Terra dei fuochi, tour tra le colline veleni nei campi coltivati | Il Mattino

Benvenuti, si fa per dire, al gran tour della monnezza d’annata. Quella che tra i vari commissari all’emergenza ambientale, alle varie leggi scritte e tali rimaste, ad un esercito invisibile, ma con la mostrina della campagna della Terra dei Fuochi, tra un po’ diventerà una sorta di antiquariato dello scempio ambientale. Nella sola provincia di Napoli, dicono all’Arpac, ci sono dieci, cento, anzi trecento discariche che non hanno nulla da invidiare alle più blasonate Taverna del Re o Resit che dir si voglia. La Terra dei fuochi è costellata da trecento colline del disonore, che custodiscono veleni di ogni tipo.

Sono state innalzate dalle ruspe della messa in sicurezza delle discariche tossiche. Da quattro anni a questa parte, nelle campagne a nord di Napoli e in quella della provincia di Caserta, i sindaci di questi disgraziati comuni hanno spostato dalle strade interpoderali, da spiazzi di campagna, e da ogni dove, la munnezza velenosa. Poi è bastato metterci sopra un telo di plastica e il nastro rosso, e il gioco si è compiuto. Ora i teli si sono incartapecoriti, la munnezza tossica è stata bruciata più volte, e le colline del disonore hanno rimandato al mittente circa mezzo milione di persone quanto di più velenoso ci possa essere.

Iniziamo da via Verdi, una strada di campagna, un passato di patibolo della camorra, che collega la rotonda della Località Capomazza di Afragola alle palazzine popolari di Acerra, che senza affetto qui sono definite il Congo. Per trecento metri, mica pochi, uno dei cigli di questa strada è costeggiato da una collinetta che oscilla dai due ai tre metri di altezza, completamente formata da amianto e vecchi copertoni. Qualche decina di tonnellate di veleni, appena coperti da brandelli di plastica.

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Viaggio tra le discariche della Terra dei fuochi (Newfotosud - R. Esposito)




È sabato mattina. Il sole picchia come un ossesso e il vento soffia a trecentosessanta gradi. E ovunque giri la testa, ti becchi questi mefitico aerosol. I rifiuti sono lì da cinque anni. Un tempo che ha sbriciolato l'amianto seminato da vento e pioggia nel raggio di chilometri. Pensi di aver visto il peggio. Ma non è così. Superati i trecento metri, sbuca da un siepe un uomo in divisa. Sobbalzi al pensiero che sia qualcuno dell'esercito della Terra dei Fuochi. Invece è Pasquale Mocerino, vigilantes. Il suo racconto ha dell'incredibile. «Sono qui a fare la guardia a una vasca che evita la piena ai Regi Lagni. Qualcuno già aveva sversato qualcosa dentro. E poi devo stare attento ai ladri, perché hanno tentato di rubare i quattrocento metri della ringhiera zincata».

Il fotografo vuole fare una foto, e allora si avvia su un terrapieno alto cinque sei metri. «Fermati lì supplica il vigilantes - quella è una discarica abusiva. Ci hanno detto di stare alla larga perché non si sa che cosa si sia dentro». Tutto questo inferno in pochi metri, meno di un giro di pista d'atletica. L'orizzonte rimanda la sky line tremolante per il riverbero del complesso commerciale le Porte di Napoli, e anche la traccia di polvere lasciata da un'auto a tutta velocità. Puntiamo sulla traccia di polvere, che ci porta ad una Panda dell'Arpac. A bordo Adele Livriero e Massimo Varriale, piccoli Davide contro Golia. Hanno beccato uno. Massiccio e con la maglietta sudata. Stava scaricando lo sfalcio di fogliame di un albero di limone, proprio sulle famigerate tegole rosse dell'amianto. Scatta il verbale, e il massiccio rimette in auto foglie e rami, prima di allontanarsi borbottando. I rappresentanti dell'Arpac, che in meno di un mese hanno fatto centinaia di verbali, sono stati minacciati e qualche volta pure inseguiti, ci spiegano la situazione. Che è nera più della pece. «Venite, vi portiamo alla fumarole». Un chilometro dopo via Verdi, siamo ad Afragola. Alle spalle del centro commerciale, sotto i piloni dell'asse mediano, che dovrebbe essere una decina di metri più su, ma che non riusciamo a vedere. Tutto lo spazio è occupato da tonnellate di rifiuti, tolti da qualche parte e messi in «sicurezza», compattati in una collina di otto metri. Dalla quale, dicono i due agenti dell'Arpac, da mesi si alzano fumi nauseabondi, che nemmeno qualche intervento dei vigili del fuoco è riuscito a spegnere. Sono le fumarole che fanno venire il cancro.