Le opere del Tolkien narratore vengono pubblicate e divengono famose — a volte originando un vero e proprio "culto della personalità", che il filologo non incoraggia e che anzi detesta, rifugge e teme — negli anni 1960 e 1970, contrassegnati dall’"alternativa", dalla psichedelia, dalla "fuga dalla realtà" e dalla contestazione. Accanto alla commercializzazione, talora brutale, della sua immagine, l’ideologizzazione di cui è fatto oggetto, anche in Italia, produce distorsioni assurde, che interpretano The Lord of the Rings ora come "bibbia" degli hippy; ora come testimonianza irrazionalista, puramente estetica, "reazionaria" e addirittura "cripto-fascista"; ora come insieme di tesi e di visioni neopagane, gnostiche ed esoteriche. Le opere tolkieniane sono, invece, incentrate su un grande affresco, di carattere anche teologico, fondato su amor, pietas e caritas, oltre che sul coraggio e sulla fortezza — compresi la dedizione, l’abnegazione e l’eroismo anche dei "piccoli" —, che il filologo ammirava nelle letterature classiche, nei racconti epici e mitologici, e nella Bibbia. Formato ai valori più classici del patriottismo inglese, del conservatorismo e della fede cattolica, Tolkien è assai lontano dalle descrizioni — a volte vere caricature — proposte da certa critica forzata, che ha fondamento solo in interpretazioni superficiali dei suoi motivi d’ispirazione, dei suoi espedienti narrativi e della sua passione per il mito, insieme emblema, esempio, modello, tipo e ideale. "Devo dire che tutto questo è un mito — scrive Tolkien a proposito della propria narrativa —, e non una nuova specie di religione o di visione". Ossia, "per quanto riguarda il puro espediente narrativo, questo, naturalmente, mi è servito per cercare esseri provvisti della stessa bellezza, dello stesso potere e della stessa maestà degli dèi dell’alta mitologia, che possano però anche essere accettati, diciamo pure audacemente, da chi creda nella Santa Trinità".
Il filologo presenta sé stesso un poco dappertutto nella propria produzione letteraria, ma luogo privilegiato di autodescrizione della figura, dello spirito e della produzione tolkieniane sono certamente il saggio On Fairy-Stories, del 1947, e l’epistolario, del 1981. Poco scrittore di fantasia della modernità e molto più "raccoglitore" di narrazioni epiche, in Tolkien l’apporto creativo si esplicita maggiormente nell’opera di "codificazione" e di trasmissione che non in quella di produzione ex nihilo, dove il significato d’"invenzione" sta più nell’etimo del termine — "trovata", "scoperta", "rinvenimento" — che non nel senso corrente di "ideazione dal nulla" o in quello traslato di "bugia". Le sue storie — non necessariamente fattuali, ma reali perché vere — sono prodotto di "sub-creazione"; ovvero, della capacità poietica — produttrice e poetica — dell’uomo che crea, partecipando della facoltà più importante del proprio Creatore a immagine e somiglianza del quale è stato fatto. Dunque, la creazione letteraria come produzione umana che è imitatio Dei e cantico del e all’Altissimo, nonché uso dei talenti in una vita vissuta — militia super terram, nel senso più vasto — per tessere le lodi del Signore, a Lui ritornare e a Lui offrire la consecratio mundi. Strumento è la parola umana il cui inscindibile e profondo legame con il Verbo di Dio fattosi carne non sfugge a Tolkien filologo e narratore. "Io pretenderei — scrive —, se non pensassi che fosse presuntuoso da parte di una persona così mal istruita, di avere come obiettivo quello di dimostrare la verità e di incoraggiare i buoni principi morali in questo nostro mondo, attraverso l’antico espediente di esemplificarli attraverso personificazioni diverse, che alla fine tendono a farli capire".
Il padre gesuita Guido Sommavilla e il frate minore francescano Guglielmo Spirito hanno, in Italia, evidenziato e sottolineato la dimensione cattolica della narrativa tolkieniana. "Il Signore degli Anelli è — scrive il filologo al padre gesuita Robert Murray — fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione. Questo spiega perché non ho inserito, anzi ho tagliato, praticamente qualsiasi allusione a cose tipo la "religione", oppure culti e pratiche, nel mio mondo immaginario. Perché l’elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo. Tuttavia detto così suona molto grossolano e più presuntuoso di quanto non sia in realtà. Perché a dir la verità io consciamente ho programmato molto poco: e dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato (da quando avevo otto anni) in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so". Sottolineando l’importanza dello "Scrittore della Storia (e non alludo a me stesso) "l’unica persona sempre presente che non è mai assente e mai viene nominata" (come ha detto un critico)", Tolkien osserva: "Nel Signore degli Anelli il conflitto fondamentale non riguarda la libertà, che tuttavia è compresa. Riguarda Dio, e il diritto che Lui solo ha di ricevere onori divini". Apertamente egli afferma: "[...] sono un cristiano (cosa che può anche essere dedotta dalle mie storie), anzi un cattolico. Quest’ultimo fatto forse non può essere dedotto dalle mie storie; benché un critico [...] abbia affermato che le invocazioni di Elbereth e la figura di Galadriel nelle descrizioni dirette [...] siano chiaramente collegate alla devozione cattolica a Maria. Un altro ha visto nel pane da viaggio (lembas) un viaticum e nel fatto che nutre la volontà [...] e che è più efficace quando si è digiuni un riferimento all’Eucarestia. (Cioè: la gente indugia in cose molto elevate anche quando si occupa di cose meno elevate come una storia fantastica)". Cattolica è anche l’estetica dello scrittore, che parla di "[...] Nostra Signora, su cui si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà sia come semplicità".
Dunque, completamente errata e fuori luogo è l’impostazione — origine ed emblema di molte altre analoghe, anche diversamente formulate — del filosofo e leader della Nuova Destra francese Alain de Benoist, che nel "manuale" Comment peut-on être païen? del 1981, in traduzione italiana nel 1984, indica Tolkien — con altri — quale modello di preteso "neopaganesimo". "Al di là di questa [...] vita oscura [...], io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento — scrive il filologo in una lettera al terzogenito Christopher —. [...] Qui troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte".
di Marco Respinti
IDIS-DPF: John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973)