Proletari senza rivoluzione o l'eterna infanzia dell'avanguardia
Il proletariato nella sua lotta contro la borghesia per il potere ha soltanto un'arma: l'organizzazione.
Lenin, Un passo avanti e due indietro, 1904
In certe situazioni il problema non è quello di incitare le masse all'azione, ma l'altro assai più importante e impegnativo, di dare un nome e un obiettivo di classe alla spontaneità della loro azione di piazza.
Battaglia Comunista n. 7/8, luglio-agosto 1960
Il nostro Partito ha sempre cercato di porre l'attenzione su quelli che, di volta in volta, ha ritenuto essere i principali problemi inerenti all'agire dell'avanguardia comunista. Questa operazione non è mai stata svolta in maniera semplicemente astratta o teoricamente corretta dal punto di vista dei “sacri principi”, bensì dimostrando come fossero i principi ad avere molto a che vedere – in realtà – con un indirizzo politico e pratico adeguato allo sviluppo del conflitto di classe, verso la rottura rivoluzionaria di questo sistema.È stato questo uno dei tratti che, nel tempo, hanno maggiormente distinto la nostra elaborazione da quella di altre tendenze le quali, pur nascendo nel vivo della lotta di classe, ne hanno via via rappresentato più un elemento contingente e di parzialità, oppure un puro riflesso delle contraddizioni che dallo stato della classe erano emerse.Spesso la nostra proposta ed iniziativa politica, a destra e manca e con diversi accenti, è stata bellamente etichettata come “ideologica”, ossia non rispondente ai tempi e ai modi delle necessità della lotta di classe, lasciando così cadere ogni margine di possibile riflessione e confronto, che pur avanzavamo, per proseguire sulla propria strada, fuori da un serio confronto politico. Nulla di più legittimo potremmo dire, visto che la verifica pratica di ogni progetto si dà nel vivo della lotta di classe. Vorremmo però sottolineare come il porsi sul terreno di una progettualità che si vuole comunista porta con sé, inevitabilmente, la necessità di affrontare il nodo generale del come intendere e concepire lo sviluppo di un percorso rivoluzionario, cioè di alternativa al sistema capitalista, una visione quindi necessariamente di lungo periodo che, a partire dalle condizioni concrete, e in ogni momento e in ogni fase di questo percorso, sappia articolare quei passaggi di costruzione politica e organizzativa funzionali allo scopo prefissato.È questo un problema che, conseguenzialmente, investe il modo stesso di concepire il concetto di “organizzazione”, tanto riferita alla soggettività comunista quanto al terreno di sviluppo dell'organizzazione del conflitto materiale di classe.Lo sappiamo, sono questioni immani e siamo i primi a dire che, nel tempo, tali questioni si sono misurate con approcci differenti in relazione alle risposte politiche messe in campo rispetto all'indirizzo da seguire, sopratutto in confronto ai problemi e alle contraddizioni che scaturiscono dai concreti rapporti fra le classi, dalle difficoltà ad organizzarsi e ad organizzare una risposta all'altezza dei tempi.Insomma, saper inquadrare questi nodi sia in termini teorici, che politici che pratici, a nostro avviso, non è un esercizio di astrazione ideologica, ma lo sviluppo di una risposta politica adeguata ai problemi di fase, inquadrati dentro un percorso di finalizzazione strategica.Questi nodi a nostro avviso non possono essere aggirati, pena il riproporre sotto forma differente strade già votate alla sconfitta, già battute dall'esperienza storica e pratica del movimento rivoluzionario e del proletariato nel suo complesso. Siamo convinti, e non certo per alterigia professorale, che se i nodi di ordine generale e particolare non vengono affrontati con il rigore del bilancio storico, unito ad una visione strategica e ad un conseguente indirizzo politico-programmatico, anche quando sono stati fatti uscire dalla finestra finiscono irrimediabilmente per rientrare prepotentemente dalla porta, riproponendosi perpetuamente. Ci si può sforzare quanto si vuole di ignorare tali questioni, ma nonostante tutti i tentativi queste non possono certo essere nascoste.Da questo punto di vista, il primo dato politico che constatiamo è che lo stato dell'attuale dibattito fra le avanguardie non è altro che la registrazione non tanto della loro frammentazione politico-organizzativa – che casomai né è un riflesso –, quanto delle contraddizioni che sull'avanguardia stessa si sono riversate nel generale arretramento di classe e nella capacità di dargli una risposta complessiva, attestando la propria pratica ed elaborazione ora su quello o su tal altro aspetto, perdendo sempre di vista la visione complessiva dei rapporti fra le classi, della propria proposta, della propria prospettiva politica e del proprio ruolo.
