Più che il pur interessante conflitto con il marxismo, e le relative diatribe teoriche/filosofiche annesse e connesse, mi interesserebbe analizzare ed approfondire quella "capacità di lettura" (riutilizzo le tue stesse parole) , di analisi insomma, della realtà contemporanea, insita nei concetti di biopotere/biopolitica che a parer mio, merita oggi un'attenzione particolare. Al confronto con il marxismo, ed alla deriva "conflittualistica ed antirivoluzionaria" insita nel pensiero post-strutturalista, magari, possiamo pensare in seguito.
Il valore si produce nel processo di lavoro, e questo è un aspetto molto importante della lotta di classe. Ma il valore èrealizzato nel mercato tramite la vendita, e c’è molto di politico in questo. Molta resistenza all’accumulazione capitalista accade non solo nel processo di produzione ma anche tramite il consumo e la realizzazione di valore più e più lavoratori e lavoratrici stanno venendo rimossi dalla sfera delle produzione e sempre di più vengono spinti nella vita urbana.Il punto principale di scontento nella dinamica capitalista si sta spostando sempre di più dalle lotte sulla realizzazione del valore – verso la politica della vita quotidiana in città. Nel processo di produzione è capitale contro lavoro. Le lotte sulla qualità della vita urbana sono meno chiare in termine della loro configurazione di classe.Una chiara politica di classe, che solitamente si deriva da una comprensione del processo di produzione, diviene teoricamente confuse quando diviene più realistico. È una questione di classe ma non nel senso classico.Non è sorprendente come il professor Harvey, esponente del cosiddetto "marxismo geografico", arrivi a talune conclusioni (la prima citazione) praticamente sovrapponibili a quelle "foucaultiane" presenti nella seconda citazione? No, non lo è. E non perché Harvey si ponga in continuità con il pensiero post-strutturalista, anzi, ma semmai perché, evidentemente, una parte dell'analisi promossa da Foucault ( quella in particolare mi interessa) era, e rimane ancora oggi, fondata su fenomeni/eventi reali, interessanti ed osservabili. Eventi che si manifestano con rinnovata prepotenza ogni giorno, sempre più.La «popolazione» è un insieme di esseri viventi coesistenti.... che presentano tratti biologici e patologici specifici e la cui vita deve essere «governata» perché possa essere realizzata l’ottimizzazione degli scambi; la loro gestione «economica». il «biopotere» – o, come altrimenti scrive Foucault, con un’oscillazione significativa, la «biopolitica», «che fa entrare la vita ed i suoi meccanismi nel campo dei calcoli espliciti e che fa del potere-sapere un agente di trasformazione della vita umana» (Foucault, 1976 : 188) – va inteso come «uno degli elementi indispensabili allo sviluppo del capitalismo» Il capitale...non punta più allo Stato come al luogo del riconoscimento, allocando e riorganizzando fuori della fabbrica il processo produttivo: è la vita stessa che viene messa al lavoro, all’interno di cicli di produzione che non sono più contenuti né dalle mura degli impianti, né dalla giornata lavorativa, né dalla misura del salario che avevano segnato i regimi fordisti di accumulazione
Quando leggo critiche del genere..
"Ora, il problema è che questa forma reticolare non è che non esiste, ma è più semplicemente la forma in cui si articola la struttura di potere capitalistica. E’ un’ovvietà insomma che il potere si articoli nei mille rivoli che lo costituiscono.." (dal sito di militant, vedi link nel secondo post)
...non posso fare a meno di pensare alla miopia che affligge tanti compagni. Credo che davvero non si possa (o meglio, che non si debba) liquidare in maniera semplicistica e sbrigativa la questione. Non senza farsi del male perlomeno, non a caso in un altro commento, sempre su militant, leggiamo:
"..dobbiamo anche dire che il movimento comunista organizzato, nelle sue espressioni più avanzate, non è stato per nulla capace di disinnescare l’arma di confusione di massa mossa da vari filosofi brillanti d’oltreAlpe ma anche nostrani.."
