L’esibizionismo è una malattia della modernità
Come Tiziana Cantone, moriremo tutti in mondovisione.
di Matteo Volpe - 17 settembre 2016
L’episodio della ragazza morta suicida a causa del video erotico girato dall’amante e diffuso in rete e dei commenti malevoli su di esso, mette ancora una volta in rilievo la fragilità dell’individuo nella società odierna. Le promesse di libertà individuale della postmodernità si sgretolano di fronte alla crudezza dell’impatto non mediato della società sul singolo. Il processo di privatizzazione che ha delegato tutte le questioni alla sfera individuale, è stato attuato sotto la bandiera della liberazione dalla costrizione comunitaria e dai vincoli posti dalle istituzioni sociali. Le strutture – politiche, sociali, culturali – descritte come coercitive, e tali sicuramente entro una certa misura, ma che permettevano l’integrazione dell’individuo nella società, la codificazione dei problemi che questo si trovava ad affrontare e la loro socializzazione, dunque il controllo – non assoluto, certo – del soggetto sull’ambiente, sono state rimosse.
L’individuo è costretto, oggi, a sbrigarsela da sé. Posto di fronte a innumerevoli stimoli esterni spacciati per “libertà di scelta”, che gli si offrono col potere seducente della comunicazione pubblicitaria, non dispone dei mezzi per decodificare gli impulsi, selezionarli, e pianificare la propria esistenza. Si trova esposto, perciò, alle tendenze del momento, alle mode più effimere, alle pulsioni più insensate, alle richieste e alle pressioni della società. La “libertà” postmoderna esige che l’individuo abolisca tutte le barriere e tutte le mediazioni tra se stesso e la società e che si immetta in modo non mediato nel flusso disordinato degli eventi. In realtà, così facendo, le pressioni sociali non scompaiono; soltanto mutano le loro finalità. Il condizionamento sfugge alla consapevolezza del singolo, che proprio mentre è più condizionato che mai si crede autonomo. La società odierna deve alimentare la credenza in questa apparente autosufficienza. Ecco perché i media, i vari guru e i “coach motivazionali” insistono con i loro panegirici sulla cosiddetta “indipendenza personale”.
Ciò che la società esige dall’individuo, oggi, non è, come poteva essere in passato, l’irregimentazione, l’istituzionalizzazione, l’identificazione col gruppo sociale di riferimento, ma la disarticolazione, la deresponsabilizzazione, la differenziazione. Se nel primo caso, quello dell’adeguamento alla struttura, si esigeva l’inibizione attraverso la repressione che aveva come conseguenza l’ipocrisia, con la differenziazione ci si aspetta invece l’esibizione di sé. L’esibizionismo e il voyeurismo sono le patologie della società postmoderna. Si ha una disponibilità illimitata di mezzi per filmare, fotografare, immortalare, manipolare, ritrarre, mostrare e un’offerta altrettanto illimitata di palcoscenici su cui esporre la merce. E la merce molto spesso è il proprio corpo e la propria immagine (o quelli altrui). Caratteristica dell’esibizione è una sessualizzazione perenne e castrante, perché deve attirare gli sguardi ed eccitare, ma mai soddisfare ed estinguere il desiderio.
La produzione e riproduzione di immagini sembra essere sempre più connessa alla loro diffusione fin quasi a coincidere con essa. L’uso meramente “personale” diventa sempre meno praticato e praticabile. I social network rendono automatica la circolazione di immagini, condivisibili “in tempo reale”, nel momento stesso in cui sono prodotte. Non è un caso se le tecnologie che vengono comunemente usate per scattare foto e girare filmati sono nate per la comunicazione. L’informatica sta attraversando una nuova fase: trascorso il periodo dell’archiviazione, in cui il problema era accumulare informazioni e creare banche dati sempre più grandi e potenti, oggi il problema è la circolazione che deve avvenire sempre più rapidamente e in maniera quasi simultanea alla produzione. I nuovi dispositivi hanno reso talmente facile e immediata la comunicazione di qualsiasi messaggio, in qualsiasi forma, in qualsiasi momento, che l’utente vi ricorre quasi senza pensarci. Sembra addirittura naturale che questo accada. La semplice esistenza di quel materiale è già uno stimolo a diffonderlo.
L’individuo, in questa galassia caotica di segni senza significati in ogni luogo e in ogni istante, e di mezzi per produrli in quantità illimitata, nel bombardamento continuo di impulsi sessuali, recepisce lo stimolo a esibirsi e vi aderisce anche smodatamente e in modo incontrollato, perché privo di strutture di mediazione. Viene così gettato nel flusso, esposto all’impatto della società sulle sue labili difese. Si tratta di un individuo fragile, che si tuffa nella marea sociale senza protezioni adeguate e senza strumenti di mediazione. L’alternativa, per lui, quindi, è sviluppare un’elasticità tale che gli permetta di passare da una situazione all’altra, da uno stimolo all’altro, da un’emozione all’altra, e assorbire quindi l’urto senza traumi durevoli, vivendo un’esistenza frammentaria, inconsapevole e “alla giornata”, oppure essere destinato a rimanere schiacciato. La leggerezza e la superficialità non sono istanze liberatorie, come rappresentate dalla pubblicità, ma forme estreme di adattamento a un ambiente spietato.
L?esibizionismo è una malattia della modernità