Lo scenario
Abbiamo più volte chiarito come la fase odierna del conflitto di classe segni un secco arretramento della parte proletaria nei confronti della borghesia. I tempi e le forme concrete – materiali e politiche – di questo arretramento hanno contraddistinto nuovi livelli di subordinazione del proletariato alle necessità borghesi nella crisi, ma ciò che interessa rilevare per quello che riguarda questo scritto è che a tale secca perdita di posizioni di forza ha corrisposto, in maniera massiccia, la perdita della coscienza della possibilità di una “alternativa” al sistema, almeno rispetto alle fasi precedenti, nelle quali tale coscienza dell'alternativa ancora viveva, seppur confusamente, ovvero mediata dal riferimento al riformismo socialdemocratico e alla presenza del blocco sovietico. Tale idea di alternativa è stata quindi attaccata in maniera massiccia e le sue rimanenze erose progressivamente.Il fatto che l'ideologia dominante sia quella della classe dominante, non ha potuto che trovare conferma in tutta la fase che ci è scorsa sotto gli occhi negli ultimi decenni.Ovviamente, quello di cui stiamo parlando non è stato solo un processo ideologico, bensì un fenomeno complesso e complessivo che ha fatto da cornice ai processi ben più materiali di attacco alle condizioni di lavoro e di vita della classe proletaria, alla sua vecchia composizione e all'instaurazione di nuovi termini di sfruttamento allargato ed intensivo, termini necessari ad assecondare le esigenze del processo di valorizzazione del capitale nella attuale crisi. Si tratta di una dinamica a tutt'oggi in pieno svolgimento, che avanza per salti e strappi, ma che punta nel suo complesso a realizzare il totale asservimento della forza-lavoro quale variabile dipendente alle sempre più impellenti necessità borghesi. Ciò ha portato a quel processo che abbiamo sintetizzato con l'aggettivo di manchesterizzazione del proletariato ossia, tenendo presente che il concreto rapporto di sfruttamento messo in piedi, è andato consolidandosi con modalità tali da ratificare la separazione fra i diversi segmenti della forza-lavoro, ha portato cioè alla sua parcellizzazione, frantumazione e spoliazione.All'oggettivo elemento unificante, dato dal rapporto di sfruttamento, agiscono sempre sul terreno concreto della valorizzazione capitalistica e dell'organizzazione del lavoro, quegli elementi di disgregamento posti in essere dal capitale al fine di rendere la divisione del corpo proletario una condizione materialisticamente determinata, che viene a rafforzarsi anche all'interno dell'oggettivo e tendenziale livellamento al ribasso della condizione proletaria. Ovviamente ciò non ha significato e non significa il venir meno della lotta di classe di parte proletaria. Se la borghesia è riuscita ad imporre i suoi terreni, modi e tempi del conflitto di classe, la risposta proletaria ha invece subito i processi della ristrutturazione capitalistica attestandosi così su di una linea di resistenza e di difesa delle precedenti condizioni, adottando in questo modo forme politiche legate al terreno vertenziale e rivendicativo. Pure quando la conflittualità di classe proletaria si è espressa come movimento generale, la stessa coscienza “tradunionista” è stata piegata dalle condizioni imposte dalla borghesia, dalle compatibilità del sistema economico e, quindi, dalla ristrettezza dei margini rivendicativi.L'immagine è quella di un esercito in costante arretramento sotto il fuoco nemico; in tale frangente, al posto di una manovra di ripiegamento con le forme di un movimento strutturato ed organizzato, si è verificato un moto reattivo di arretramento, ma, sopratutto, tale arretramento è stato affrontato con le vecchie forme organizzative della classe, forme proprie di una fase differente della vita del capitale, della organizzazione del lavoro e delle relazioni tra le classi, forme quindi che proprio il processo capitalistico aveva ormai reso inservibili, anche per la sola e semplice resistenza. Non poco hanno pesato le vecchie tradizioni e i vecchi legami con un riformismo ormai logoro ed in crisi aperta, con le sue rappresentanze politiche, le quali, nella loro funzione conservatrice, hanno di fatto favorito l'esito di una ritirata priva di strategia, che ha quindi distrutto tutti