Con @Giò in si ragionava (Fertility Day) intorno al concetto di Bene inteso in senso aristotelico. Purtroppo, la discussione è stata chiusa dallo stesso Giò e vorrei riprenderla con qui con chi è interessato.
Esso deve intendersi come il conseguimento della felicità ovvero dalla realizzazione dell'essere secondo la propria natura. La natura dell'uomo è strettamente connessa con la razionalità pertanto ne deriva che la ricerca della felicità, il bene, deve confarsi alla realizzazione piena della propria attività razionale. Il piacere in se non consiste nel Bene Supremo, ma può essere definito un bene intermedio. Se facciamo coincidere la ricerca del bene con il comportamento morale, allora a mio avviso si inanellano una serie di contraddizioni e paradossi quando si tenta di applicare questo principio all'attività sessuale non riproduttiva. I cosiddetti rapporti contro natura.
Nella discussione che è stata chiusa, Giò sosteneva che il rapporto non riproduttivo non soddisfa la ricerca del Bene rifacendosi alle parole di S.Tommaso:
"RISPONDO: Peccaminoso tra gli atti umani è quello che viene compiuto trascurando la retta ragione. La retta ragione, dunque esige che si usino i mezzi nella misura proporzionata al fine. Ora, i beni dell’uomo sono di tre specie, come nota Aristotele: i primi consistono nei beni esterni, tra i quali le ricchezze; i secondi sono i beni del nostro corpo; e i terzi sono i beni dell’anima, tra i quali i beni della vita contemplativa son superiori a quelli della vita attiva, stando all’insegnamento del Filosofo, e alle parole del Signore: “Maria ha scelto la parte migliore”. Ma di tutti questi beni quelli esterni sono ordinati ai beni del corpo; quelli del corpo ai beni dell’anima; e finalmente quelli propri della vita attiva a quelli della vita contemplativa. Perciò la rettitudine della ragione esige che si usino i beni esterni nella misura richiesta dal corpo: e così si dica degli altri beni. E quindi se uno si astiene dal possedere certe cose, che pure sarebbe bene possedere, per curare la salute del corpo, o la contemplazione della verità, questo non sarebbe peccaminoso, ma conforme alla retta ragione. Così è conforme alla retta ragione, che si astenga dai piaceri del corpo per attendere più liberamente alla contemplazione della verità.
Ora, la verginità consacrata si astiene da tutti i piaceri venerei, per attendere più liberamente alla contemplazione di Dio, secondo le parole dell’Apostolo: “La donna non maritata e la vergine si danno pensiero delle cose del Signore, volendo esser sante e di corpo e di spirito; ma la maritata è preoccupata delle cose del mondo, e del come possa piacere al marito”. Perciò la verginità non è qualche cosa di peccaminoso, ma di lodevole.
La retta ragione esige che si usino i mezzi nella misura proporzionata al fine. Utilizzare il pene per rapporti contro natura non sarebbe quindi da considerarsi un bene perchè non atterrebbe alla ragione secondo la quale il mezzo deve essere proporzionato al fine.
Qui però Gio si confonde fra il concetto di "mezzo proporzionato al fine" e "mezzo adatto al fine". Secondo la sua interpretazione del concetto di bene usare il pene non sarebbe un mezzo adatto al fine del piacere venereo perchè la funzione del pene è la riproduzione tramite penetrazione della vagina. Questa sua conclusione innesca il paradosso di cui accennavo. Secondo lo stesso criterio anche palleggiare il pallone è un mezzo non adatto al fine. Infatti la natura del piede prevede la locomozione e non il gioco del calcio. E' quella la sua funzione. Se la funzione non necessariamente deve corrispondere all'uso, allora nemmeo la funzione del pene deve necessariamente corrispondere all'uso.