Anche se il punto non riguarda tanto la mancata capacità di disinnescare il pensiero post-strutturalista o meno, quanto la mancata capacità di riconoscere, di distinguere, quali potevano essere le innovazioni teoriche positive, eventualmente da assimilare, quali le pericolose derive da arginare ed emarginare. Su queste ultime non mi soffermo ora più di tanto, non perché non ne riconosca l'importanza ed il peso, ma essenzialmente per non mettere troppa carne al fuoco. Detto ciò mi avvio a concludere questo mio intervento, voglio solo ri-sottolineare l'importanza delle nuove forme assunte dalla lotta di classe in occidente; le quali, richiedono uno sviluppo innovativo dell'apparato teorico, che potrà essere raggiunto ANCHE facendo i conti ( non in senso distruttivo) con le eterodossie vecchie e nuove.
- Il (neo) fascista può dirsi socialista, nella medesima misura in cui Adolf Hitler pote' dirsi pittore. -
Qui hai colto un punto essenziale: agli albori di alcuni processi entrati ormai a pieno titolo nel mosaico della contemporaneità, singoli teorici o gruppi avevano già tentato di delinearne un profilo critico.Non è sorprendente come il professor Harvey, esponente del cosiddetto "marxismo geografico", arrivi a talune conclusioni (la prima citazione) praticamente sovrapponibili a quelle "foucaultiane" presenti nella seconda citazione? No, non lo è. E non perché Harvey si ponga in continuità con il pensiero post-strutturalista, anzi, ma semmai perché, evidentemente, una parte dell'analisi promossa da Foucault ( quella in particolare mi interessa) era, e rimane ancora oggi, fondata su fenomeni/eventi reali, interessanti ed osservabili. Eventi che si manifestano con rinnovata prepotenza ogni giorno, sempre più.
Da un luogo d'osservazione privilegiato, l'oggi, ciò risulta ancora più evidente; per questo, come giustamente fai notare, dovrebbe essere imprescindibile per voi comunisti -e per chiunque volesse fare critica sociale- confrontarsi con certe intuizioni dell'epoca.
Del resto, la convergenza da te sottolineata, non imputabile a una diretta discendenza teorica di Harvey da Foucault, è solo uno dei tanti segnali da non sottovalutare.
A riprova di ciò, basterebbe guardarsi attorno senza inforcare occhiali deformanti di varia specie e constatare quanto siano fluide le forme di manifestazione del potere, non più asserragliato in torri e centri di comando, ma permeante la totalità del nostro tempo di vita.
Qui sta a voi decidere quanto di nuovo -anzi, relativamente nuovo, perché parliamo ormai di decenni- innestare nella tradizione o quanto rivedere in funzione dei nuovi strumenti acquisiti.Anche se il punto non riguarda tanto la mancata capacità di disinnescare il pensiero post-strutturalista o meno, quanto la mancata capacità di riconoscere, di distinguere, quali potevano essere le innovazioni teoriche positive, eventualmente da assimilare, quali le pericolose derive da arginare ed emarginare
Nonostante gli eventuali ostacoli, in primis i rigurgiti stalinisti e i bizzarri affratellamenti politici, entrambi più virtuali che reali, in molti ambienti il processo è già in corso da anni.
Sono interessato più ad altre cose, tra cui le riflessioni sul mito, sulle narrazioni di ieri e di oggi etc. (ciò non significa che non mi faccia piacere confrontarmi con te su questi temi, anzi), però magari a te potrebbe piacere:
Riccardo d'Este
"Una salus victis, nullam sperare salutem"
Onestamente penso che l'attuale, fallimentare, situazione delle realtà (comuniste e non solo) cosiddette "antagoniste" della sinistra radicale/rivoluzionaria (non so più come definirla!), sia soprattutto dovuta ad una mancata crescita comune, la quale, sarebbe resa possibile anche dalla contaminazione e dalla convergenza più in generale, di tutte quelle idee/analisi/concetti che si basano su di una critica sociale, economica e politica radicale caratterizzata e legittimata da sani principi di uguaglianza, scientificità, inclusività ecc.. Io vorrei poter paragonare la sinistra (ovviamente parlo di quella sinceramente impegnata) al sistema solare: Al centro il sole, appunto, ed attorno ad esso tutti i corpi celesti mantenuti in orbita dalla forza di gravità solare. Laddove il sole rappresenta il marxismo, mentre i corpi celesti rappresentano tutte quelle istanze più o meno eterodosse (come le questione nazione, o quella ecologica o di genere e via dicendo) che connettendosi ad esso trovano il loro giusto posto/peso e formano un sistema determinato e capace.