i possibili punti di forza che ancora potevano sussistere.A ciò si è accompagnata – e come poteva essere diversamente? – anche un'opera di larga “passivizzazione” in strati centrali della classe. Questi settori hanno trovato la risposta al loro malessere rivolgendosi alle proposte populiste che, nella crisi, si sono strutturate come forme di compensazione, cementando il consenso attorno agli interessi dominanti della borghesia, andando così, fondamentalmente, a legittimare il suo sistema di dominio.Due i dati sostanziali che sono emersi: il primo è che si è andato a scompaginare quel “senso di appartenenza” istintivo ai propri legami di classe e finanche al proprio sistema di valori e riferimenti, seppur mediati dentro la propria particolarità; il secondo è che, nell'arretramento generale e nella passività che ne è risultata, più forte si è sentito il peso della mancanza di un'istanza capace di dare rappresentanza generale e storica agli interessi proletari di contro a quelli borghesi, lasciando il proletariato sostanzialmente disarmato. Problemi che a tutt'oggi, a nostro avviso, pesano come un macigno sulle prospettive di ripresa del conflitto di classe.Il tema intorno al quale ora ci interessa ragionare è che, parallelamente e internamente a questa dinamica di arretramento, si è sviluppato un progressivo processo di spoliticizzazione, inteso come perdita di finalizzazione strategica in quei soggetti che pure tentavano di porsi su un terreno di avanguardia e che nel corso del tempo si sono posti alla testa dei vari movimenti parziali prodotti dal proletariato dentro la crisi. Lo stesso nodo dell'organizzazione rivoluzionaria, intesa come costruzione dell'organismo capace di dare rappresentanza e direzione agli interessi generali e storici del proletariato, è stato, di volta in volta, o relegato nel campo delle anticaglie, o messo ai margini come un problema non attuale, o delegato al diretto sviluppo del movimento di classe o, semplicemente negato, in virtù del basso livello di coscienza e combattività della classe.
Dall'alternativa senza alternativa...
È questo il contesto nel quale, per una lunga fase, hanno preso forma e si sono consolidate un complesso di tendenze, elaborazioni e pratiche che abbiamo etichettato come radicalriformismo.La loro espressione più conseguente è stato il movimento altermondista [quello cioè che si caratterizzava intorno allo slogan “un altro mondo è possibile!” e che ha avuto a Genova 2001 il suo culmine N.d.A.], movimento che aveva incanalato le diverse istanze antagoniste ed anti-capitaliste all'interno di un ottica che pretendeva dal capitalismo ciò che il capitalismo non poteva più dare, rimanendo così invischiato all'interno del quadro delle contraddizioni che il Sistema genera, senza porre al contempo il problema del suo superamento. Abbiamo definito “alternativa senza alternativa” una logica che, nelle sue velleità, non ha potuto che scontrarsi con il quadro delle ferree compatibilità capitalistiche, finendo sistematicamente per naufragare di fronte alle sue stesse aspettative.Il fatto che quella fase si sia chiusa e che a chiuderla sia stata la borghesia imperialista nel suo complesso pensiamo parli da sé, a dimostrazione non solo della ferocia e della determinazione della classe dominante di fronte alle sue necessità, ma anche della scarsità dell'armamentario politico e della perdita totale di riferimenti strategici con cui sono stati affrontati i passaggi che di volta in volta erano sul tappeto, problema che successivamente, in sede di bilancio politico, non ha nemmeno permesso di trarre gli insegnamenti dovuti.La questione centrale che rileviamo è che mentre l'avanguardia “antagonista” poneva la sua azione su di un piano sociale, la borghesia affrontava e dispiegava nello scontro il suo piano di attacco politico, piano finalizzato al consolidamento del suo esclusivo dominio di classe. Consapevolezza dei propri interessi generali e della propria forza dal lato borghese, velleità politiche, conseguente inadeguatezza di prospettiva, mancanza di comprensione dell'avversario, da parte di chi avrebbe dovuto incarnare gli interessi di classe proletaria, sono questi i caratteri che hanno segnato gran parte delle vicende di quel periodo.Cosa ci dice quell'esperienza, così come