Ora o mai più: date il potere ai millenial, se volete un mondo migliore
Sono la generazione più ricca, istruita, libera di sempre. Chi comanda la politica e l'economia li tiene lontani dalle leve del comando. Sbagliano. Perché i giovani hanno in mano le chiavi per costruire un futuro migliore. A cominciare da un lucido e razionale ottimismo
di Francesco Cancellato
Ethan Miller/Getty Images
22 Agosto 2016 - 11:000
“Una minoranza oppressa”. Così l‘Economist ha definito i giovani nella sua inchiesta di copertina, lo scorso 23 gennaio. Una minoranza inusuale, aggiungeva. Quella che oggi ha tra i quindici e i trent’anni è la generazione più ricca, istruita e libera della Storia. Ad esempio, fa notare il settimanale inglese, «oggi un giovane haitiano (uno dei Paesi più poveri al mondo, ndr) passa a scuola più tempo di un giovane italiano nel 1960».
Qui sta il paradosso: perché le generazioni al potere, quelle più anziane, invece che far emergere e sfruttare al massimo questo potenziale, lo reprimono, per salvaguardare le loro rendite di posizione. Il caso italiano è paradigmatico, in questo senso. Un solo dato: dal 2004 a oggi (primo trimestre 2016) l’occupazione nella classe di età 18-29 anni è passata dal 49,7% al 35,2%. Quella della classe di età 55-64% dal 30,6 al 49,2%.
Domanda: quali competenze potrebbero essere più utili, oggi, per risollevare l’economia italiana? Quelle di giovani figli della rivoluzione digitale? O quella di azzimati sessantenni col solo pensiero di arrivare alla pensione? Risposta ovvia. Così come il ritornello schifosamente paternalista - “coi loro stipendi i vecchi mantengono i giovani” - con cui viene bypassata la questione.
Dal 2004 a oggi (primo trimestre 2016) l’occupazione nella classe di età 18-29 anni è passata dal 49,7% al 35,2%. Quella della classe di età 55-64% dal 30,6 al 49,2%.
C’è di più, però. Perché oltre a inibirne il potenziale, i giovani vengono tenuti lontani dalle leve del potere politico. Un po’ perché le tendenze demografiche li condannano ad essere minoranza, un po’ perché non sanno fare quadrato rispetto alle loro istanze. Il caso del referendum britannico sulla permanenza o meno nell’Unione Europea è esemplificativo. Fosse stato per i millenial, la Brexit sarebbe rimasta una chimera.
È solo un esempio, questo, di un attitudine costruttiva, positiva, razionalmente ottimista, che sembra mancare oggi a chi detta l’agenda politica: laddove chi è più vecchio guarda con timore al futuro e prova a tornare indietro, destabilizzato dalla globalizzazione, dalla tecnologia, dall’intreccio di etnie e culture, i giovani appaiono perfettamente a loro agio nel nuovo mondo in cui sono nati e cresciuti. E vivono con timore, semmai, le resistenze al cambiamento.
A certificare questo stato di cose, una gigantesca ricerca sui millenial che il World Economic Forum ha condotto a livello globale, chiedendo a oltre 25mila giovani dai 18 ai 35 anni in 140 Paesi del mondo cosa definisca la loro identità, quali siano le loro principali preoccupazioni, quali siano le loro opinioni sulla tecnologia, sulla politica, sull’economia.
Chi è più vecchio guarda con timore al futuro e prova a tornare indietro, destabilizzato dalla globalizzazione, dalla tecnologia, dall’intreccio di etnie e culture, i giovani appaiono perfettamente a loro agio nel nuovo mondo in cui sono nati e cresciuti. E vivono con timore, semmai, le resistenze al cambiamento
I risultati raccontano un pianeta diverso da quello che si legge sui giornali. In cui il 70% degli intervistati percepisce il mondo come un luogo pieno di opportunità. In cui la maggioranza relativa - persino in Medio Oriente e Nord Africa - si definisce come un “cittadino del mondo”. In cui l’86% pensa che la tecnologia finirà per creare nuovi posti di lavoro, anziché distruggerli. In cui il problema principale a livello globale non è l’Isis ma il cambiamento climatico. Mentre a livello locale non sono i profughi, né l’immigrazione, bensì la trasparenza dei processi decisionali e la corruzione della classe politica. A proposito di profughi: il 73% dei millenial li ospiterebbe volentieri nel suo Paese, il 45% nella sua città, il 41% nel suo quartiere. Ne ha paura solo il 10% tra loro, mentre il 67% prova empatia per la loro situazione.
Avviso ai naviganti: chi fa proprie queste istanze e questa agenda - e sopratutto, coinvolge i giovani nel realizzarla - assicura un futuro a se stesso e al proprio Paese. Chi la combatte, scivolerà sempre più in una spirale senza uscita di frustrazione e rancore, finendo per essere costantemente superato - a destra o a sinistra, poco importa - da altri capipopolo. ”Unleash them”, liberate i giovani, conclude il proprio articolo l’Economist. Sarà la volta buona che qualcuno lo farà davvero?
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