Lilith è una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica, che potrebbe averla appresa dai babilonesi assieme ad altri culti e miti
Vi sono almeno tre tradizioni precedenti a cui la figura della Lilith ebraica può richiamarsi, una legata ad un demone di desolazione e di appassimento associata al vento e da cui anche il nome "lilith", una legata ad un demone di distruzione e morte, la terza, la più nobile in origine, Ishtar o Astarte (o se vogliamo la Dea Madre del culto della femminilità) che gli ebrei stessi adorarono all'inizio della loro storia, come è testimoniato nella Bibbia.
Una fonte nella storia che descrive Lilith come la prima figura femminile vista da Adamo è L'alfabeto di Ben-Sira, intitolato a Yeshua ben Sira (II secolo a.C.), ma in realtà di autore anonimo, scritto nel X secolo d.C.
Nel libro viene raccontato che Lilith, mentre in un primo momento provocò Adamo, poi fu spiritualmente vinta da quest'ultimo ed abbandonò il Giardino dell'Eden. Come prova della superiorità morale ed etica, spirituale e sapienziale del genere umano sui demoni, che stanno sul mondo dell'impurità conosciuto come l'altro lato, è scritto:
« Ella disse 'Non starò sotto di te,' ed egli disse 'E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra.»
Lilith pronunciò infuriata il nome di Dio, prese il volo e abbandonò il giardino del Paradiso, rifugiandosi sulle coste del Mar Rosso. Lilith abbandonò il Paradiso di propria iniziativa, prima della caduta dell'uomo e non avendo toccato l'Albero della Conoscenza non fu condannata alla mortalità.
In seguito Lilith si accoppiò con Asmodai (altra divinità malefica di origine Saharasiana/Mesopotamica) e vari demoni che trovò oltre il Mar Rosso, creando un'infinita generazione di jinn.(che rappresentano diverse divinità maligne, tipo il Genio della lampada ed altri folletti), Adamo chiese a Dio di riportare indietro Lilith, così tre angeli, chiamati Senoy, Sansenoy e Semangelof, furono mandati per ricercarla. Quando i tre angeli la trovarono e le ingiunsero di tornare minacciandola di morte, lei rispose che non sarebbe potuta tornare da Adamo dopo aver avuto relazioni con i demoni, e che non sarebbe potuta morire in quanto immortale. Ma quando gli angeli minacciarono di uccidere i figli che lei aveva generato con i demoni, lei li supplicò di non farlo.
Il Giardino dell'Eden, in ebraico Gan Eden, è un luogo citato nella Bibbia e presente anche nella mitologia sumera:
Il paradiso dei Sumeri si chiamava Dilmun e può essere identificato nel golfo Persico (Bahrein) Template:Th. Jacobsen,The Harps, London 1987, p.181. In questo luogo dove non esistevano malattie e morte, il dio Enki usava accoppiarsi sessualmente con le dee sue figlie. Dopo aver mangiato i frutti degli alberi creati dalla dea Ninhursag viene da questa maledetto e condannato a molteplici mali. Riappacificatasi,
per far guarire il dio Enki la dea Ninhursag crea varie dee il cui nome corrisponde alla parte del corpo del dio. Fra le altre, in relazione alla costola, Ninhursag crea una dea dal nome Nin.ti che significa dea che fa vivere, e dea costola (sumerico TI = vita e costola). Questo significato, traslato in ebraico, potrebbe aver dato origine alla figura di Eva.
In un altro mito sumero il contadino Shukallituda, non riuscendo a coltivare la sua terra troppo arida, chiese aiuto alla dea Inanna: questa gli consigliò di piantare degli alberi per fare ombra, facendo così nascere la prima oasi, con una tecnica di coltivazione comune nei deserti intorno al golfo Persico. Il mito si conclude con una trasgressione sessuale in cui il contadino stupra la dea addormentata: come punizione per l'affronto Shukallituda è costretto ad abbandonare il suo giardino.