il corso degli episodi di lotta che si sono dati nel corso della attuale crisi capitalistica come bilancio dei problemi a cui una avanguardia dovrebbe guardare per imparare dalle esperienze della sua classe di riferimento?Sicuramente uno dei nodi che emerge e anche continuamente si ripropone è la dicotomia fra piano sociale e piano politico del lavoro e dell'intervento. Questa dicotomia caratterizza l'incapacità della soggettività operante nel saper riconnettere dialetticamente i due aspetti, verso una prospettiva di costruzione di un percorso rivoluzionario.Si tratta di una questione fondamentale da sciogliere, partendo dall'assunto che se la rottura rivoluzionaria trova la sua base nelle ragioni sociali della contrapposizione fra proletariato e borghesia, la sua risoluzione pratica non può che darsi come atto politico per l'affermazione degli interessi generali e storici della classe sfruttata, contro quella sfruttatrice.La contraddizione fra piano sociale e piano politico ha assunto varie forme politiche più o meno teorizzate o anche solo esplicitate praticamente ma che, trasversalmente, hanno attraversato quasi tutti i filoni politici più avanzati e, per quanto possa apparire paradossale, anche in maniera indipendente dalla “scuola” di riferimento.Diciamo che materialisticamente i rapporti di forza reali, la condizione di classe odierna, il livello di espressione della conflittualità, sono la realtà con cui tutti i comunisti fanno i conti, una realtà non aggirabile, pena lo scadere nel volontarismo o nel soggettivismo. In sintesi, la forza della realtà costituisce la condizione storico-concreta da cui partire e con cui i comunisti si devono invariabilmente misurare. Il problema come sempre è la risposta politica che si dà e la prospettiva nella quale ci si colloca.Nell'analizzare l'emergere e lo strutturarsi di questa contraddizione, che in realtà ha basi molto materiali e altrettanto materiali ragioni politiche, potremmo cavarcela facilmente riproponendo alla lettera tutta l'impostazione marxista del rapporto contraddittorio fra coscienza e spontaneità, oppure fra piano della lotta economica e della lotta politica. Tutto questo, però, non sarebbe ancora sufficiente se l'impostazione che qui trattiamo non fosse messa in relazione alle forme concrete del conflitto odierno fra le classi, a quella “dialettica del conflitto” fra le classi che ci restituisce la concretezza e l'esatta valutazione di come si è sviluppata la lotta fra le due parti in campo, questioni che aiutano meglio a definire i caratteri complessivi della fase, oltre a comprendere come inquadrare il carattere delle contraddizioni con cui ci misuriamo.Spieghiamo meglio cosa vogliamo dire.
Dialettica della lotta di classe
Il termine “lotta di classe” esprime un concetto che deterministicamente deriva da condizioni obiettive, antagoniste e inconciliabili fra borghesia e proletariato, proprie al Modo di Produzione Capitalista, sulla base dell'altrettanto antagonistico e inconciliabile rapporto fra capitale e lavoro, e non quindi di un suo particolare aspetto o momento. La lotta di classe assume allora il carattere generale di un processo e non di un atto, processo il cui attore non è il solo proletariato, come spesso viene erroneamente inteso in maniera unilaterale, ma lo è anche la borghesia rispetto alle sue necessità strutturali di dominio e di conservazione nei confronti della classe avversa. La concreta risultanza di questo conflitto stabilisce il quadro dei rapporti di forza fra le due classi con i relativi assetti e relazioni politiche e sociali per entrambe. Ecco il motivo principale per il quale la lotta di classe da parte proletaria non si sviluppa mai in un ambiente a se stante, in una sorta di bozzolo entro cui può crescere e svilupparsi linearmente, con caratteri “puri” e definiti. Alla tendenza del suo dispiegarsi si contrappongono le controtendenze messe in atto dalla classe avversa, di cui fanno parte le materiali esigenze imposte dalla fase imperialista e le conseguenti caratteristiche del moderno dominio del capitale, le forme più evolute di questo dominio di classe che spesso anticipano e contengono preventivamente le spinte delle classe proletaria. Ciò che più concretamente vediamo all'opera è una costante azione di