Tornando con i piedi per terra:
Sono in disaccordo con te quando sostieni che il "potere" (senza specificare poi che è di un opprimente potere in particolare, ossia quello capitalista, che qui si parla...il che è già di per se fuorviante, ma forse tu davi ciò per scontato, per cui, prendi questa mia precisazione come un appunto piuttosto che come un critica) si manifesta in forme fluide, e non più, quindi, "asserragliato in torri e centri di comando". Non mi pare proprio che sia così. Io credo che si possa tranquillamente asserire che il potere della/e classe/i dominante/i si manifesta,contemporaneamente sia in maniera fluida e permeante che in maniera dispotica, rigida, evidente ed opprimente. Quest'ultima forma di (bio)potere (neo?)capitalista che si è infine sviluppata, poggia le proprie fondamenta sulle basi poste dalla vecchia concezione di potere capitalista e convive con esso. L'una non sopperisce le funzioni dell'altra, entrambe lavorando assieme si rafforzano vicendevolmente.
Tipo? a me vengono in mente solo esempi degeneri, vedasi quello "rosso-bruno" o peggio ancora.Qui sta a voi decidere quanto di nuovo -anzi, relativamente nuovo, perché parliamo ormai di decenni- innestare nella tradizione o quanto rivedere in funzione dei nuovi strumenti acquisiti.
Nonostante gli eventuali ostacoli, in primis i rigurgiti stalinisti e i bizzarri affratellamenti politici, entrambi più virtuali che reali, in molti ambienti il processo è già in corso da anni.
?? Confesso di non aver capito un gran che.Sono interessato più ad altre cose, tra cui le riflessioni sul mito, sulle narrazioni di ieri e di oggi etc.
Ho letto il testo che mi hai linkato e devo dire che sino al punto 4 ho trovato lo scritto abbastanza interessante, mentre dal punto 5 in poi sono costretto ad ammettere che il testo prende una "piega" che davvero non mi piace, specialmente con il punto 7 non mi trovo in sintonia. Grazie comunque per avermelo consigliato. Sai, è bello, di tanto in tanto, avere un confronto civile ed intelligente e non l'ennesimo scontro puerile tipico della sezione di politica nazionale.ciò non significa che non mi faccia piacere confrontarmi con te su questi temi, anzi), però magari a te potrebbe piacere:
Riccardo d'Este
- Il (neo) fascista può dirsi socialista, nella medesima misura in cui Adolf Hitler pote' dirsi pittore. -
Certamente; tuttavia si deve valutare quanto peso oggi la seconda abbia rispetto alla prima, soprattutto a fronte di una pacificazione sociale estesa e, almeno in superficie, condivisa.Quest'ultima forma di (bio)potere (neo?)capitalista che si è infine sviluppata, poggia le proprie fondamenta sulle basi poste dalla vecchia concezione di potere capitalista e convive con esso. L'una non sopperisce le funzioni dell'altra, entrambe lavorando assieme si rafforzano vicendevolmente.
Da molto il manganello ha ceduto il passo a strumenti di controllo più raffinati (per me, in realtà, questi ultimi hanno sempre avuto un ruolo preminente, anche in regimi fondati all'apparenza solo su istinti belluini): le misure repressive entrano in campo solo quando ai margini della "normalità" si forma qualche piccolo incendio, per altro, data l'esiguità delle forze, facilmente estinguibile.
In altre parole, i nuovi condizionamenti fanno la gran parte del lavoro, mentre le vecchie strutture presiedono nell'ombra, pronte eventualmente a ripresentarsi con rinnovata veste ma sostanza identica.
Per esempio, le post-autonomie europee, con le dovute differenze, stanno rielaborando pian piano tutto il percorso fatto avvalendosi di una discreta dose di spirito sincretico.Tipo? a me vengono in mente solo esempi degeneri, vedasi quello "rosso-bruno" o peggio ancora
In effetti, potresti dirmi, già provenivano da una galassia aperta alle innovazioni; però il fenomeno riguarda anche realtà più "conservatrici".