Infine nel mito di Gilgamesh l'eroe cerca l'ultimo uomo sopravvissuto al diluvio, Utnapishtim, il quale conosce la pianta dell'immortalità che cresceva in paradiso. Utnapishtim rivela a Gilgamesh che il paradiso è sprofondato nel mare, allora Gilgamesh recupera una fronda della pianta sul fondo del mare, ma durante il ritorno un serpente divora la fronda e ritorna giovane.
È quindi probabile che i compilatori dei testi biblici abbiano adottato e modificato il racconto mitologico sumero.
È già noto che lo stesso abbiano fatto i cinesi (ciò viene confermato dai caratteri di scrittura cinese riguardo all'Eden ed al diluvio.
promettendo che non avrebbe toccato i discendenti di Adamo ed Eva, se solo si fossero pronunciati i nomi dei tre angeli.
Mentre nel racconto biblico (anch'esso di origine semitico-abramitico) della Genesi, si dice:
"1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».
6 Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture". Genesi 3,1-7
"8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».
11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».
12 Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». 13 Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato". Genesi 3,8-13
"14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. 15 Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno». 16 Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà». 17 All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre.
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!»". Genesi 3,14-19
Il Diluvio Universale:
Il racconto biblico dell'Arca di Noè presenta delle somiglianze con il mito babilonese dell'epopea di Gilgamesh, che narra di un antico re di nome Utanapishtim che fu aiutato dal dio della giustizia e della saggezza, Ea, a costruire un'imbarcazione, nella quale avrebbe potuto salvarsi dal diluvio inviato dal Enlil. La più antica versione dell'epopea di Atraḫasis (di origine sumera) è stata datata all'epoca del regno del pronipote di Hammurabi, Ammisaduqa (tra il 1646 a.C. e il 1626 a.C.), ed ha continuato ad essere riproposta fino al primo millennio a.C.
La leggenda di Ziusudra, a giudicare dalla scrittura, potrebbe risalire alla fine del XVI secolo a.C., mentre la storia di Utnapishtim, che ci è nota grazie a manoscritti del primo millennio a.C., è probabilmente una variazione dell'epopea di Atraḫasis di origine sumera.
Le varie leggende mesopotamiche sul Diluvio hanno conosciuto una notevole longevità, tanto che alcune di esse sono state trasmesse fino al III secolo a.C.
Gli archeologi hanno trovato un considerevole numero di testi originali in lingua sumera, accadica e assira, redatti in caratteri cuneiformi. La ricerca di nuove tavolette prosegue, come la traduzione di quelle già scoperte.
Secondo un'ipotesi scientifica, l'evidente parentela tra la tradizione mesopotamica e quella biblica potrebbe avere come radice comune la rapida salita delle acque nel bacino del Mar Nero, oltre 7 millenni fa, a causa della rottura della diga naturale costituita dallo stretto del Bosforo.
L'epopea di Atraḫasis, scritta in accadico (la lingua dell'antica Babilonia), racconta come il dio Ea ingiunge all'eroe di Shuruppak di smantellare la propria casa, fatta di canne, e di costruire un battello per sfuggire al diluvio che il dio Enlil, infastidito dal rumore delle città, intende mandare per sradicare l'umanità.
Il battello deve disporre di un tetto "simile a quello di Apsû" (l'oceano sotterraneo di acqua dolce di cui Ea è signore), di un ponte inferiore e di uno superiore, e deve essere impermeabilizzato con bitume. Athrasis sale a bordo con la sua famiglia e i suoi animali, e ne sigilla l'entrata. La tempesta e il diluvio cominciano, "i cadaveri riempiono il fiume come libellule", e anche gli dei si spaventano.
Dopo 7 giorni il diluvio cessa, e Athrasis offre dei sacrifici. Enlil è furioso, ma Enki lo sfida apertamente, dichiarando di essersi impegnato alla preservazione della vita. Le due divinità si accordano infine su misure diverse, per regolare la popolazione umana. Della storia esiste anche un'altra versione assira più tarda.
La leggenda di Ziusudra, scritta in sumero, è stata ritrovata nei frammenti di una tavoletta di Eridu. Essa narra di come lo stesso dio Enki avvertì Ziusudra, («egli ha visto la vita», in riferimento al dono di immortalità che gli fu concesso dagli dei), re di Shuruppak, della decisione degli dei di distruggere l'umanità ad opera di un diluvio, il passaggio con la spiegazione di questa decisione è andato perduto.