accerchiamento, logoramento e divisione degli episodi di lotta proletaria. L'unica forma accettata è la riconduzione del conflitto a una sua ricomposizione forzosa sul piano delle compatibilità e della mediazione politico-istituzionale che gli corrisponde (cioè al ribasso), oppure il relegare anche le forme più radicali di lotta in una sorta di endemizzazione, senza la capacità di incidere sugli assetti di potere che ne determinano la subordinazione, facendolo così arenare nelle secche dell'isolamento, del rivendicazionismo parziale o della rivolta senza sbocchi,ovvero privandolo, sostanzialmente, di ogni prospettiva politica di alternativa al sistema.In sintesi, è sugli eventi delle lotte proletarie fin da subito, immediatamente e complessivamente che si rovescia l'azione della borghesia, seppur dosata e calibrata agli scenari concreti (a tal proposito, basti rammentare il corso degli eventi che hanno segnato da un lato la lotta degli autoferrotranvieri genovesi e dall'altro quella dei facchini). La stessa azione repressiva messa in campo agisce molto più concretamente tanto come elemento di “contenimento”, quanto come fattore di “regolazione” del conflitto, lì dove questo emerge e tende a superare i limiti delle compatibilità, in una sostanziale opera di depotenziamento ed immobilizzazione delle forze avverse, di erosione della loro capacità di tenuta, con l'obiettivo perseguito di ricollocare su di un terreno di difensiva ciò che nel tessuto proletario viene di volta in volta a prodursi.Le espressioni concrete di classe fanno i conti con questa condizione, oltre che con la materiale scomposizione di classe, sopratutto lì dove tendono a superare gli ormai risicati margini di mediazione capitalistica. Ciò dà non solo un carattere estremamente non lineare ai singoli processi di lotta, ma questi non riescono mai, di per sé, a dare una risposta all'altezza del problema principe che la crisi del capitale e della borghesia gli pone d'avanti. Non solo la classe dominante rovescia con tutta la sua forza sul proletariato il peso della crisi del suo sistema, ma in questo processo costruisce nuovi livelli di subordinazione e di auto-legittimazione del suo sistema di dominio di classe nella crisi stessa. È qui che si rende quanto mai evidente tutto lo scarto fra le condizioni oggettive che ci stanno di fronte e la risposta soggettiva di classe che misuriamo.«Limiti della lotta immediata!», qualcuno dirà “leninisticamente”. Sicuramente!, rispondiamo noi, ma non è solo questo il problema.Il problema, per tornare al concreto, è che a partire dal modo come si materializza la “dialettica del conflitto” fra borghesia e proletariato si evince che non solo non esiste un nesso deterministico fra crisi e risposta proletaria, ma che non esiste neanche un automatismo meccanico fra lo sviluppo della lotta immediata, il suo processo di estensione e generalizzazione, e il suo trascrescere in lotta politica. La complessità del rapporto è data proprio dal fatto che – in ogni singolo momento – l'azione della borghesia non solo tende a “spezzare” l'azione del proletariato e a sancirne la frammentazione, ma contemporaneamente tende a influenzare e ricondurre costantemente i suoi possibili sviluppi nella marginalizzazione effettiva rispetto ai rapporti di forza generali, o comunque in forme politiche che siano compatibili nel e col sistema.Pensiamo ad esempio come, ad ogni tappa delle contraddizioni del capitalismo corrisponda una “nuova” forma del “riformismo” – sempre cadente e sempre risorgente – commisurata, di volta in volta, alla capacità di incanalare e recuperare le contraddizioni di classe su di un piano di mobilitazione interclassista e di legittimazione politica; al processo di induzione di passività indotto in strati proletari sempre più larghi che si trovano a dover far fronte alle conseguenze concrete della crisi economica, legandoli al bisogno e al ricatto della propria condizione materiale (Grecia docet); alla scomposizione degli interessi proletari nei mille aspetti parziali nei quali si presentano le contraddizioni del capitalismo.Un complesso di elementi che, insieme ad altri e seppur in presenza di gravi crisi e in un equilibrio sempre passibile di mutare, tendono a mantenere la possibile risposta proletaria ad un livello gestibile.