Chi tra voi, oggigiorno, rifiuta le contaminazioni in nome di un purismo leninista?
A parte qualche microscopico gruppo -post-bordighisti e promotori di un leninismo d'antan- che dà vita a decine di giornali dai titoli diversi e dai contenuti uguali, tutto il resto del comunismo dialoga con l'eredità di cui parliamo.
I cosiddetti "rosso-bruni", così come stalinisti vari, hanno voce solo in rete o, quando va loro di lusso, costituiscono sparuti gruppetti di discussione o, gli stalinisti, partiti da percentuali risibili (Rizzo etc.) la cui sopravvivenza è assicurata solo dal nostalgismo degli anziani ancora legati a una certa simbologia.
E' perché, forse, non mi conosci.?? Confesso di non aver capito un gran che.
Non vedo nei rapporti di produzione il vero nodo della questione del dominio.
Ti seguo comunque volentieri nel discorso, perché è interessante.
Che cosa non ti piace?mentre dal punto 5 in poi sono costretto ad ammettere che il testo prende una "piega" che davvero non mi piace, specialmente con il punto 7 non mi trovo in sintonia
Fa piacere anche a me.Sai, è bello, di tanto in tanto, avere un confronto civile
"Una salus victis, nullam sperare salutem"
Se limitiamo l'analisi al contesto interno, alla società occidentale turbo-capitalista in cui viviamo, posso dirmi concorde. Se però tentiamo di estendere l'analisi alche al resto del mondo, allora, non possiamo ignorare come, verso le zone periferiche del pianeta, laddove il processo di globalizzazione capitalista ha esportato solo di recente ( utilizzando mezzi spesso e volentieri brutali) i "valori" che lo contraddistinguono, ciò non sussista (se non in piccolissima percentuale). Lo stesso discorso è valido anche per quelle regioni "calde", di vitale importanza geo-strategica, per questo perennemente devastate dal diretto (seppur spesso e volentieri camuffato) attacco imperialista.
Forse queste mie considerazioni sono tanto giuste quanto scontate, comunque ci tengo a sottolinearle.
Il mio sarà anche un parere personale e quindi vincolato alle mie limitate esperienze, non lo metto in dubbio eh!, ma, ad esser sincero, mi pare proprio che ad oggi vi siano ancora un bel po' di puristi in circolazione, alfieri di una presunta ortodossia che li qualifica come "veri" comunisti.Per esempio, le post-autonomie europee, con le dovute differenze, stanno rielaborando pian piano tutto il percorso fatto avvalendosi di una discreta dose di spirito sincretico.
In effetti, potresti dirmi, già provenivano da una galassia aperta alle innovazioni; però il fenomeno riguarda anche realtà più "conservatrici".
Chi tra voi, oggigiorno, rifiuta le contaminazioni in nome di un purismo leninista?
I testimoni di geova del leninismo. Li conosco bene.A parte qualche microscopico gruppo -post-bordighisti e promotori di un leninismo d'antan- che dà vita a decine di giornali dai titoli diversi e dai contenuti uguali, tutto il resto del comunismo dialoga con l'eredità di cui parliamo.
Per quanto riguardo "tutto il resto del comunismo", bhè, devo ammettere che evidentemente sono un ignorante fatto e finito, dato che non saprei dire a quali realtà fai riferimento.
Aggiungo solo che, pur riconoscendo l' ineluttabile necessità di costruire un dialogo trasversale che sodalizzi le eterogenee realtà di cui stiamo parlando (e non solo), ritengo che sia necessario non perdere mai quell'orientamento ideologico indispensabile, sulla base del quale, si può poi costituire un soggetto nuovo, autentico ed omogeno.
'Nzomma, per farla breve, confrontarsi e contaminarsi è cosa bella e giusta, ma non per questo si è legittimati nei propri scopi a prescindere, specie se si tenta di "assemblare" i peggio aborti.