Enki incarica allora Ziusudra di costruire una grande nave, ma le istruzioni precise sono andate anch'esse perdute. Dopo un diluvio di sette giorni, Ziusudra procede ai sacrifici richiesti e si prostra poi di fronte ad An, il dio del cielo, ed Enlil, il capo degli dei. Riceve in cambio la vita eterna a Dilmun, l'Eden sumero.
L'epopea babilonese di Gilgamesh racconta le avventure di Utanapishtim (in realtà una traduzione di «Ziusudra» in accadico), originario di Shuruppak. Ellil (equivalente di Enlil), signore degli dei, vuole distruggere l'umanità con un diluvio. Il dio Ea (equivalente di Enki) consiglia ad Uta-Napishtim di distruggere la sua casa di canne e di utilizzarne il materiale per costruire un'arca, che deve caricare con oro, argento, e la semenza di tutte le creature viventi e anche di tutti i suoi artigiani. Dopo una tempesta durata sette giorni ed altri dodici giorni passati alla deriva sulle acque, l'imbarcazione si arena sul monte Nizir. Dopo altri sette giorni Uta-Napishtim manda fuori una colomba, che ritorna, poi una rondine, che torna indietro anch'essa. Il corvo, alla fine, non ritorna. Allora Uta-Napishtim fa sacrifici agli dei a gruppi
di 7. Quelli sentono il profumo delle libagioni e affluiscono "come le mosche". Ellil è infuriato che gli umani siano sopravvissuti, ma Ea lo rimprovera: "Come hai potuto mandare un diluvio in questo modo, senza riflettere? Lascia che il peccato riposi sul peccatore, e il misfatto sul malfattore. Fermati, non lasciare che accada ed abbi pietà [che gli uomini non periscano]". Uta-Napishtim e sua moglie ricevono allora il dono dell'immortalità, e se ne vanno ad abitare "lontano, alla foce dei fiumi".
Nel III secolo a.C. Berosso, gran sacerdote del tempio di Marduk a Babilonia, redasse in greco una storia della Mesopotamia (Babyloniaka) per Antioco I, che regnò dal 323 a.C. al 261 a.C. L'opera è andata perduta, ma lo storico cristiano Eusebio di Cesarea, all'inizio del IV secolo, ne trasse la leggenda di Xisuthrus, una versione greca di Ziusudra ampiamente simile al testo originale. Eusebio riteneva che l'imbarcazione fosse ancora visibile "sui monti corcirii d'Armenia; e la gente gratta il bitume con il quale essa era stata rivestita all'esterno per utilizzarlo come antidoto o amuleto.
Nel racconto Biblico del monoteismo semitico di origine abramitica, si racconta:
Il protagonista del racconto biblico, che occupa il settimo e l'ottavo capitolo della Genesi, è Noè. Incaricato da Dio di costruire un'arca per raccogliere tutti gli animali terrestri, all'inizio della catastrofe si rifugia all'interno dell'imbarcazione con la moglie, i figli e le loro mogli. Per quaranta giorni e quaranta notti la tempesta ricopre la superficie terrestre, fin sopra a tutte le montagne più alte; dopo quaranta giorni Dio fa cessare vento e pioggia e le acque cominciano a ritirarsi dopo centocinquanta giorni. L'arca - sempre secondo il racconto biblico - si arena sul Monte Ararat: Noè decide quindi di lasciare andare un corvo per capire se le acque si sono abbassate completamente. L'uccello però non fa più ritorno, così decide di impiegare una colomba. La prima volta torna indietro perché non trova una superficie dove posarsi;
al secondo tentativo fa ritorno portando un ramo d'ulivo in bocca, a significare che la terra è nuovamente visibile; la terza volta la colomba non torna, e Dio ordina a Noè di scendere dall'arca mentre nel cielo appare uno sfolgorante arcobaleno, segno della nuova alleanza tra Dio e gli uomini.