La volontà di essere svizzeri
di GIANCARLO DILLENA - Si può essere svizzeri per ragioni diverse. Perché si appartiene ad un ceppo familiare radicato nel territorio. Perché le circostanze ci hanno fatto nascere da genitori svizzeri (in patria o all'estero). O come risultato di una scelta individuale, passata attraverso la procedura di naturalizzazione. A dispetto della visione primaria di alcuni, non credo che l'«elveticità» dei primi sia migliore di quella degli altri. Talvolta, anzi, proprio certi svizzeri di adozione sono i più convinti assertori dei pregi di questo Paese, contrapponendoli ai difetti di quelli di origine (soprattutto quando loro ex-compatrioti si fanno avanti per diventare a loro volta svizzeri).
Il problema non sta nell'albero genealogico o nella data del passaporto. Sta nel modo di essere cittadini di un paese che si è a lungo definito «Willensnation», cioè comunità che trova il suo punto di forza nella volontà di vivere e operare insieme, al di là delle differenze di lingua e di mentalità che la caratterizzano.
Il che rischia di apparire a molti banale e scontato, oggigiorno, immersi come siamo in una narrativa europeista che, a prima vista, sembra aver assunto a suo referente fondamentale proprio questo ordine di valori. Se però si guardano le cose un po' più da vicino ci si rende presto conto che ci sono differenze sostanziali, che offrono materia di riflessione tanto a noi quanto ai nostri vicini.
A cominciare dalla nozione stessa di volontà, che nei Paesi confinanti si riferisce essenzialmente ad una volontà calata dall'alto. Per motivi innanzitutto storici. Se l'Italia passò da quella «espressione geografica» cara a Metternich all'unità post-risorgimentale, senza nulla togliere all'impegno di tanti patrioti idealisti, fu soprattutto seguendo le ambizioni espansionistiche della monarchia sabauda. E l'unità della Germania fu forgiata, senza tanti complimenti, «col ferro e col fuoco» dalla Prussia bismarckiana. Quanto alla Francia, le sanguinose rivoluzioni di cui va tanto fiera non hanno mai davvero intaccato un elemento fondamentale del suo assetto politico: il dirigismo centralista voluto da Luigi XIV. Tutto questo ha lasciato il segno. Col risultato, un po' paradossale, di vedere Paesi che hanno faticosamente e dolorosamente superato le più drammatiche esperienze autoritarie e le loro conseguenze, riconoscersi (almeno ufficialmente) in una Unione guidata dall'alto, dove ben poco spazio è lasciato all'espressione democratica della volontà dei cittadini.
Quella della Svizzera è una storia diversa. In parte, ammettiamolo, grazie a un po' di fortuna. Ma questa non sarebbe bastata a salvaguardare l'identità e la peculiarità elvetiche attraverso le turbolenze della storia europea, se al suo interno non fossero state forgiate, radicate e valorizzate sensibilità diverse, diventate elemento costitutivo del suo modo di essere «Willensnation». Che non vuol dire solo convivenza pacifica fra popolazioni di lingue diverse, rimaste unite mentre oltre frontiera si scannavano (il che già non è da poco, checché se ne dica).
Vuol dire anche e soprattutto dare un peso rilevante, spesso determinante, alla volontà dei cittadini, espressa in modo diretto ed esplicito. Questo non ci rende, sia ben chiaro, «migliori degli altri»: è un pensiero ottuso e perverso, da scacciare subito. Ma diversi sì. Anche in termini di responsabilità:
chi ha la possibilità di fare una libera scelta deve fare lo sforzo (anche questo è un atto di volontà) di comprenderne la portata e le conseguenze, accettando poi la volontà della maggioranza anche quando è difficile. E qui interviene un altro elemento dell'essere «Willensnation»: la volontà di restare comunità, unita anche di fronte alle fratture che la democrazia stessa può generare.
Un esercizio, quest'ultimo, che diventa col tempo sempre più arduo. Per le pressioni esterne, i conflitti di interesse, la radicalizzazione della scena politica. Ma anche per la perdita, senza sostitutivi validi, di un sistema di istituzioni che costituiva in passato un grande collante della coesione nazionale. Solo per citare tre esempi: un esercito di milizia radicato in tutte le regioni e fasce sociali; una Posta presente ed efficiente in ogni angolo del Paese; un sistema bancario che nella «svizzerità» aveva il suo brand principale.
Forse è inevitabile, in un mondo che si «globalizza» e impone nuove regole a tutti i livelli.
Ma se qualcuno è in grado di reagire attivamente, cercando risposte proattive e originali, che evitino il risucchio dell'appiattimento omogeneizzato, questa è una «Willensnation». Fatta di cittadini consapevoli del prezioso patrimonio che hanno ricevuto in lascito dalle generazioni precedenti e che hanno il diritto-dovere di custodire.
Con la saggezza della ragione. Ma anche con la fermezza della volontà.