL SUO COMANDO DELLA CANCELLERIA DEL REICH, COMBATTENDO CONTRO IL BOLSCEVISMO FINO ALL'ULTIMO RESPIRO. IL 30 APRILE, IL FUHRER HA NOMINATO SUO SUCCESSORE IL GRANDE AMMIRAGLIO DONITZ".
    Altissime, poi vibranti e spezzate, poi ancora alte, cupe, solenni, erano risuonate le note della marcia funebre di Sigfrido dal Crepuscolo degli Dei".



    Un austriaco su quattro vorrebbe un nuovo Hitler. La democrazia in Europa sta fallendo? In dieci anni, quelli che lo vorrebbero sono aumentati del 7%. Cresce anche l'insoddisfazione verso la democrazia, e viene rivalutato il nazismo
    ESTERO VIENNA – I risultati di un sondaggio dell’istituto SORA, dicono che il 23% degli austriaci desidererebbe il ritorno di un Füher stile Hitler, quanto meno di una persona che non debba render conto al Parlamento e non debba passare attraverso le elezioni. A prima vista, insomma, la democrazia pare aver stufato gli austriaci.
    Il risultato, per quanto fa riflettere sui fattori che abbiano portato un popolo a esprimersi in questi termini, non è del tutto sorprendente: infatti già dieci anni fa coloro che si dicevano insoddisfatti della democrazia erano il 41%, ora siamo passati al 43%. Coloro che invece ne sono contenti sono scesi dal 44% al 32%.
    Nel 2007, a volere una persona stile Hitler erano il 14%, con un avanzamento del 7%. Non solamente un uomo solo al comando, ma anche un cambiamento di sistema.
    A distanza di anni, gli austriaci stanno anche rivalutando il nazismo. Per il 31% esso ha avuto dei lati positivi.
    Questi dati rappresentano il fallimento dei sistemi di governo europei, oppure il malcontento si limita all’Austria?
    Ticinolibero - Un austriaco su quattro vorrebbe un nuovo Hitler. La democrazia in Europa sta fallendo?


 

 
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