Hai uno o più profili sui social network? Usi il tuo vero nome o uno pseudonimo? Era chiaro che prima o poi ci si sarebbe arrivati: per viaggiare in America potresti presto dover dichiarare insieme all’Esta (o all’I-94 e all’I-94W di fatto integrati dal programma elettronico per viaggiare senza visto) il tuo ecosistema sulle piattaforme sociali.Facebook e compagnia entrano di diritto nel pacchetto degli elementi identificativi personali. Cioè in quel nucleo di informazioni che ci riguardano e possono contribuire a stabilire se possiamo o meno attraversare la frontiera statunitense.
L’implementazione del meccanismo non è affatto una certezza. Si tratta infatti di una proposta del dipartimento di Sicurezza interna. Un aggiornamento ai moduli consultabile qui che, se approvato, potrebbe dunque domandare all’aspirante viaggiatore di identificare con chiarezza quale social usa e il proprio nickname.
Secondo il testo quella dichiarazione dovrebbe essere opzionale. Evidentemente solo nella misura in cui si potrebbe anche in teoria non disporre di alcun profilo.
Ma cosa accadrebbe se invece si evitasse di compilare quei campi e qualcuno scoprisse, magari con un meccanismo automatico di ricerca sul web, che invece su Twitter e Instagram ci sei eccome?
L’idea è stata ufficializzata la scorsa settimana dall’Agenzia per le dogane e la protezione delle frontiere, parte integrante del dipartimento di Sicurezza interna. L’obiettivo è utilizzare quegli account per “esaminare accuratamente l’identità, così come informazione di contatto” si legge nella proposta depositata al Registro federale, specie di gazzetta non ufficiale con leggi, disegni di legge e informative degli organismi federali statunitensi. C’è tempo per i commenti fino al 22 agosto.
Il punto è che, pur “opzionale”, si tratta di un’operazione piuttosto chirurgica. E per alcuni subdola. Per altri ancora fuori da ogni logica. “È davvero complicato che i viaggiatori non compilino quella parte, anche se non obbligatoria, visto che potrebbero aver paura di vedersi rifiutare la domanda - ha spiegato alla Bbc Lorenzo Hall del Centre for democracy and technology di Washington – la democrazia richiede spazi liberi dal controllo governativo e parte della nostra vita sociale avviene sempre di più online”.
Il punto da cui parte l’Agenzia è semplice: visto che diversi attentati, negli ultimi tempi, erano stati in qualche modo annunciati sulle bacheche dei responsabili, quelle timeline vanno tenute sotto controllo in modo ancora più stringente. “Raccogliere dati sui social rinforzerà l’attuale processo investigativo e concederà al dipartimento più chiarezza su possibili attività e collegamenti dannosi grazie a un nuovo gruppo di strumenti che analisti e investigatori possono usare per analizzare meglio e investigare il singolo caso” si legge ancora nella proposta.
La strada è sempre più stretta. Fra l’altro, in buona parte ce la stiamo stringendo da soli intorno al collo. D’altra parte era anche prevedibile che le rivelazioni del Datagate fossero beffardamente superate e sorpassate alla luce del sole. Caduto quel muro psicologico che ha catalizzato l’attenzione degli esperti per almeno un paio d’anni, ora le autorità (statunitensi e non solo) vanno dritte dal cittadino, obbligandolo a spogliarsi di sempre più spazi di riservatezza per ottenere servizi o, in questo caso, l’accesso sul suolo statunitense.
Se di per se stesso indicare l’account su Facebook o su Snapchat non sembra un gesto particolarmente problematico costituisce di fatto l’ennesimo passo di quel percorso nel quale la cessione di porzioni sempre più ampie di individualità ci appare come un’inevitabile normalità. Anzi, entra nei requisiti di movimento, nelle fondamenta di libertà. Salvo poi produrre quasi mai risultati tangibili e documentabili in termini di maggiore sicurezza.
Dichiarereste i vostri account social per entrare negli Stati Uniti? - Wired