Va bene, però non mi accostare gli "stalinisti" ai rosso-bruni, dai!I cosiddetti "rosso-bruni", così come stalinisti vari, hanno voce solo in rete o, quando va loro di lusso, costituiscono sparuti gruppetti di discussione o, gli stalinisti, partiti da percentuali risibili (Rizzo etc.) la cui sopravvivenza è assicurata solo dal nostalgismo degli anziani ancora legati a una certa simbologia.
Si, però così mica mi aiuti!E' perché, forse, non mi conosci.
Non vedo nei rapporti di produzione (Male! anzi, malissimo!e realizzazione del valore n.d.r) il vero nodo della questione del dominio.
Ti seguo comunque volentieri nel discorso, perché è interessante.
Domani ti scriverò qualcosa al tal riguardo, stasera non ne ho il tempo.Che cosa non ti piace?
- Il (neo) fascista può dirsi socialista, nella medesima misura in cui Adolf Hitler pote' dirsi pittore. -
Sì, nelle aree in cui la stabilizzazione è in corso, il volto feroce è ancora visibile.Se però tentiamo di estendere l'analisi alche al resto del mondo, allora, non possiamo ignorare come, verso le zone periferiche del pianeta, laddove il processo di globalizzazione capitalista ha esportato solo di recente ( utilizzando mezzi spesso e volentieri brutali) i "valori" che lo contraddistinguono, ciò non sussista (se non in piccolissima percentuale). Lo stesso discorso è valido anche per quelle regioni "calde", di vitale importanza geo-strategica, per questo perennemente devastate dal diretto (seppur spesso e volentieri camuffato) attacco imperialista
Sulla lunga distanza, dopo l'iniziale assestamento, il condizionamento subdolo paga di più.
In tutto l'arcipelago extraparlamentare vi sono tracce vive delle elaborazioni sorte durante il ventennio sessanta-settanta.ad esser sincero, mi pare proprio che ad oggi vi siano ancora un bel po' di puristi in circolazione, alfieri di una presunta ortodossia che li qualifica come "veri" comunisti.
A parte i gruppuscoli, restano fedeli all'ortodossia solamente nostalgici e anziani.
Comprendo le tue necessità.Aggiungo solo che, pur riconoscendo l' ineluttabile necessità di costruire un dialogo trasversale che sodalizzi le eterogenee realtà di cui stiamo parlando (e non solo), ritengo che sia necessario non perdere mai quell'orientamento ideologico indispensabile, sulla base del quale, si può poi costituire un soggetto nuovo, autentico ed omogeno
E' un discorso lungo; magari l'affronteremo in seguito.Si, però così mica mi aiuti!
Dipende dai punti di vista...Male! anzi, malissimo!
Va bene.Domani ti scriverò qualcosa al tal riguardo, stasera non ne ho il tempo.
"Una salus victis, nullam sperare salutem"
Riguardo il testo che mi hai linkato.
Non mi piace anzitutto la con-fusione che l'autore teorizza tra stato e società civile, la trovo fuorviante. Stesso discorso per quanto riguarda la presunta incapacità del capitale di creare nuovi processi produttivi. Altra parte dello scritto che davvero non apprezzo è quella che parrebbe rivelare perché il capitalismo finanziario ha assunto tanta rilevanza negli ultimi decenni, sostenendo, a conti fatti, che tale fenomeno sia niente più che una manovra di "ripiego" attuata per aggirare insormontabili ostacoli produttivi. Idem per quanto riguarda l'analisi dell'avvento della società dello spettacolo.
Poi, vabbè, al punto sette, laddove l'autore si interroga sul "che fare?" leggo uno smodato concentrato di anarchismo che per ovvie ragioni non riesce ad attirarmi.
- Il (neo) fascista può dirsi socialista, nella medesima misura in cui Adolf Hitler pote' dirsi pittore. -
Noi abbiamo spezzato la schiena al nazifascismo, abbiamo mandato l'uomo nello spazio, abbiamo costretto il capitalismo a concedere ai lavoratori una serie di diritti senza precedenti nella storia, solo per paura che Baffone arrivasse anche da loro.
Stalinismo unica via possibile per la lotta di classe!
Una Cina, una Yugoslavia, una Russia, una Corea, una Palestina, un'Irlanda. E zero USA